In calce a questo post è citato un articolo di Umberto Galimberti e si trovano alcuni riferimenti (links) ad altri punti del sito della Fondazione Bassetti nei quali sono state citate considerazioni svolte da questo filosofo
Se le vie del Signore sono infinite le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Nell’articolo “Pecore con fegato ‘umano’. Usa spaventati dalle chimere” apparso sul Corriere della Sera il 24 novembre a firma di Ennio Caretto si parla di sperimentazioni, che avvengono in alcuni laboratori americani, che sembrano ricalcare in chiave biotecnologica quello denunciato un secolo fa da H.G. Wells nel traumatico romanzo “L’isola del dottor Moreau”.
‘Benvenuti nel moderno mondo delle chimere, della mitica creatura con la testa del leone, il corpo della capra e la coda del serpente dell’antica Grecia. Una delle nuove frontiere della scienza americana che, al pari, anzi ancora più della clonazione, causa gravi problemi morali. Iniziati una decina di anni fa ma poi temporaneamente abbandonati, questi esperimenti transgenici sono oggi in corso in molti laboratori. Il loro scopo, ha riferito il Washington Post, è studiare come si sviluppano le cellule e gli organi umani trapiantati in creature viventi. E di scoprire così altri segreti della biologia e nuovi farmaci.’
‘Nel Nevada, ci sono pecore ogm con un fegato all’80% umano. Nel Minnesota, ci sono maiali con sangue umano nelle vene. In California ci sono topi con un cervello umano all’1%.’
Come si vede le possibilità della ricerca sono infinite, e normalmente condotte con le migliori intenzioni.
‘Per Esmail Zanjani della Università di Reno, nel Nevada, le chimere sono uno strumento di progresso indispensabile. Il biologo inietta le cellule staminali umane nei feti delle pecore, ottenendo fegati all’80% umani. E’ convinto che se essi venissero trapiantati nelle persone, il 20% animale sarebbe subito respinto dal sistema immunologico, ma l’altro 80% sarebbe recepito e salverebbe numerose vite. […] Irving Weissmann, dell’Università di Stanford, è il ricercatore che ha iniettato nei cervelli dei topi l’1% del cervello umano. Sostiene che questa percentuale va aumentata “fino al 100%, se necessario”, perché gli sembra la strada più sicura per debellare malattie come il morbo di Parkinson o di Gehrig.’
Ma, come spesso capita, il bel tempo non si vede sempre dal mattino (i proverbi non sempre sono un distillato di saggezza).
‘James Bettey, il direttore della task force che si occupa di cellule staminali, ammonisce: “Occorre decidere ciò che è lecito e ciò che non lo è, soprattutto per quanto riguarda il cervello”. Bettey osserva che un interscambio tra esseri umani e animali avviene già da tempo: valvole di maiali o mucche vengono spesso trapiantate nei malati di cuore. Ma con le fabbriche delle chimere la scienza va molto oltre. Lo ha dimostrato Evan Balaban, un biologo dell’Università McGill di Montreal, in Canada ha trapiantato nel cervello di alcune galline cellule del cervello delle quaglie, e le galline si sono messe a fare i versi delle quaglie, e ne hanno assunto altre caratteristiche. “Cosa succederebbe – si chiede allarmato Bob Streiffer – se conducessimo lo stesso esperimento sugli scimpanzé, con le nostre cellule staminali nervose in grande quantità?”.’
Perciò Caretto chiude il suo articolo indicando che:
‘Alcuni scienziati parlano apertamente di “umanizzazione” degli animali. Ritengono che si possano iniettare cellule staminali umane in un embrione animale e poi impiantarlo nella chimera. Le cellule, dichiarano, s’integrerebbero in ogni organo, e la chimera diventerebbe un laboratorio vivente. Ma ci sarebbe un pericolo: qualche cellula umana potrebbe finire nell’apparato riproduttivo animale, e uno o più embrioni umani vi si troverebbe intrappolati. Un’ipotesi agghiacciante’.
Il medesimo argomento è stato ripreso da Repubblica il 20 febbraio nell’articolo “Alla ricerca della nuova chimera” di Emilio Piervincenzi.
