Nella Sezione Argomenti l’attuale “Immagine Periodica”, intitolata “L’Urlo“, mostra l’omonimo quadro di Munch, un dipinto che racchiude
‘un’angoscia esistenziale che da esperienza privata diventa pubblica e universale’.
Gian Maria Borrello ne ha quindi fatto l’icona di un articolo, scritto in modo collaborativo (iniziativa “Collaborate“) e intitolato “L’inevitabile e il desiderabile“, che intende evidenziare in che senso l’espressione artistica sia in grado affrontare alcune questioni radicali nel rapporto tra l’uomo, la scienza e la tecnologia:
‘la visione del nulla a cui (ci) porta la tecno-scienza? L’incubo di una (nostra) dis-umanizzazione? La sofferenza atroce, anche fisica, conseguente alla consapevolezza di ciò che la tecno-scienza (ci) sta facendo?’
Il furto del quadro dal museo di Oslo ha motivato Umberto Galimberti a scrivere su Repubblica del 23 agosto l’articolo “Quel “grido” che racconta l’angoscia del ‘900” che presenta un’attinenza particolare col tema della preveggenza, di cui all’articolo “L’inevitabile e il desiderabile”.
Scrive infatti Galimberti:
‘Munch […] aveva anticipato in quel grido tutta l’angoscia del Novecento, un secolo che ha raggiunto una distruttività che, nelle sue proporzioni, nessun altro secolo ha mai conosciuto’.
Il pensiero di Galimberti sulla tecno-scienza che si è sottratta al controllo dell’uomo per muoversi secondo una propria logica è noto.
Si veda, in proposito, il richiamo a Galimberti in un altro articolo, anche questo parte dell’iniziativa “Collaborate“: “The Ultimate Danger: apocalittici e integrati“.
Nell’articolo di Repubblica, pur non facendo un riferimento esplicito alla tecno-scienza, Galimberti associa il grido di angoscia di Munch alla disarticolazione che la cultura del ‘900, di cui la tecno-scienza è parte integrante, ha indotto nell’uomo. Galimberti cita Sofocle, ma si può andare anche più in là: l’Ecclesiaste e Gilgamesh. E se è vero che
‘l’uomo prese a scavare se stesso e a scoprire che la distruttività lo abitava nel profondo, come mala radice inestirpabile’
è altrettanto vero che le culture del passato hanno saputo trasformare il grido in canto:
‘Canto ritmato, ritmo di gioia e di sfrenata esultanza, ritmo di lamento per inconsolabili perdite, non lenite da cieche speranze. Ed è in questa incerta quiete, cadenzata dalla gioia e dal dolore, che l’uomo riesce a fare storia e opere di civiltà.
Ma quando l’incerta quiete improvvisamente si incrina e i fantasmi del terrore fuori di noi e dentro di noi prendono ad agitarsi e a reclamare il loro diritto alla vita e all’espressione, allora il canto si strozza, sia il canto della gioia sia il canto del lamento. E quel che resta al vocalizzo umano non è più la parola, ma il grido inarticolato che, con la sua disperazione, fende l’atmosfera trasognata degli inganni e delle illusioni necessarie per vivere.’
Per Galimberti il ‘900 ha introdotto la perdita di senso della storia e perciò la
‘disarticolazione di tutti i canti e di tutti i ritmi. La storia crolla nell’insignificanza, dove ogni senso si inabissa, perché nella sua trama irrompe quell’attimo di verità che grida l’insensatezza dell’esistere.’
Lo stesso modo in cui si è attuato il furto è un paradigma del distacco dell’uomo dal senso della sua esistenza:
‘Ma se “il grido” di Munch era appeso a una cordicella, in una stanza senza metal detector, vicino all’uscita, per cui sono bastati quaranta secondi per portarlo via, allora c’è solo da sperare che l’incuria con cui era custodito il quadro, non sia la stessa incuria che riserviamo agli aspetti più drammatici, più densi, più tragici, più inesprimibili della nostra esistenza.’