DARWIN - Gennaio/febbraio 2005

FRANKENSTEIN E ALTRI MITI
Gli scienziati devono informare la società delle conseguenze
prevedibili delle proprie ricerche ma non possono esistere porte che è
vietato aprire

Di Lewis Wolpert

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Possiamo dire che gli scienziati hanno delle responsabilità morali
riguardo all'applicazione della scienza? In un recente numero di
Science, Sir Joseph Rotblat, premio Nobel per la pace nel 1995,
suggerisce un giuramento ippocratico agli scienziati. Sir Joseph è
fortemente contrario all'idea della neutralità della scienza e al
fatto che gli scienziati non possano essere ritenuti responsabili
della sua errata applicazione. Suggerisce quindi l'introduzione di un
giuramento - un impegno - promosso da Pugwash negli Stati Uniti:
«Giuro di operare per un mondo migliore in cui scienza e tecnologia
verranno orientate secondo criteri socialmente responsabili. Inoltre
giuro di non sfruttare le mie conoscenze per scopi contrari
all'interesse degli esseri umani e dell'ambiente. Nel corso della mia
intera carriera mi impegno a prendere in considerazione ogni
implicazione etica del mio lavoro prima di agire. Pur consapevole del
peso dei miei obblighi, firmo questa dichiarazione in quanto riconosco
il concetto di responsabilità individuale come primo passo sulla
strada della pace».

Queste sono nobili aspirazioni e tutti i cittadini dovrebbero farle
proprie, ma nella realtà queste stesse aspirazioni presentano serie
difficoltà in rapporto alla scienza. Rotblat rifiuta la distinzione
fra la conoscenza scientifica e la sua applicazione, ossia la
tecnologia, ma ignora il fatto che la scienza per sua natura non può
prevedere le conseguenze delle sue scoperte e tanto meno come
verranno utilizzate. La clonazione è un esempio eloquente. I primi
studi sulla clonazione sono dovuti al lavoro di biologi che negli
anni Sessanta studiavano lo sviluppo degli embrioni di rana, allo
scopo di scoprire se nel corso della crescita dell'embrione i geni
localizzati nel nucleo della cellula venissero distrutti o
disattivati. Il fatto che la rana risultata dall'esperimento fosse un
clone dell'animale da cui era stato prelevato il nucleo fu puramente
casuale. La storia della scienza è ricca di questi esempi.
L’osservazione del poeta Paul Valery - «nel futuro si entra
all'indietro» - è particolarmente giusta in relazione alle possibili
applicazioni della scienza. Gli scienziati non possono facilmente
prevedere quali saranno in futuro le implicazioni sociali e
tecnologiche delle ricerche in corso. All'origine si riteneva che le
onde radio non avrebbero trovato applicazioni pratiche e Lord
Rutherford sosteneva che parlare dell'utilizzazione dell'energia
atomica fosse una sciocchezza. Allo stesso modo chi studiava la
capacità di resistenza di certi batteri all'infezione da parte di
virus non poteva immaginare che queste ricerche avrebbero portato alla
scoperta degli enzimi di restrizione, uno strumento indispensabile
per l'esame del DNA, cioè del materiale fondamentale per l'ingegneria
genetica. Parte del problema sta nella sin troppo frequente confusione
tra scienza e tecnologia.

È fondamentale, infatti, la distinzione tra scienza e tecnologia, fra
la conoscenza e la comprensione da un lato e l'applicazione della
conoscenza stessa a una qualsiasi realizzazione pratica dall'altro.
La scienza produce idee sul funzionamento del mondo, mentre con la
tecnologia queste idee producono oggetti utilizzabili. La tecnologia è
di gran lunga antecedente a quella che si può definire scienza vera e
propria; la tecnologia, senza l'apporto della scienza, ha dato origine
alle realizzazioni dell'uomo primitivo, per esempio nel campo
dell'agricoltura e della lavorazione dei metalli. Sino all’Ottocento
la scienza non ha in alcun modo contribuito ai progressi della
tecnologia. Persino le grandi realizzazioni ingegneristiche, come la
costruzione delle cattedrali medioevali e più tardi la locomotiva a
vapore, sono state realizzate praticamente senza il contributo della
scienza e i loro artefici sono andati avanti a tentoni. È la
tecnologia, e non la scienza, che comporta risvolti etici,
dall'automobile alla clonazione.

