Per il progetto Scienza e Decisione Pubblica, ideato da da Toni Muzi Falconi, Vittorio Bo e Simone De Battisti «per favorire il dialogo e costruire soluzioni per migliorare le decisioni» su temi di scienza e innovazione nel nostro paese, è stato chiesto a Fondazione Giannino Bassetti di condurre una flash research, una indagine veloce ed essenziale (anche se non completamente esaustiva) riguardo a quanto si potrebbe raccontare sul coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni di tecnoscienza, riportando anche alcune esperienze on the ground passate e in corso e proponendo un focus su cosa avviene nel nostro paese in termini di strumenti, organismi e pratiche adottate in questo ambito.
La ricerca è stata presentata all’evento pubblico, che dall’iniziativa prende il nome, in diretta online il 29 novembre 2020 durante il National Geographic Festival delle Scienze di Roma, a cui hanno partecipato, insieme agli organizzatori, diversi altri ospiti del mondo del policy-making, della società civile, dei media e del settore privato italiani.
“Flash Research su Scienza e Decisioni Pubbliche” è stata condotta da Angela Simone e Anna Pellizzone ed è ora liberamente scaricabile da questa pagina.
A seguire il link per il download e la prefazione a cura di Francesco Samorè, Segretario Generale di Fondazione Giannino Bassetti.
Anna Pellizzone e Angela Simone FLASH RESEARCH SU SCIENZA E DECISIONI PUBBLICHE >> DOWNLOAD
Le scelte prima le fai e poi ti fanno.
Sul valore di ciascuno nel reame della tecnoscienza
di Francesco Samorè
«Le scelte prima le fai e poi ti fanno»: parole di una donna che, nel secolo scorso, ha conosciuto l’asprezza del rapporto tra idee e prassi (Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, 2000). Valgono per le biografie individuali ma altrettanto per quelle collettive. Le decisioni pubbliche e la loro relazione con la scienza – cioè il tema di questo nostro breve dossier – rappresentano infatti un crinale sdrucciolevole, soprattutto quando in gioco sono i destini di molti. Il secolo breve, segnato al suo centro dal fungo atomico, si è incaricato di svelare l’aspetto terribile del sapere quando esso si separa dall’esercizio responsabile del potere. Qualcuno ha scelto di sganciare la bomba, poi a tutti è toccato convivere con l’ipotesi dell’annientamento della specie per mezzo della propria stessa potenza.
Eppure è persino difficile, per chi sia cresciuto a cavallo tra Novecento e Duemila, sporcare i toni pastello che hanno caratterizzato la mistica dell’innovazione negli ultimi quarant’anni. Il progresso delle tecnoscienze si è accompagnato alla rapida successione di ben due rivoluzioni industriali: negli anni Settanta la miniaturizzazione sposata all’elettronica, nei Novanta l’irruzione del digitale e poi il suo incontro con “le cose” (Internet of Things, Internet of Everythings). Certo, Ulrich Beck ha scritto La società del rischio nel 1986, mentre il mondo era sorvolato dalla nuvola di Chernobyl e nella mensa della scuola elementare ai miei coetanei si raccomandava di non consumare l’insalata. Ma ciò non è bastato a incrinare la certezza, forse tardo illuminista più che postmoderna, delle magnifiche sorti e progressive cui ci avrebbe condotto il sapere, quando vi si fosse aggiunta una buona dose di capitale attuativo (per esempio, i tre miliardi di dollari per sequenziare il codice genetico impiegati nel Progetto Genoma a cavallo del secolo).
La flash research che qui potete scaricare si concentra su un punto preciso che, però, non può essere compreso fino in fondo senza la consapevolezza storica della posta in gioco. L’immissione in strada di veicoli a guida autonoma, l’applicazione dell’editing genomico, la sperimentazione di un vaccino, l’adozione di una fonte energetica alternativa sono scelte che ci interrogano: quanto vale la voce di ciascuno di noi, nel reame dell’innovazione e della tecnoscienza? Il codice sorgente, il sapere, oggi è distribuito con modalità e regole di accesso storicamente inedite: chi ricorda la svolta che ha rappresentato, non molti anni fa, l’apertura delle basi-dati mondiali alimentate dalla ricerca sui virus?
«La riservatezza dei dati infatti avrebbe enormemente rallentato gli studi, proprio in un periodo in cui si erano resi disponibili molti finanziamenti per studiare il virus dell’influenza aviaria. Così rifiutai. Non mi sembrava giusto. Misi la mia sequenza nel database pubblico GenBank e nella prima settimana fu scaricata 1.000 volte, a dimostrazione del fatto che molti laboratori avevano la necessità di conoscerla. È partito allora un dibattito sulla trasparenza dei dati che ha portato l’Oms, la Fao e l’Organizzazione mondiale della sanità animale a rivedere la loro politica e a diffondere delle raccomandazioni che vanno nel senso opposto rispetto alla politica precedente» (Ilaria Capua intervistata da Margherita Fronte nel 2012 per Fondazione Bassetti).
Insomma, possiamo certamente – e dobbiamo! – discutere sul grado di concentrazione del potere attuativo: in quante e quali mani sono concentrate le leve? Ciò che invece non possiamo fare è separare i cittadini – la società – dall’innovazione: perché nel mondo in cui viviamo questo significa separare il sapere dal potere. E se questa separazione si consuma, cominciano i guai.
A giudicare dalle evoluzioni (anche molto recenti) testimoniate dalla flash research, l’istituzionalizzazione del public engagement e del citizen engagement nelle politiche di innovazione, in collegamento con le grandi missioni che le istituzioni si vanno assegnando, è un processo dispiegato: emblematica la prossima Conference on the Future of Europe promossa dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per l’inizio 2021. Allo stesso modo, si sono largamente diffuse le ispirazioni della Responsible Research and Innovation (RRI), come hanno dimostrato, alle nostre latitudini, tanti progetti Horizon 2020. Certamente una soddisfazione per chi, come Fondazione Bassetti, ne ha fatto la propria missione già nel 1994.
Ma soprattutto un segnale di inversione di rotta. Perché in un’epoca profondamente innovata il rapporto tra sapere e potere attuativo è sembrato, contemporaneamente, separarsi dalla prassi delle istituzioni e dal controllo di una cittadinanza consapevole. Questo ha alimentato perdita di fiducia oltre che spaesamento, ponendosi tra gli ingredienti indigesti della ricetta populista. Non basta immettere più scienza nelle decisioni pubbliche. Bisogna proseguire nella strada ben testimoniata dalla rassegna originale curata da Angela Simone e Anna Pellizzone: andare al cuore dello scrutinio pubblico sull’innovazione, prestare attenzione a ciò che in questo senso è già stato fatto, resistere alla tentazione delle scorciatoie tecnocratiche. Abituarsi all’idea che il governo responsabile dell’innovazione sia il terreno sul quale si rinnova, oggi e per molto tempo, l’eterna danza dei mezzi e dei fini.
—————————-