In un vecchio item di questa rassegna del 22 maggio 2003, Bohr e Heisenberg a Copenhagen nel 1941: un chiarimento definitivo? si è visto come l’opera teatrale rappresenti uno strumento estremamente adatto a rappresentare il problema della responsabilità sociale dello scienziato di fronte alle possibili ripercussioni della propria ricerca.
Al centro dell’articolo Ciò che si può, si deve fare redatto da Sylvie Coyaud per le pagine culturali del Sole 24ore del 5 agosto, in occasione del 41° Congresso mondiale della chimica vi è la piéce Should’ve di Roald Hoffmann, premio nobel nel 1981 (traduzioÂne italiana Se si può, si deve?, Di Renzo editore, Roma).
‘L’autore riassume così la trama: “Si apre con il suicidio di Friedrich Wertheim, un chimico d’origine tedesca, che si sentiva colpevole di aver consegnato ai terroristi un metodo semplice per creare una neurotossina. Le circostanze e i motivi del suo gesto travolgono la vita della figlia Katie, una biologa molecolare con idee molto diverse sulla responsabilità sociale degli scienziati, del suo compagno Stefan, un artista concettuale, e di Julia, la seconda moglie, separata da tempo. Cercano di resistere alla potenza trasformatrice della morte e ne sono incapaci, dilaniati dai ricordi, dal passato che essa fa affiorare portando a nuovi legami tra i personaggi”. Katie vuole ricreare in laboratorio il virus dell’influenza spagnola che uccise milioni di persone alla fine della Prima guerra mondiale, Stefan prepara un’installazione provocatoria che prende di mira la religione cattolica. Entrambi difendono la propria scelta con argomenti razionali Â- è un’occasione imperdibile, promette fama e carriera – senza accettare limiti né alla ricerca della conoscenza, né alla libertà di espressione. E’ Julia, sentimentale, priva di ambizioni, a chiedere “se si può, si deve?”‘
Giova ricordare che la riproduzione in laboratorio del virus della spagnola non è un’invenzione drammaturgica di Hofmann ma la trasposizione letteraria di una ricerca in atto; vedi sempre in questa rubrica l’item del 22 ottobre 2005 Il virus che viene dal Nord.
Il quesito che la piéce di Hoffmann pone, di quale o nessun limite, porre alla ricerca, sia essa scientifica ma anche artistica è un quesito difficile, anche perchè i risultati della ricerca non sempre sono univoci. Esitono infatti:
“opere stupende al servizio di ideologie mostruose e molecole bifronti, stupende anch’esse, che il contesto, l’intenzione, o l’ignoranza trasformano da benefiche in nocive”.
“Hoffmann però non ha dubbi. Anche se molti miei colleghi non saranno d’accordo, ritengo che certe ricerche non si devono fare“, diceva in un’intervista su Chemistry International di maggio. Pensa che un codice etico della ricerca sia necessario perché gli scienziati non nascono etici e la scienza non è eticamente neutrale“.
“La soluzione non sta nell’insegnare una filosofia morale tagliata a misura di ricercatore, aggiunge Hoffmann, ma nel coinvolgere scienziati e aspiranti tali in gruppi di discussione su casi reali, in una discussione da proseguire per tutta la vita.”
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