Questo che pubblichiamo è l’ultimo articolo di Vittorio Bertolini, scomparso prematuramente martedì scorso. La rassegna stampa da lui curata in questo sito è sempre stata una delle sezioni più seguite dai nostri visitatori e i suoi articoli portavano sempre uno sguardo attento e una lettura non scontata del mondo. Lo ricordiamo com’era: persona colta e sensibile con insospettati slanci poetici e artistici.
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“L’innovazione non è un processo casuale, la conseguenza di colpi di fortuna di un Gastone Paperone o di un colpo di genio come Einstein. E’ piuttosto il risultato di attività specifiche che si svolgono all’interno di una organizzazione. Insomma l’innovazione non è nell’aria, ma richiede uno sforzo per essere prodotta.”
Il numero di febbraio de L’impresa, mensile di management de Il Sole 24 Ore, si apre con l’editoriale di Riccardo Viale “La cultura dell’innovazione“.
Se nel passato il concetto di innovazione riguardava generalmente: ‘ogni cambiamento di prodotto o di processo che generava un vantaggio competitivo sul mercato’ con Schumpeter il concetto si allarga anche agli aspetti organizzativi e di commercializzazione del prodotto, nel Manuale di Frascati e in quello di Oslo ‘viene introdotto anche l’aspetto culturale e psicologico dell’innovazione’.
In particolare Viale si sofferma sul concetto di innovatività del consumatore: ‘che afferma l’importanza delle propensioni individuali e psicologiche a capire e ad accettare un prodotto innovativo’.
In sostanza l’innovazione trova un terreno fertile dove prospera una cultura: ‘dove sono considerati valori positivi la propensione al rischio, la capacità creativa, la dinamicità professionale, l’impegno lavorativo e il tentare e ritentare avventure imprenditoriali, anche se spesso fallimentari, sono fertili per la generazione di nuove imprese innovative e di innovazioni’.
Quindi Viale prende in considerazione l’esempio di Sylicon Valley, il cui successo è stato determinato non solo da fattori economico finanziari aperti (joint venture, finanziamenti pubblici); ma anche dallo sviluppo di una “cultura locale” caratterizzata da: ‘forte spinta all’imprenditorialità individuale; diffuso orientamento positivo nei confronti dell’assunzione di rischio; tolleranza se non valutazione positiva dei casi di insuccesso considerati come parte della storia professionale degli innovatori, considerazione positiva nei confronti di stili di vita improntati allo stress, alla competizione e alla polarizzazione sul lavoro’.
Ogni esempio non può non essere accompagnato da un controesempio, e Viale riporta il caso del mancato sviluppo del computer da parte della Xerox, nonostante i suoi laboratori di Palo Alto, in California del nord, avessero prodotto invenzioni epocali come il mouse, i sistemi di interfaccia grafica, gli editor di testo, l’Ethernet.
La distanza culturale, cognitiva e istituzionale fra la realtà di ricerca californiana e quella industriale e burocratica di New York segnavano due mondi che non comunicavano. ‘Come è noto imprese californiane, vicine ai laboratori Xerox, che “parlavano la loro stessa lingua” ed erano imbevute degli stessi valori, furono in grado di capire e sfruttare in tempi rapidi le invenzioni. Apple e Microsoft sono gli esempi virtuosi di questo “furto”!’.
L’articolo de “L’impresa” che è stato qui riprodotto, è lo stralcio de l’introduzione al volume Cultura dell’innovazione (a cura di Riccardo Viale) Il Sole 24 Ore 3008, euro 26, con prefazione di Enrico Letta e posfazione di John Elkann.
Il volume si snoda lungo 8 capitoli, in cui altrettanti saggi che analizzano i rapporti fra i fattori socioculturali, in primo luogo quelli legati ai sistemi territoriali, e la produzione di innovazione
Il primo capitolo, “Origini storiche dell’innovazione permanente”, di Riccardo Viale, introduce i principali fattori che caratterizÂzano l’accelerazione dei processi innovativi e che rappresentano alcuni dei temi trattati nei capitoli successivi. Vengono analizzate le cause che hanno determinato fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il ruolo crescente, a livello industriale, dell’innovazione e della ricerca sulle basi scientifiche della tecnologia. Nell’individuazione delle cause vengono esplorate soprattutto due diÂmensioni fondamentali: quella degli incentivi individuali a innovaÂre e quella degli incentivi conoscitivi alla ricerca scientifica in ambito industriale.
Il secondo capitolo, dal titolo “Ostacoli cognitivi e innovazione”, di Fabio Del Missier e Rino Rumiati, affronta vari aspetti dell’attività cognitiva rivolta all’innovazione. In particolare, vengono evidenziati vari aspetti della psicologia del comportaÂmento innovativo: la capacità di cogliere domande e bisogni latenti del mercato, che è alla base della capacità di individuare opportunità di nuovi prodotti o servizi; la modalità di generazione di soluzioni che sappiano rispondere con efficacia alla realizzazione di queste nuove opportunità; i processi di problem solving nell’indiviÂduazione di nuove procedure alla base delle invenzioni di processo e delle nuove tecniche di produzione. Infine, viene affrontato il tema del rischio nei comportamenti innovativi, mettendo in luce quali contesti possono favorire una maggiore o minore propensione a elaborare soluzioni innovative.
