La cultura materiale a servizio dello spazio pubblico. Note sull’intervista di Veronica Trevisan a Stefano Micelli
Chi nel novembre scorso abbia assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Stefano Micelli – Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani (Marsilio 2011) – svoltasi a Milano nella cornice degli incontri School of Life, ricorderà l’autore e Piero Bassetti impegnati in uno scambio sul rapporto tra modo di lavorare e modo di convivere.
Il presidente della Fondazione Bassetti partiva, in quell’occasione, da uno stimolo del professore veneziano (Micelli insegna Economia e gestione delle imprese presso l’Università Ca’ Foscari e dirige la Venice International University) sulla nuova importanza che la parola Artisan va assumendo negli Stati Uniti per definire l’artigiano, in luogo del termine fino ad oggi più usato, Craftsman.
Riflettendo su come la glocalizzazione abbia messo in crisi la dimensione nazionale, Bassetti arrivava a concludere che sul rapporto con il lavoro come “orgoglio” culturale, antropologico, possa fondarsi un nuovo “riconoscimento” politico; un’identità includente che, nella sua analisi, egli fa corrispondere all’italicità.
Questa suggestione è un buon trampolino per spiegare la ragione del link che proponiamo dalle nostre pagine – il sito della Fondazione Giannino Bassetti – all’intervista fatta da Veronica Trevisan a Stefano Micelli, recentemente pubblicata da Globus et Locus.
La locandina di presentazione del volume poneva alcune domande chiare: “Cosa unisce le principali griffe italiane all’industria delle macchine di precisione che esportiamo in tutto il mondo?”; “Cosa lega la produzione di pezzi di design in serie limitata e la realizzazione di luna park e grattacieli su misura?”. La risposta è individuata dall’autore nel filo rosso rappresentato dal lavoro artigiano, descritto nel libro attraverso “i molti modi in cui è possibile declinare al futuro un’eredità che merita di essere proposta a scala internazionale”.
I lettori attenti a questi temi avranno forse già sfogliato un altro volume di case studies pubblicato in anni recenti, Il talento dell’impresa (Nomos edizioni), così come avranno familiarità con il dibattito suscitato da Il quarto capitalismo di Andrea Colli (Marsilio 2002) sulla funzione della media impresa nel contesto italiano. Quale il contributo specifico portato ora da Micelli con Futuro Artigiano? Come afferma l’autore nell’intervista che qui segnaliamo,
“Se guardiamo da vicino al successo di tante medie imprese del made in Italy, scopriamo che anche in questi contesti aziendali un ingrediente fondamentale della competitività è legato a un’idea e a una forma del lavoro che costituiscono un unicum a livello internazionale (…) un filo rosso che lega trasversalmente il successo di tante piccole medie grandi aziende che portano a testa alta il nome del made in Italy anche nelle cosiddette economie emergenti”
Micelli, descrivendo casi d’impresa, supporta questa tesi di fondo: la riscoperta del lavoro artigiano, non solo in Italia, supera i confini dell’economia, “costringendoci” a riflettere su cosa si debba intendere oggi per “creatività”, cosa per “meritocrazia” e, soprattutto, su quali opportunità di crescita si offrano alle nuove generazioni.
L’attenzione che Fondazione Bassetti riserva da tempo al mondo del design ci ha portati a indirizzare gli sforzi di analisi e quelli di progettazione proprio su quello del nuovo artigianato; e i nostri interlocutori – gli attori “aventi causa” in questo ambito – ci hanno spiegato che alle opportunità esposte da Micelli hanno fatto da contrappunto alcune “vischiosità” che forse solo oggi sono in via di lento superamento. Tra queste: la diffusione di una cultura pregiudizialmente ostile al lavoro manuale, l’inadeguatezza del sistema formativo nel proporre competenze e professionalità per le imprese, un problema “reputazionale”, ovvero di scarsa conoscenza e diffidenza per la realtà artigiana.
