Argomenti -- Topics
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Tutti gli interventi di Giugno 2004
(sotto questo elenco trovi anche gli ARCHIVI mensili)
Questi sono gli interventi del mese di Giugno 2004
Fai clic qui per vedere i più recenti
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Gli indici coprono il periodo che va fino ad Agosto 2004, mentre da Settembre 2004 gli Argomenti possono essere seguiti, in progressione cronologica, accedendo agli ARCHIVI (mensili) che si trovano in questa pagina, sotto l'elenco degli interventi.
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DiaBloghi
Blog di dialoghi sull'innovazione "poiesis intensive"
[25 maggio 2005]
"Rinnovare, cambiare o innovare?" è la nuova domanda apparsa in DiaBloghi!
[17 giugno 2005]
Leggi il "commento" scritto da Aleph V° in relazione al dialogo Cosa vuol dire che una cosa vale, e che vale poco o tanto?
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ARCHIVI mensili
Per gli argomenti trattati in precedenza, vedi gli INDICI
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Gli aggiornamenti nei BLOG - BLOG Updates
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Collaborate [29 giugno]
( 22 Giugno 2004 )
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Il testo che si raggiunge da Q U I è composto in una forma e seguendo uno stile che ad
alcuni potranno sembrare originali, ma che non lo sono affatto nel mondo
del Web. E', per così dire, un substrato per un esperimento
di scrittura collaborativa, sulla scia dei wiki.
[29 giugno]
Per la prima volta a convegno i partecipanti italiani
al progetto mondiale del sapere condiviso:
"Genova, ecco i "wikipediani"
creatori dell'enciclopedia in Rete"
Un'idea aperta e democratica della conoscenza.
Chiunque può mettere in Rete quello che sa su un tema.
di Monica Corbellini
(La Repubblica on line del 28 giugno 2004)
Che cosa
sono i wiki? Leggetelo qui e vedetelo qui.
Chi avrà la pazienza di tornare più di una volta sugli articoli scritti in modo collaborativo potrà
constatare come il loro contenuto andrà progressivamente
arricchendosi: tanto nel merito, quanto nei rimandi.
Scegliere di
seguire una modalità di scrittura collaborativa, sul modello dei wiki, comporta una costante
incompletezza nei contenuti, che in alcuni lettori può creare
insofferenza. Il problema sta nel fatto che leggere un testo di tal
genere richiede che ci si avvicini ad esso con un atteggiamento
cognitivo, duttile, che siamo disposti a colmare, anche per conto nostro, eventuali parti
che ci sembrano lacunose, ma soprattutto (questo è anche
l'aspetto più critico del meccanismo) che siamo disposti a
condividere con altri, in una logica collaborativa, questa modalità di fruizione dei
contenuti. In altre parole, che siamo disposti a dare, noi per primi, un contributo
intellettuale per mantenere in vita una certa sinergia. Infatti, come
potete già sperimentare, il modello dei wiki realizza (intende realizzare)
una condivisione della conoscenza: voi potete offrire agli altri lettori
un vostro apporto intellettuale, che può consistere in considerazioni, anche molto
libere, in merito a ciò che, in quel dato momento, state leggendo, oppure essere costituito da informazioni, notizie, link
che ampliano ed eventualmente correggono (in una parola "migliorano") quanto è pubblicato.
Dunque, se da un lato è vero che la frammentarietà di contenuti è un rischio insito nel
mettere on line un documento che segua il modello dei wiki, dall'altro lato questa iniziativa potrebbe attirare l'attenzione di un certo tipo di lettore. Così come potrebbe essere un fiasco.
Noi ci proviamo, un po' come abbiamo fatto con un recente
dialogo on line: anche quello era una sorta di
esperimento di scrittura in tempo reale e collaborativa. Vedremo, ora, che cosa
viene fuori da questo.
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Per esempio: l'utilizzo di Internet...
( 7 Giugno 2004 )
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Porre un problema è già, in un certo senso avviare una soluzione.
L'intervento di Carlo Penco su "Formazione, innovazione e ricerca" all'item "Se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica..." tocca diversi temi, che rimandano tutti alla responsabilità politica per la promozione di una cultura della formazione più adeguata alle esigenze di favorire la crescita dell'innovazione.
A mio parere non si tratta di superare la vecchia e frusta dicotomia fra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica. I fatti dimostrano che i buoni scienziati si nutrono anche di una buona cultura umanistica. Il darwinismo, sul cui insegnamento nelle scuole medie si è sviluppato recentemente un ampio dibattito, appartiene alla cultura moderna, senz'altri aggettivi, così come la teoria della relatività o la poetica leopardiana.
La reale dicotomia che ancora persiste nel nostro sistema formativo è fra la cultura del conoscere e quella del fare. Un retaggio che riecheggia la distinzione medievale fra arti liberali e arti meccaniche. E' necessaria l'integrazione fra il sapere teorico e astratto e il sapere empirico.