Nel terzo capitolo, “Creatività e innovazione”, Paolo Cherubini sostiene che la psicologia cognitiva può aiutare a capire solo l’attività di problem solving finalizzata all’adattamento di una soluzione tradizionale a un contesto nuovo, per esempio: costruire una ferrovia in una nuova area geografica o adattare una nuova lega metallica ai requisiti della carrozzeria di un’automobile. Più problematica invece, per la psicologia, l’analisi empirica della creatività assoluta, cioè pensare o realizzare qualcosa che non era stato né pensato né realizzato prima e che costituisce un’innovazione. Trattandosi di atti irripetibili e difficilmente monitorabili in tempo reale, l’unica sorgente di informazione rimangono i diari, le biografie, le storie degli inventori. Si tratta del metodo storico-ideografico che ha permesso ad alcuni psicologi come Howard Gardner di individuare, attraverso lo studio di famosi creativi come Einstein o Freud, varie tipologie di intelligenza e di caratterizzare la creatività come un’idea anomala che cerca di imporsi rispetto alle conoscenze prevalenti in un dato dominio conoscitivo, che è sotto il controllo di un dato gruppo di pari.
Nel quarto capitolo, “Propensione a innovare e conoscenza di sfondo”, Andrea Pozzali analizza quali sono le variabili cruciali della conoscenza di sfondo, o a essa collegati, in grado di stimolare il comportamento innovativo. Tre sembrano gli elementi rilevanti in tal senso. Innanzitutto l’assenza di un atteggiamento di sudditanza di fronte alla tradizione e ai modelli culturali del passato. Nelle società dove non si deifica o istituzionalizza il passato è più facile avere la possibilità di introdurre idee, modelli, oggetti, comportamenti nuovi; quando invece il fondamento dell’autorità intellettuale, morale e conoscitiva è di tipo storico – ipse dixit allora è molto difficile che si creino organizzazioni capaci di generare innovazioni e mercati in grado di accettarle.
Nel quinto capitolo “La dimensione locale dell’innovazione”, Guido Martinotti e Andrea Pozzali confermano l’importanza dei valori culturali per stimolare i processi innovativi. Determinate aree geografiche hanno più successo nello sviluppo industriale e tecnologico, per un insieme di fattori, di cui quelli culturali sono fra i fattori dominanti.
Nel sesto capitolo, “La capacità di innovare nelle imprese”, Luigi Marengo cerca di rispondere alla domanda di quali sono i fattori che determinano il successo innovativo in un’impresa e individua quattro grandi categorie. La prima ha a che fare con la capacità di percepire le opportunità e i pericoli dell’ambiente. Un’azienda è in grado di innovare se riesce ad approfittare delle nuove conoscenze tecnologiche generate all’interno o all’esterno; se riesce a cogliere i cambiamenti di gusto o i bisogni latenti dei consumatori; se riesce a “tallonare” in modo efficace l’attività dei concorrenti; se riesce a occupare nuove nicchie di mercato locale o internazionale; se riesce ad approfittare delle opportunità generate da nuovi vincoli o da incentivi legali e dal quadro istituzionale e politico generale.
Il settimo capitolo di Pier Paolo Patrucco, “Conoscenza tecnologica e innovazione: il ruolo crescente della comunicazione”. mette in luce come il comunicare con l’esterno e trasferire all’interno conoscenza utile per innovare diventa, a poco a poco, uno dei precetti fondamentali dell’impresa innovatrice. Varie e sempre più numerose sono le esternalità che possono rafforzare la capacità innovativa e competitiva di un’impresa. Quelle di rete e quelle di tipo conoscitivo sono le principali. Per quanto riguarda le seconde, esse fanno riferimento alle due proprietà di non escludibilità e di non rivalità tipiche della conoscenza. Secondo la prima delle due proprietà, essa tende a sfuggire all’utilizzo esclusivo di chi la genera: la sua fuga dalle mani del suo creatore va a beneficiare l’ambiente esterno; altri possono utilizzarla per derivare altra conoscenza o per applicarla nella generazione di nuovi prodotti o processi produttivi.
L’ottavo capitolo di Pietro Tema, “Complessità nei percorsi dell’innovazione”, mette in luce i rapporti fra i vari fattori di tipo reticolare e la risultante è spesso di tipo caotico e, dunque, scarsamente prevedibile. Bisogna però sempre saper distinguere fra complessità e complicazione. Riguardo alla prima, per esempio in un formicaio, non si riesce a capire la dinamica del sistema a partire dallo studio delle singole componenti, le formiche. Riguardo alla seconda, per esempio in un motore a scoppio, è possibile spiegarne il funzionamento riferendosi alle singole componenti.
In questo sito, di Riccardo Viale vedi anche:
Come (non) si parlano scienza e politica
L’onorevole non crede alla scienza
Nel sito Italiano per la Filosofia:
Scienza e politica, dialogo fra sordi
Più in generale, sul concetto di innovazione:
Creatività e innovazione
Quale impresa per la sfida evoluzionista?