Pubblichiamo in dieci slide uno sguardo mirato sui contenuti del rapporto “Scienza e Governance. La società europea della conoscenza presa sul serio”, a cura di Cristina Grasseni.
Il rapporto è stato presentato e discusso nei due incontri di cui abbiamo già dato notizia nelle nostre pagine: un convegno a Bergamo il 14 e 15 febbraio dal titolo “Costruire un ponte tra scienza e società. Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza” e, ad inviti presso la nostra sede nel pomeriggio del 15 febbraio 2008, l’incontro-seminario con Brian Wynne e Mariachiara Tallacchini.
Può essere di aiuto inquadrare il contesto in cui si è venuta sviluppando l’idea e poi il lavoro di riflessione e stesura del rapporto “Scienza e Governance. La società europea della conoscenza presa sul serio”, Rubbettino, 2008.
Il report su Science e Governance è stato commissionato dalla Commissione Europea (Direzione Generale per la Ricerca) a un gruppo di esperti in Science and Tecnology Studies (STS) come una delle azioni di avanzamento dell’agenda di Lisbona: quella per cui occorrerebbe trasformare l’Unione Europea in una Società della Conoscenza globalmente competitiva. Rispetto a questo obiettivo, cioè costruire una European Knowledge Society, il report di fatto propone una critica della nozione di società della conoscenza sottesa all’Agenda di Lisbona per come essa è stata intesa e impostata nella prassi politica, legislativa, comunicativa e amministrativa.
Si liquida infatti già dalle prime pagine il problema di una presunta disaffezione dei cittadini per la scienza, dicendo che questa disaffezione non c’è a priori. Se c’è, è un sentimento di ambivalenza generato dai modi politici con cui si è gestita e si gestiscono le decisioni (comunicative, giuridiche, legislative, amministrative) riguardo alla tecnoscienza in Europa.
Nello specifico, il report da un lato problematizza il ruolo degli esperti, che non possono scegliere da soli e non devono arrogarsi il potere di essere gli unici depositari di un unico sapere possibile, in materia di decisioni che riguardano la tecnoscienza e i suoi effetti socioeconomici sulla società, i diritti dell’individuo, l’impatto ambientale. Dall’altro, esso fa un richiamo preciso ai politici e ai funzionari che usano la retorica del sapere scientifico per finalità politiche di normalizzazione delle dinamiche sociali e di dibattito democratico, sulle dinamiche di diffusione della tecnoscienza nella società.
Con una serie di capitoli molto articolati che prendono in considerazione i diversi “regimi di innovazione” possibili, il dibattito sul rischio, i discorsi normativi nella scienza e nella governance europee, le molteplici facce del pubblico europeo e i nuovi regimi europei di coinvolgimento del pubblico, le modalità dell’apprendimento, della razionalità riflessiva e della “sperimentazione collettiva”, gli immaginari e le “grandi narrazioni” della scienza in Europa, il report decostruisce la received view che la scienza sia neutrale. Il linguaggio e i temi che gli autori consapevolmente volevano introdurre come una novità nel dibattito politico della UE, è quello dei Science and Technology Studies (STS).
La tesi complessiva è che vi possono essere e vi sono modalità “striscianti” con cui il giudizio “esperto” si tramuta in policy, orientata cioè da valori e orientamenti politici che rimangono però impliciti, talora incorporati in forme routinarie della pratica istituzionale
Nello specifico, poi, il report analizza criticamente concetti utilizzati in modo ambiguo e onnicomprensivo, come “innovazione”, “rischio”, “etica” (come in “legislazione etica” o “i valori culturali degli Europei”) e fa una ricognizione dei “pubblici” e degli scenari, dei “grand recits” e delle retoriche utilizzate per parlare di scienza e società in Europa. Raccomanda di non far collassare sulla nozione di “valutazione del rischio” tutta una gamma di qualità differenti di incertezza, quali l’ambiguità, l’ignoranza, l’indeterminazione; di superare la distinzione tecnocratica tra valutazione e gestione del rischio, e di passare da una concezione di governance della scienza incentrata sul rischio “a valle” delle scelte, per passare a una governance dell’innovazione che sollevi i problemi da dibattere “a valle” delle scelte da farsi.
Cristina Grasseni (16 febbraio 2008)