Per esempio utilizzare un motore di ricerca per internet appartiene più al sapere empirico, cioè a un tipo di sapere in cui è prevalente l'addestramento. www.motoridiricerca.it Ma lo studente che voglia elaborare una tesi che non sia una semplice somma di siti web deve essere in possesso di quella conoscenza teorica che gli permette di scegliere fra i vari siti web e all'interno degli stessi. Compito della nuova formazione deve essere perciò quello di integrare queste due diverse forme del sapere, come d'altra parte si legge nell'intervista di Panzarani.
Sembra però che, nei programmi scolastici, si tenda a tener separate le due forme di conoscenza, così coma una volta nei vecchi istituti tecnici l'addestramento alle macchine utensili era tenuto separato dalla tecnologia dimenticando che il buon funzionamento di una macchina utensile non consiste solo nel manovrare correttamente delle leve e degli interruttori, ma anche nell'avere un'adeguata conoscenza delle caratteristiche dei materiali lavorati. E perché questa integrazione avvenga è importante il ruolo dei formatori.
Ritornando ad internet, ma il discorso può essere allargato ad altri campi, è opportuno che, quale che sia la disciplina, il formatore sappia collegare l'insegnamento della materia con l'impiego di internet, stimolando la sensibilità dei discenti verso approfondimenti e ricerche più specifiche. Ma in primo luogo dobbiamo pensare ai formatori dei formatori.
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Se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica...
( 2 Giugno 2004 )
( scritto da
Carlo Penco
)
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Il commento di Giacomo Correale all'intervista del Prof. Panzarani mi sembra completamente condivisibile, ma non sufficiente. In un'ottica strategica, la sua conclusione mi sembra affrettata e quindi monca.
Se c'è declino e, quindi, bisogna risollevarsi, bisogna che ci sia una strategia. Le analisi sul declino, come quella del Prof. Panzarani e di Giacomo Correale girano sempre attorno ad una postazione/valutazione preoccupata della condizione ambientale (il declino, con una più o meno efficace individuazione delle sue cause), una valutazione delle risorse disponibili con ipotesi di una loro differente ottimizzazione (la scuola, la formazione, la ricerca e da ultima l'innovazione).
Ma per avere una vera strategia (e senza l'ambizione di proporre una strategia restiamo sempre sul terreno della pura aspirazione e dell'esortazione) ci vuole una visione: che non si ottiene dalla semplice antitesi del declino (sarebbe semplice).
Il risollevare il paese dal declino vuol dire aspirare ad un paese differente, ma nessuno esplicita come dovrebbe essere. Indirettamente sappiamo che dovrebbe essere più competitivo, dovrebbe avere più cultura, più ricerca, più efficienza. Ma la somma di queste cose non realizza automaticamente una visione in positivo. Temo che non sia tanto reticenza, ma proprio un buco, un vuoto: sappiamo cosa non vorremmo più essere ma non siamo in grado di dire cosa vorremmo diventare. Ma se vogliamo creare un movimento contrario al declino bisogna individuare un set minimo di obiettivi e valori verso cui indirizzare le forze.
Da questo punto di vista per me è stato illuminante l'intervento a un recente convegno del Prof. Rullani che penso possa essere considerata una voce autorevole. Rullani ha detto che si dovrebbe partire da una valorizzazione di quello che c'è prima di invocare uno sviluppo di cose che non ci sono (ricerca, industria tecnologicamente avanzata, ecc.) e impegnare le aziende (ma si potrebbe facilmente estendere l'invito anche ad altri soggetti: tecnici, intellettuali, forze sociali e politici, istituzione, ecc.) ad investire in conoscenza relazionale e in conoscenza riflessiva: quindi guardare un po' fuori dalla situazione corrente e interrogarsi di più su gli altri (come creare alleanze, fare squadra, trovare obiettivi e valori comuni, quello che in Francia c'è e si chiamano "Valori repubblicani") e capire meglio che cosa funziona ancora e come lo si può amplificare e migliorare (ad es. il Made in Italy, le piccole imprese, le multinazionali tascabili, il settore aerospaziale, il nuovo cinema italiano, lo Slowfood, il modello Sudtirolese di convivenza multietnica, ecc.).
Poi bisogna anche avere l'umiltà di guardare in basso e partire dai fondamentali: ha senso parlare di portare nella scuola Internet o l'inglese se mancano insegnanti, aule, banchi e carta igienica? Ha senso parlare di innovazione e di ricerca quando i nostri piccoli imprenditori gestiscono le loro imprese (4.000.000 di imprese) ancora con carta e penna e con un sapere gestionale inferiore a quello dei mercanti di Firenze (quelli che inventarono la partita doppia)? Ha senso discettare tra ricerca di base e ricerca avanzata quando l'ADSL si ferma ad Eboli e nel Sud le mafie contano più dello Stato?
Ma in ogni caso mi piacerebbe che ci si interrogasse di più su che tipo di Italia vorremmo costruire per il futuro.
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