Piervincenzi si sofferma, oltre che sulle ricerche citate da Caretto, in particolare su quelle di Irvin Weissman, biologo dell’università di Stanford che è stato autorizzato dal Comitato etico del prestigioso istituto a creare un piccolo “topoumano”, un topo, cioè, con un cervello umano con lo scopo di individuare cure adeguate per malattie neurologiche finora impossibili da aggredire.
‘Realisticamente la ricerca punta a seguire l’evoluzione dei neuroni umani per tentare di capire come questi diventano difettosi. […] “aggiungeremo cellule di neuroni umani malate di Alzheimer, o della malattia di Lou Gehrig o di altri difetti cerebrali e osserveremo le conseguenze nel cervello del topo. Stiamo imparando una lezione che sarebbe stata impensabile con un bando etico nella ricerca sulle chimere”, specifica Weissman’.
Nonostante le affermazioni di Weissman, improntate all’ottimismo, le perplessità rimangono, tanto è vero che Henry T. Greely, direttore del Centro sulle scienze biologiche e membro del Comitato etico ha precisato:
‘Abbiamo deciso che se vedremo un qualche segnale che ci riconduce al cervello umano o se il topo mostra comportamenti simili a quelli dell’uomo, del genere di una cresciuta memoria o di una maggiore capacità di risolvere problemi, ci fermeremo’.
Ma se Greely affronta in modo empirico la questione di quando una chimera smette di essere animale e comincia a diventare uomo, altri si mostrano decisamente contrari.
‘”La biotecnologia sta arrivando al suo limite”, accusa Wesley J. Smith del Discovery Institute. Già lo scorso anno il Canada ha specificamente messo al bando la creazione di chimere a scopo scientifico e Cynthia Cohen, membro del Canada’s Stem Cell Oversight Comittee, suggerisce: “Anche negli Stati Uniti le chimere dovrebbero essere impedite, mischiare uomo e animale diminuisce la dignità umana”.
Al di là degli aspetti tecnici e morali legati alla creazione delle chimere, nell’articolo di Piervincenzi sono da sottolineare le considerazioni di Roberto Marchesini, che spostano l’angolo di osservazione dal laboratorio di Stanford a quello che definisce come ‘uno dei maggiori movimenti culturali che si affacciano sul XXI secolo, il postumano’.
‘Non si tratta solo di discutere sulla quallina o sulla caprapecora, ibridi animali realmente ottenuti dai ricercatori alla fine degli anni Novanta, o di dire se si sta dalla parte di Weissman o da quella di chi alza un muro davanti alla ricerca sugli embrioni umani, la chimerizzazione della società è sotto gli occhi di tutti, basta riflettere sulla modificazione culturale dell’immagine dell’uomo. E’ un’epoca, la nostra, in cui i tabù della purezza sono superati, in cui la contaminazione di specie diverse, di organico e inorganico, uomo e animale, è diventata un paradigma culturale affascinante e ormai abbastanza comune. Piacciono gli esseri umani con parti meccaniche, oppure capaci di ospitare cervelli e sensazioni soprannaturali, basti pensate al successo di film come Blade Runner e Matrix. Esiste inoltre la ricerca artistica sulla chimera, come quella che fa Daniel Lee con i suoi grandi quadri, che a New York hanno raggiunto quotazioni inarrivabili, dove i protagonisti sono un po’ uomini e un po’ animali. Ma c’è anche una tendenza estetica, forse più effimera e commerciale, ma molto in crescita. Sempre più donne, in particolare negli Stati Uniti, si rifanno a modelli animali: si felinizzano il viso, lavorando sul taglio degli occhi, gli zigomi, i padiglioni auricolari. Sì, piace la donna-gatto. Forse una legge può fermare la ricerca scientifica, come accade in Italia che in campi come questi è drammaticamente fuorigioco. Ma certamente nessuno può frenare una tendenza culturale’.
L’articolo sulle chimere di Emilio Piervincenzi è servito di spunto a Umberto Galimberti per sviluppare, nella stessa pagina di Repubblica, una serie di considerazioni sotto il titolo “Quando la tecnica infrange il tabù“.
