Sulla rivista “Darwin” di gennaio-febbraio è apparso il saggio di Lewis Wolpert, che insegna all’Anatomy ad Development Biology Department dell’University College di Londra, Frankestein e altri miti.
Al centro del saggio di Wolpert vi è la responsabilità morale dello scienziato riguardo alle conseguenze dell’applicazione dei risultati delle sue ricerche. Reponsabilità morale che, per Wolpert, non si discosta da quelle di tutti i cittadini. Wolpert, chiosando la proposta di giuramento ippocratico per la scienza avanzata dal Nobel per la pace 1995 Sir Joseph Rotblat e promossa dall’organizzazione Pugwash negli Stati Uniti…
‘Giuro di operare per un mondo migliore in cui scienza e tecnologia verranno orientate secondo criteri socialmente responsabili. Inoltre giuro di non sfruttare le mie conoscenze per scopi contrari all’interesse degli esseri umani e dell’ambiente. Nel corso della mia intera carriera mi impegno a prendere in considerazione ogni implicazione etica del mio lavoro prima di agire. Pur consapevole del peso dei miei obblighi, firmo questa dichiarazione in quanto riconosco il concetto di responsabilità individuale come primo passo sulla strada della pace’
… afferma:
‘Queste sono nobili aspirazioni e tutti i cittadini dovrebbero farle proprie, ma nella realtà queste stesse aspirazioni presentano serie difficoltà in rapporto alla scienza’.
Il fatto è che Wolpert, a differenza di Rotblat distingue la scienza dalle sue applicazioni.
‘Gli scienziati non possono facilmente prevedere quali saranno in futuro le implicazioni sociali e tecnologiche delle ricerche in corso. […] E’ fondamentale la distinzione tra scienza e tecnologia, fra la conoscenza e la comprensione da un lato e l’applicazione della conoscenza stessa a una qualsiasi realizzazione pratica dall’altro. […] E’ la tecnologia, e non la scienza, che comporta risvolti etici, dall’automobile alla clonazione’.
Se i ricercatori sono, perciò, in un certo senso “irresponsabili” delle applicazioni delle loro ricerche, hanno però degli obblighi:
‘e questo nasce dal fatto che hanno il privilegio di una conoscenza specifica del funzionamento della natura che non è facilmente accessibile ai comuni mortali. Il loro obbligo è quello di rendere pubbliche le possibili implicazioni sociali delle ricerche, nonché le applicazioni che ne derivano, e di valutarne l’attendibilità’.
Come corollario si ha che:
‘Gli scienziati non sono tenuti a prendere decisioni morali o etiche ogni qualvolta si presenta una nuova applicazione tecnologica. Non hanno né speciali diritti, né speciali attitudini per quello che riguarda questioni morali o etiche. Di conseguenza esiste un grave pericolo nel pretendere che gli scienziati abbiano una responsabilità sociale, se questo dovesse significare che essi hanno un diritto e un potere decisionale. Del resto è raro che gli scienziati abbiano questo tipo di potere in materia di applicazione della scienza: questa prerogativa compete a coloro che hanno in mano i mezzi finanziari, l’industria e il governo’.
La chiave di volta del pensiero di Wolpert si esplicita nell’ultimo paragrafo del saggio, “Il popolo è sovrano”:
‘Il pericolo di abusi è insito in ogni forma di tecnologia e non esiste nessun genere di conoscenza che non possa essere manipolato a fini negativi. Se si comincia ad applicare una qualsiasi forma di censura a un qualsiasi settore della scienza, ci si ritrova su un terreno estremamente scivoloso’.
Per evitare sia gli abusi sia il rischio di una censura, il rimedio è, in un sistema democratico, la fiducia nella sovranità del popolo:
‘A tutti coloro che nutrono dubbi nella capacità dei politici e dell’opinione pubblica di prendere decisioni giuste riguardo alla scienza e alle sue applicazioni, raccomando vivamente di fare riferimento a Thomas Jefferson: ‘Non conosco nessun miglior depositario dei poteri supremi di una società all’infuori del popolo stesso, e se non lo giudichiamo sufficientemente illuminato da esercitare questo controllo con rettitudine, il rimedio non sta nel negarglielo, ma nell’orientarlo nella giusta direzione’. Come garantire allora la partecipazione del popolo al potere decisionale? Come garantire che scienziati, medici, ingegneri, studiosi di bioetica e altri esperti che sono necessariamente parte in causa non tentino di appropriarsi dell’intero processo? Come garantire che gli scienziati adempiano al dovere di rendere pubbliche le ripercussioni prevedibili del proprio lavoro? In questo senso non possiamo fare altro che affidarci alle varie istituzioni di una società democratica: il parlamento, una stampa libera e dinamica, gruppi di persone direttamente interessate e gli scienziati stessi’.
- Dieci Nobel per il futuro. Sul medesimo sito è possibile leggere (in inglese) il manifesto di Pugwash del 1955, sottoscritto da Max Born, Perry W. Bridgman, Albert Einstein, Leopold Infeld, Frédéric Joliot-Curie, Herman J. Muller, Linus Pauling, Cecil F. Powell, Joseph Rotblat, Bertrand Russell, Hideki Yukawa;
- “Intervista a Joseph Rotblat“, di Piergiorgio Odifreddi. Da rimarcare in questa intervista la posizione di Rotblat, che fu uno dei pochi fisici che rifiutò di collaborare al progetto di Los Alamos per la costruzione della prima bomba atomica, relativamente al discusso incontro nel 1942 a Copenghagen tra Bohr e Heisenberg (cfr., in questo sito: a cura di Tommaso Correale Santacroce “Copenhagen, di Michael Frayn“; in Rassegna Stampa “Franco Rasetti e la responsabilità sociale dello scienziato“.
- Sempre nel sito della FGB, dal Percorso “Enrico Fermi e ‘la bomba’” è possibile accedere al sito di Pugwash e ad un’intervista a Francesco Calogero, fisico della Sapienza di Roma che per 10 anni è stato segretario di Pugwash.
Sul rapporto tra la politica e le decisioni sulla ricerca scientifica, si veda, nella sezione “Argomenti”, il saggio di Piero Bassetti Nuova scienza e nuova politica e, in Rassegna Stampa, il confronto fra Sandro Veronesi e Piero Bassetti, nel giugno 2003, “Scienza e politica: controllo o collaborazione?“ - Infine, Rotblat, col documento “Misuse of Science”, è citato nel primo articolo dell’iniziativa di scrittura collaborativa denominata “Collaborate” (Giugno-Dicembre 2004), intitolato “Danger“