Al contrario la scienza è per sua essenza libera da valori e dunque
non può avere contenuti morali o etici. La scienza ci racconta la
natura, e il fatto che l'uomo non sia al centro dell'universo di per
sé non è né un male né un bene, come non lo è la possibilità che i
geni influenzino la nostra intelligenza o il nostro comportamento.
Dal punto di vista etico il pericolo si presenta soltanto quando la
scienza si applica alla tecnologia. Problemi etici possono comunque
presentarsi nel corso del lavoro della ricerca scientifica, ad
esempio quando si effettuano esperimenti su esseri umani o animali, o
anche in relazione ai problemi di sicurezza. Sotto questo aspetto gli
scienziati e i cittadini comuni condividono problemi etici molto
simili, per esempio la valorizzazione di una società democratica e la
tutela dei diritti dei propri simili.

L'obbligo della trasparenza

Ma i ricercatori hanno anche alcuni obblighi e questo nasce dal fatto
che hanno il privilegio di una conoscenza specifica del funzionamento
della natura che non è facilmente accessibile ai comuni mortali. Il
loro obbligo è quello di rendere pubbliche le possibili implicazioni
sociali delle ricerche, nonché le applicazioni che ne derivano, e di
valutarne l'attendibilità. In linea di massima al pubblico non
importa granché se una particolare teoria scientifica sia giusta o
sbagliata, ma certi contesti specifici come la genetica umana e
vegetale suscitano invece interesse.

Gli scienziati non sono tenuti a prendere decisioni morali o etiche
ogni qualvolta si presenta una nuova applicazione tecnologica. Non
hanno né speciali diritti, né speciali attitudini per quello che
riguarda questioni morali o etiche. Di conseguenza esiste un grave
pericolo nel pretendere che gli scienziati abbiano una responsabilità
sociale, se questo dovesse significare che essi hanno un diritto e un
potere decisionale. Del resto è raro che gli scienziati abbiano questo
tipo di potere in materia di applicazione della scienza: questa
prerogativa compete a coloro che hanno in mano i mezzi finanziari,
l'industria e il governo. L’uso del sapere scientifico comporta
problemi etici per tutti coloro che ne sono coinvolti e non solo per
gli scienziati.

Non è facile individuare esempi di scienziati che agiscano in maniera
immorale o incosciente e il caso Bse è assolutamente da scartare in
questo contesto. L’esempio classico, semmai, è quello del movimento
degli eugenisti. L’assunto scientifico sottostante la loro teoria,
ossia che gli attributi umani, sia positivi che negativi, sono
ereditari - è di enorme importanza: non solo il talento, ma anche la
pazzia e qualsiasi forma di ritardo mentale sono considerati da loro
ereditari. Ma gli eugenisti non hanno messo minimamente alla prova in
modo oggettivo la correttezza delle loro idee. Inoltre, e questo è
ancora più grave, le loro conclusioni sembravano dettate da un quadro
di valori che rispecchiava le loro idee sulla società. All'opposto
gli scienziati dei paesi alleati hanno rispettato i loro impegni
sociali informando i relativi governi sulle conseguenze degli studi
sull'atomo. La decisione di costruire un ordigno nucleare - un'impresa
di enorme portata - fu presa dai politici e non dagli scienziati. Se
avessero deciso di non partecipare alla realizzazione dell'arma
atomica, la guerra sarebbe stata persa. È possibile che spetti agli
scienziati prendere decisioni di tale importanza?

La genetica sembra porre fin troppe domande etiche. Mary  Shelley ne
sarebbe allo stesso tempo orgogliosa ed esterrefatta. La sua
creatura, Frankenstein, è diventata il simbolo per eccellenza della
scienza moderna. Questo libro, frutto di una fervida immaginazione, è
stato così poco compreso che anche persone generalmente assennate
hanno perso ogni senso della misura all'idea della clonazione umana.
L’immagine di Frankenstein è stata distorta dai media e si è
trasformata in pornografia genetica all'unico scopo di preoccupare e
spaventare. I bioeticisti ne hanno approfittato facendo della
clonazione uno spauracchio universale e i soloni della morale hanno
unito le forze per metterci di fronte agli orrori della produzione di
individui fotocopia. Negli Stati Uniti Jeremy Rifkin ha chiesto un
veto mondiale e una condanna "di portata equivalente a quella dello
stupro, della violenza contro minori e dell'omicidio». Molte
personalità, fra cui i leader di svariate nazioni, si sono associate
al coro apocalittico. Ma di quale apocalisse si tratta e di quali
problematiche etiche? In mezzo a tutta questa virtuosa indignazione
non ho trovato un singolo argomento rilevante o valido.