Chi si occupa di promuovere l’innovazione responsabile non può che porsi il problema di come si possa elevare il livello del discorso, producendo consenso (senso comune diffuso o, in altri termini, egemonia) anche su elementi simbolici. L’artigianato, se praticato e “rappresentato” nelle forme più aggiornate, può infatti produrre simboli e, con essi, distintività. Si pensi, solo per citare applicazioni apparentementi “di frontiera” ma già ampiamente presenti sulle pagine dei quotidiani, ai ricorrenti articoli sui tecno-artigiani e i makers (si legga, ad esempio, Luca Tremolada su “Nova – Sole 24 Ore” del 25 marzo 2012).
È lo stesso Micelli, ci sembra, a venirci incontro sul tema della rappresentazione: nel blog che prende il nome dal suo libro, l’autore scrive:
“L’innamoramento è la grande forza di una narrazione. Saper raccontare una storia al punto che lo spettatore si immedesimi e provi empatia. Questo è il punto di arrivo di ogni narrazione ben fatta (…) Facciamo un esempio. Un tempo le storie venivano tramandate oralmente, e oggi – per niente paradossalmente – assistiamo ad un ritorno al social reading (…) Eppure non dimentichiamoci che per raggiungere un numero critico di persone, gli strumenti del web sono la soluzione migliore perché spesso la più economica ed ecologica. E un artigiano dovrebbe sempre tenere a mente questo: non c’è nessun miglior storyteller che lui stesso. L’artigiano che racconta la propria arte non ha confronti“.
La storica dell’impresa Roberta Garruccio, in un articolo intitolato Memoria: una fonte per la mano sinistra. Letteratura ed esperienze di ricerca su fonti e archivi orali ha descritto in modo esemplare l’interesse che recentemente si è sviluppato intorno alla memoria – complice lo sviluppo delle neuroscienze e la riflessione sul destino degli archivi digitali – concentrandosi anche sulle peculiari caratteristiche della testimonianza di chi, nella vita, ha praticato il lavoro artigiano.
Più che il problema della testimonianza, ci interessa qui la potenzialità della rappresentazione. Promuovendo nel 2011 lo spettacolo di Laura Curino Mani grandi, senza fine (tra pochi giorni nuovamente in cartellone al Piccolo Teatro di Milano) la Fondazione Giannino Bassetti ha inteso guardare al design, e alla città che nell’immaginario internazionale ancora oggi ne rappresenta il cuore, assumendo un punto di vista situato: non descrivere lo statu quo, bensì intravedere uno scenario che trascenda il contingente, un improbabile da realizzare.
Nello stesso solco, oggi ci interroghiamo sull’artigianato per favorire una responsabilità dell’innovazione che incorpori la cura della formazione; che lo faccia sul metro della glocal-city; che si incarichi di facilitare la relazione tra attori di natura diversa (Comuni, Camere di commercio, federazioni e associazioni d’impresa, intellettuali, accademie, università). In altri termini, vogliamo porre la cultura materiale a servizio di un nuovo spazio pubblico, perchè riteniamo che questo sia un esercizio fondamentale di responsabilità nell’innovazione.
È dunque da questo punto di osservazione, da questa prospettiva che proponiamo la rilettura dell’intervista a Micelli e, naturalmente, la conoscenza del suo libro. (E, tornando alla parola “prospettiva”, per comprendere come essa incarni il nesso tra arte, manualità e politica si rimanda ai bei saggi di Giuseppe Mazzotta raccolti da Sellerio in Cosmopoiesis. Il progetto del Rinascimento).
È nostra convinzione che l’artigianato, come il design, avranno futuro se sapranno leggersi come messa in forma delle trasformazioni in atto nelle società complesse; e in questo ci pare di trovare piena consonanza con Micelli, quando afferma:
“Ci si deve orientare verso una concezione più inclusiva, verso un made in Italy che promuova non solo il prodotto italiano, ma più in generale un’idea di lavoro, di produzione, anche in altri contesti nazionali, facendo della centralità dell’uomo, del suo saper fare, della sua creatività un elemento di competitività e di dignità”.
Per dirla con le parole più volte pronunciate da Fondazione Bassetti: design e artigianato come nuove forme del lavoro.
Così, rinviamo via link all’intervista di Veronica Trevisan a Stefano Micelli, nel sito di Globus et Locus. Buona lettura.
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(fotografia: Coffee makers at a stall in Rome’s Campo dei Fiori di Elizabeth Buie da Flickr)