Al convegno “Costruire un ponte tra scienza e società. Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza che su iniziativa della Fondazione Giannino Bassetti ha avuto luogo il 14 e 15 febbraio 2008 all’Università di Bergamo, il quotidiano L’Eco di Bergamo ha dedicato diversi articoli su cui è utile soffermarsi per comprendere a pieno la valenza del convegno.
Carlo Dignola nell’articolo In Internet una massa non una comunità si sofferma sul come la pervasività della rete abbia operato una sorta di slittamento di significato per quanto riguarda la governance pubblica.
Come ha affermato Piero Bassetti: ‘Con l’e-mail ci scambiamo di tutto, polverizziamo con un clic le ascisse e le ordinate lungo cui si è disegnata per secoli la Storia umana: siamo nell’epoca del “tempo zero” (premo “invia” e in meno di un secondo il mio messaggio arriva a mille persone) e “spazio zero” (ai quattro angoli del mondo). Abbiamo a portata di mouse un mondo caratterizzato da forte innovazione. plasticità, creatività, che ha avvicinato individui fino a ieri molto ‘distanti’. Ma che tipo di relazioni genera questo inedito ‘panorama urbano’? E in che modo esse sono destinate a modificare la nostra vita interpersonale, e persino – in questo nuovo senso -la nostra vita “politica”.’
Silvano Tagliagambe nel suo intervento ha approfondito il concetto delle comunity che si sviluppano in Rete: ‘la forma di aggregazione che sperimentiamo on line non è né una democrazia né un’oligarchia, è piuttosto un “ad-hoc-razia”: si creano di volta in volta groppi di informazione, di scambio di lavoro capaci di riunirsi su progetti ad hoc, ché hanno di mira obiettivi limitati e che sono destinati presto a sciogliersi’.
Questo comporta che: ‘La società in Internet resta qualcosa di estremamente libero, poco organizzato: nonostante i facilissimi contatti le community sono un inno all’individuo. Al loro interno è difficile che si abitino realmente mondi condivisi, ognuno è il referente di sé stesso’.
La conseguenza è che quando: ‘La sera, spesso deluso dal suo tessuto sociale, l’utente si attacca alla Rete e parla con il resto del mondo eppure resta profondamente solo con tutte le conseguenze del caso sia sul piano personale (psicologico) che collettivo (politico).’
Questa crescente “interconnessione”, ma senza legami, fa sì che: ‘anche nel nostro paese si sta distruggendo ogni tessuto sociale’.
Per Tagliagambe occorre perciò sviluppare: ‘un nuovo spirito comunitario, basato su una nuova razionalità scientifica’.
Considerazioni analoghe sono state svolte da Giuseppe O: Longo: ‘La Rete cresce, diventa una creatura planetaria dotata di intelligenza e performance inedite. Ma i suoi gangli vitali – le persone – rischiano di non reggere l’impatto’.
In un secondo articolo, sempre di Carlo Dignola Gli esperti sequestrano la nostra democrazia
l’accento è posto sul come i decisori pubblici si rapportano all’opinione pubblica nel comunicare giustificare le proprie scelte in merito a decisioni che possono influenzare per parecchio tempo la vita dei cittadini. Un rapporto difficile, che presenta diversi aspetti: dall”educare gli scienziati a parlare con il pubblico’ come affermato Sara Calcagnini, collaboratrice del Museo ‘Leonardo da Vinci’ di Milano, ma che presenta anche aspetti paradossali, come ha ricordato Agnes Allansdottir, che insegna psicologia della comunicazione all’Università di Siena: ‘anche quando, ogni tanto, accade che l’opinione pubblica si esprima finalmente in modo informato e qualificato. Nel 2002 in Gran Bretagna Tony Blair promosse un “grande dibattito governativo sugli ogm” per discutere, attraverso una serie di assemblee aperte a tutti i cittadini (più di 600 incontri pubblici, focus group, dibattito in rete) la linea politica del decennio. Furono spese decine di milioni di Sterline, gli inglesi dissero a larga maggioranza che non volevano invenzioni biologiche nel piatto, e il governo di Londra che da anni si muove in linea di continuità diretta con le industrie bioÂtech, decise invece sono buonissimi e sanissimi e diede il suo insindacabile via libera al futuro’.