Paure fuorvianti

Il punto chiave, mi sembra, sta nel come verrà salvaguardato il
futuro bambino. Se pensiamo alla gamma di orrori che gli esseri umani
infliggono gli uni agli altri, nonché ai bambini, la clonazione non
merita certo il primo posto. A meno che questo non serva a sostituire
i nostri veri problemi con falsi problemi. Educare un figlio pone veri
problemi etici in quanto a essere onnipotenti sono i genitori, non
gli scienziati. Ed è proprio qui che risiede l'amara ironia: la
figura paterna si avvicina al divino più di quanto non faccia lo
scienziato, i genitori hanno un potere immane sui propri bambini e
non sempre lo esercitano per il bene. Tutto questo è di enorme
importanza quando si riflette sulle problematiche etiche inerenti ai
designer baby, ovvero ai bambini fatti su misura. Personalmente
non vedo perché un genitore non possa scegliere per il proprio figlio
dei geni in grado di promuoverne la salute o di evitare una malattia.
Persino il desiderare gli occhi azzurri o l'intelligenza non mi
sembra scandaloso, benché per quanto riguarda quest'ultima siamo
lontanissimi da un qualsiasi pur modesto risultato, visto il numero
ingente di geni coinvolti. Semmai il problema più serio, e troppo
spesso trascurato, è quello del diritto alla procreazione per le
coppie che esercitano abituale violenza sui propri figli, nonché per
le coppie di tossicodipendenti o di portatori di gravi malattie
genetiche. Ci sono migliaia e migliaia di bambini che ogni anno
vengono segnalati ai servizi sociali e circa il 10% dei bambini
soffrono di una qualche forma di violenza fisica, affettiva o
psicologica. Questi sono i veri problemi relativi alla riproduzione.

La clonazione umana non suscita nessun nuovo dilemma etico e dovrebbe
essere contrastata solo sulle basi del rischio di uno sviluppo
anormale del bambino. Non esistono problemi per quel che riguarda
l'uso di cellule staminali embrionali, né per la clonazione
terapeutica volta a produrre queste cellule allo scopo di creare
tessuti per riparare gli organi danneggiati senza il rischio di
rigetto immunitario. Nessun uomo politico ha finora rilevato, e ancor
meno compreso, che le cosiddette questioni etiche relative alla
clonazione terapeutica sono in effetti indistinguibili da quelle
relative alla fertilizzazione in vitro. Si potrebbe anche sostenere
che la pratica della fecondazione assistita è meno accettabile della
clonazione terapeutica dal punto di vista etico, ma nessuna persona
sensata potrebbe vietare una tecnica che ha aiutato un numero
infinito di coppie infertili. Del resto, quali sono gli argomenti
contrari alla produzione di cellule staminali embrionali? L’uovo
fertilizzato non è un essere umano. Non sarebbe preferibile accettare
centinaia di aborti e la distruzione di tutti gli embrioni
sovrannumerari congelati, piuttosto che accettare la nascita in questo
mondo di una singola creatura non voluta, che sarà poi trascurata o
soggetta a violenza? Questa è la mia posizione anche rispetto a
malattie genetiche gravemente invalidanti e dolorose. Perché dei
genitori dovrebbero mettere al mondo un figlio gravemente disabile,
quando esiste la possibilità relativamente semplice di evitarlo grazie
alla diagnosi preimpianto? Qui non si tratta di consumismo, ma degli
interessi e dei diritti del bambino.

E allora, quali sono i pericoli inerenti alla genetica? La bioetica è
un'industria in crescita, ma le preoccupazioni riguardo ai 
designer baby al momento sono premature perché questa pratica è
troppo rischiosa, e forse dobbiamo accettare quella che il filosofo e
giurista newyorkese Ronald Dworkin definisce l'autonomia nel
procreare, ossia il diritto delle coppie «al controllo del loro pieno
ruolo nella procreazione, a meno che lo stato non abbia argomenti
incontrovertibili per negare loro tale controllo». La terapia genica,
che introduce geni per curare malattie genetiche come la fibrosi
cistica, comporta rischi come ogni nuova terapia medica.
Indubbiamente la sperimentazione porrà problemi nuovi, ma si può forse
sostenere che questi problemi siano di natura diversa da quelli
relativi a chi è malato di Aids? Ci si domanda perché i bioeticisti
non si concentrano maggiormente su altri sviluppi tecnologici, come
ad esempio quel comodissimo mezzo di trasporto che ogni anno in Gran
Bretagna causa l'uccisione o la menomazione di più di cinquantamila
individui. Nella fattispecie, si potrebbe forse suggerire che sono in
gioco le loro personali comodità?

Il popolo è sovrano

Secondo alcuni sondaggi esiste una certa diffidenza nei confronti
degli scienziati, particolarmente di quelli al servizio del governo e
dell'industria, soprattutto in relazione alla Bse e ai cibi
geneticamente modificati. Ma rimane aperta la questione di come questo
sentimento influisce sul comportamento generale. Mi riesce difficile
credere che la maggior parte della gente che si proclama diffidente,
in caso di malattia, rifiuterebbe una medicina derivata da una pianta
geneticamente modificata o, per esempio, un pomodoro geneticamente
modificato che sia a buon mercato e capace di prevenire disturbi
cardiaci. Chi rifiuterebbe insulina o un ormone della crescita
unicamente perché sono stati prodotti con l'uso di batteri
geneticamente modificati? È troppo facile adottare un atteggiamento
negativo nei riguardi della scienza quando questo non si ripercuote
nella realtà dei fatti.