In questo articolo Galimberti sviluppa due tesi. La prima, che le nuove dimensioni della scienza e della tecnica non possono essere ricomprese nell’ambito di un’etica che ha le sue radici in forme di società dove l’influenza di scienza e tecnica era scarsamente rilevante. In riferimento agli esperimenti del prof. Weissman Galimberti scrive:
‘La cosa è allarmante sia per chi pensa, alla maniera degli antichi greci, che le leggi di natura non possono essere violate, sia per chi pensa, come vuole la tradizione giudaico-cristiana, che la natura possa essere dominata e posta al servizio dell’uomo, ma nel rispetto delle sue leggi. Queste due concezioni, e le etiche che le difendono, sono entrambe inadeguate nell’età della tecnica, perché formulate in epoche in cui la tecnica non era in grado di modificare la natura, e il potere dell’uomo sulla natura era praticamente nullo. Oggi non è più così. La natura non è più immutabile perché è in ogni suo aspetto manipolabile e modificabile dall’intervento tecnico’.
Ma se l’etica non è in grado di darci le linee guida, ecco l’altra tesi di Galimberti: deve essere la politica a segnare i confini della ricerca.
‘Il confronto non è, come sempre si dice, tra etica e tecnica dove non c’è partita, ma, all’interno della politica, per come la politica pensa se stessa: se come puro esercizio della potenza, o come quella forma di sovranità a servizio dell’uomo in grado di assegnare allo sviluppo tecnico, in sé afinalizzato, il suo scopo.
La vera domanda allora non è quella che solitamente si pone, ovvero se la tecnica debba essere incoraggiata o arrestata nel suo sviluppo, ma se la politica è in grado di ripensare se stessa e considerare se la sua legittimazione le deriva dall’esercizio della potenza, come sembra oggi accada, o dalla difesa della condizione umana che non rientra nelle finalità specifiche della tecnica. Se la politica saprà rispondere a questa domanda, allora anche lo sviluppo imprevedibile della tecnica cesserà di apparirci minaccioso’.
Nella sezione “Argomenti” del sito, al titolo Tecnoscienza e Responsabilità del Gennaio 2003, viene riportato un articolo dove Galimberti espone le proprie riflessioni sulla frattura che ormai da tempo si sarebbe aperta tra il procedere della tecnica e le finalità che gli uomini si propongono: politica, etica cristiana, etica laica, etica della responsabilità weberianamente intesa non avrebbero più alcun potere nei confronti della tecnica.
La scorsa estate, poi, il furto de “L’Urlo” di Munch dal museo di Oslo ha dato a Galimberti lo spunto per riaffermare che la tecnoscienza ha determinato una disarticolazione culturale alla base dell’angoscia dell’uomo moderno (articolo per Repubblica del 23 agosto 2004: cfr. in Rassegna Stampa L’urlo e l’angoscia del Novecento).
Nell’ambito dell’iniziativa, interna al sito della Fondazione Bassetti, denominata “Collaborate“, l’articolo “The Ultimate Danger: apocalittici e integrati” presenta una riflessione, svolta anche attraverso rimandi a diversi articoli e al libro di Galimberti Psiche e Techne , su come l’imprevedibilità dei prodotti della tecnica determini per l’uomo la perdita del potere di prevedere, quindi di valutare e giudicare, quindi della capacità di essere responsabile del proprio agire.
Ancora, il tema della prevedibilità e della responsabilità veniva richiamato nella sezione “Argomenti”, nel Settembre 2003, in “Raccontare la scienza: Bateson“: una riflessione, centrata sul pensiero di Bateson, dove si trovano specificamente citati due articoli di Galimberti: “Criminali altamente responsabili” (La Repubblica, 4 novembre 1999) e “Un terremoto che ci riguarda” (La Repubblica, 18 novembre 2000).
Riguardo al tema dell’inadeguatezza della nostra etica moderna a dare una risposta ai problemi posti dalla tecno-scienza, rimando infine all’item di questa Rassegna stampa “Dai princìpi forti all’etica del viandante” dello scorso Settembre.