Alla domanda chiave della due giorni bergamasca: come si fa a gestire in maniera democratica la scienza? Giuseppe Pellegrini dell’Università di Padova risponde che: ‘La responsabilità sempre in capo ai politici, dato che la nostra è una democrazia rappresentativa e non diretta. Ma quando la politica ignora ciò che pensa la gente, meravigliarsi poi che si registri una certa “disaffezione”, commissionare alle università o ai centri di ricerca di mezza Europa dotte analisi per capire il perché di una crescente diffidenza nei confronti della scienza è il sintomo di una certa presbiopia.
La frattura che si è venuta a creare tra una politica che di scienza sa poco e nulla, un’élite di ricercatori chiusi nelle loro torri di azoto liquido e i manipoli di cittadini esasperati che si sdraiano sui binari e occupano le autostrade ha costi sociali elevati. Due oligarchie, quella ‘in alto’ di coloro che sanno, e quella ‘in basso’ di coloro che piantano grane non fanno una democrazia bipolare ma un sistema bloccato’
Per Pellegrini le soluzioni stanno: ‘nello studiare “modelli deliberativi” alternativi, modi in cui i politici possano sondare gli umori dei loro elettori prima (e non dopo) di arrivare a prendere decisioni che riguarderanno la nostra vita e la nostra salute per decenni. “Devono esserci momenti di confronto sui dati tecnici ma anche sui valori che sono in discussione. Ai cittadini si potrebbero dare anche funzioni di controllo sulle decisioni prese: affidare ad esempio ai comitati di un territorio la verifica dell’impatto di un inceneritore. Attivare anche una certa responsabilità”‘.
Sul tema dei valori si è soffermato il giorno precedente Piero Bassetti, presentando il rapporto ‘Scienza e govrenance’ della Fondazione da lui presieduta.
Un’astensione della politica dalla tecnoscienza sarebbe molto pericolosa: ‘Ci consegnerebbe alla tecnocrazia, ma anche al mondo degli interessi, dove i valori sono per definizione assenti’.
A sua volta Cristina Grasseni, direttore scientifico della Fondazione Bassetti, ha sottolineato che: ‘la disaffezione dei cittadini por la scienza non è un dato a priori. Se c’è, è un sentimento generato dai modi politici in cui in Europa si gestiscono le decisioni riguardo alla tecnoscienza’. In Italia si materializzano continue “emergenze”, di fronte alle quali il modo in cui si aggregano consenso e dissenso, partecipazione dei cittadini e intervento dell’esercito non funziona. Gli esperti “non possono scegliere da soli e non devono arrogarsi il potere di essere i depositari dell’unico sapere possibile in materia di decisioni che producono effetti sulla comunità nazionale, sui diritti dell’individuo, sull’impatto ambientale”‘.
La critica all’Europa, o meglio: ‘alla pletora di commissioni in cui a Bruxelles gli atti politici rimangono impliciti, talora incorporati in forme routinarie della pratica istituzionale’, è al centro pure del discorso di Mariachiara Tallachini, che insegna filosofia del diritto e che è fra gli autori del rapporto’
Per la Tallachini: ‘se l’esperto diventa un ‘intellettuale funzionale’ al potere reale, che è quello dell’industria, la gente, per quanto poco colta, fiuta l’imbroglio’.
L’uscita da questo apparente vicolo cieco, della democrazia delle lobbies, sta, per Piero Bassetti, nel ritorno alla politica: ‘Magari in Belgio più che a Roma. Perché il rischio, in uno scenario in cui lo Stato nazionale è sempre più debole è una ‘fine della politica delle nostre istituzioni’. Comprendere queste cose è ‘fondamentale per il futuro della nostra democrazia’.
(continua)