Gli Ogm hanno suscitato inquietudini nel grande pubblico e mi sembra
che l'unica possibilità stia nel creare agenzie di certificazione per
stabilire l'idoneità di questi cibi come di molti altri già in
commercio. L’ingegneria genetica richiede approfondite conoscenze
tecniche e somme ingenti di denaro, di cui gli scienziati in genere
non dispongono. Inoltre, nel settore pubblico, le applicazioni della
genetica e della biologia molecolare possono far sorgere delicati
problemi di scelta per il loro costo. Le nuove cure mediche, che
richiedono una tecnologia complessa, non possono essere alla portata
di tutti. È quindi necessario stabilire una qualche regola di accesso
e questa realtà comporta un dilemma morale ed etico molto più
importante dei pericoli inerenti all'ingegneria genetica.

Esistono campi di ricerca così sensibili dal punto di vista sociale
che la sperimentazione in quella direzione debba essere scoraggiata o
persino proibita? Un possibile ambito è quello degli studi sulle basi
genetiche dell'intelligenza e, in particolare, sugli eventuali legami
tra appartenenza etnica e intelligenza. Esistono dunque, come ha
sostenuto il critico letterario George Steiner, «certe categorie di
verità in grado di inquinare l'essenza stessa della vita politica e di
avvelenare irrimediabilmente i rapporti - già fin troppo tesi - fra
determinate classi sociali e determinate comunità?». Il filosofo
della scienza Philip Kitcher è arrivato a sostenere che il lavoro sul
genoma umano dovrebbe essere sospeso, in quanto potrebbe evidenziare
differenze razziali avvalorando la presunta superiorità di un gruppo
su un altro in determinati campi dell’attività umana. A suo avviso una
simile eventualità metterebbe gli svantaggiati in situazione di
maggiore difficoltà. Kitcher potrebbe anche aver ragione, ma non ha
mai neanche preso in considerazione la possibilità di una società
capace di mettere in piedi dispositivi di compensazione a favore
degli svantaggiati, come accade spesso per le persone affette da
malattie genetiche. In altre parole, possiamo dire che nell'ambito
della ricerca odierna ci sono porte che è vietato aprire? Sono
consapevole dei pericoli, ma allo stesso tempo nutro un tale rispetto
per la totale libertà della ricerca scientifica che rifiuto qualsiasi
chiusura. Rivendico la distinzione fra la conoscenza del mondo e il
modo in cui viene applicata.

Devo quindi rispondere in modo negativo alla domanda di Steiner;
fermo restando il doveroso rispetto degli scienziati per la
deontologia della loro professione. Il mio argomento principale è il
seguente: più si avanza nella conoscenza della natura, più aumentano
le probabilità di creare una società giusta e di migliorare le
condizioni di vita in questo mondo. Non dobbiamo abbandonare la
possibilità di fare del bene con l'applicazione di una certa idea
scientifica, semplicemente perché esiste anche la possibilità di
un'applicazione deleteria. Il pericolo di abusi è insito in ogni
forma di tecnologia e non esiste nessun genere di conoscenza che non
possa essere manipolato a fini negativi. Se si comincia ad applicare
una qualsiasi forma di censura a un qualsiasi settore della scienza,
ci si ritrova su un terreno estremamente scivoloso.

A tutti coloro che nutrono dubbi nella capacità dei politici e
dell'opinione pubblica di prendere decisioni giuste riguardo alla
scienza e alle sue applicazioni, raccomando vivamente di fare
riferimento a Thomas Jefferson: «Non conosco nessun miglior
depositario dei poteri supremi di una società all'infuori del popolo
stesso, e se non lo giudichiamo sufficientemente illuminato da
esercitare questo controllo con rettitudine, il rimedio non sta nel
negarglielo, ma nell'orientarlo nella giusta direzione». Come
garantire allora la partecipazione del popolo al potere decisionale?
Come garantire che scienziati, medici, ingegneri, studiosi di
bioetica e altri esperti che sono necessariamente parte in causa non
tentino di appropriarsi dell'intero processo? Come garantire che gli
scienziati adempiano al dovere di rendere pubbliche le ripercussioni
prevedibili del proprio lavoro? In questo senso non possiamo fare
altro che affidarci alle varie istituzioni di una società
democratica: il parlamento, una stampa libera e dinamica, gruppi di
persone direttamente interessate e gli scienziati stessi.