[22/10/05] : v. qui in calce
Facendo zapping fra qualche canale di provincia può capitare di imbattersi in un vecchio film dove una spedizione scientifica riesuma dai ghiacci dell’artico un qualche epigono della creatura del dottor Frankenstein che, se ricordo bene, alla fine del romanzo di Mary Shelley, si rifugia fra i ghiacci artici. Molto più frequenti sono le pellicole in cui l’umanità è messa a rischio a causa di un qualche virus letale che, o per imperizia e imprevidenza, o per follia di qualche ricercatore, o a seguito dell’azione di gruppi terroristici, viene diffuso nell’ambiente.
In realta, la notizia, apparsa in un editoriale de “il Rifomista” del 14 ottobre Risuscitato il virus della spagnola, somiglia tanto all’influenza aviaria, su un esperimento innovativo condotto da alcuni ricercatori americani che, riesumando alcuni resti umani sepolti nel permafrost dell’Alaska, hanno ricostruito il virus della spagnola, la pandemia che alla fine della prima guerra mondiale ha causato fra i 20 e i 50 milioni di vittime, può essere solo superficialmente associato alle fiction letterarie e cinematografiche.
Infatti, gli esperimenti, pubblicati su Science e su Nature:
‘non sono il frutto di una scienza che si avvicina sempre più all’orlo del precipizio. Tutt’altro: sono il risultato di una scienza responsabile che non smette di cercare un difficile punto di equilibrio tra le diverse istanze della società, anche quanÂdo si muove in settori inesplorati delle scienze della vita, come in questo caso’.
Inoltre scopo di questi studi non era quello di soddisfare la smania di protagonismo di qualche scienziato frustrato da insuccesso professionale:
‘Le informazioni raccolte, infatti, offrono un contributo preÂzioso per monitorare l’emergenza di nuovi ceppi patogeni per l’uomo e combattere la minaccia incombente di H5N1. Secondo i nuovi dati la spagnola non è il frutto del trasferimento di pochi geni da un virus influenzale aviario a un virus influenzale umano, com’è accaduto con le due pandemie minori del secolo scorso (Asiatica e Hong Kong)’.
Indubbiamente, esperimenti di questo genere comportano un certo margine di rischio; in primo luogo per le possibili emissioni nell’ambiente dei virus prodotti e, in secondo luogo, perché la diffusione di informazioni può indurre qualche malintenzionato a riprodurre il virus con obiettivi non scientifici.
Tuttavia, come scrive l’editorialista de Il Riformista:
‘i nomi dei firmatari e delle istituzioni coinvolte – dai Cdc di Atlanta all’Armed Forces Institute of Pathology di Rockville – rappresentano la migliore garanzia contro l’ipotesi di una fuga accidentale dei patogeni dal Laboratorio di biosicurezza 3 in cui sono conservati. Incidenti del genere in passato si sono verificati – per esempio con Ebola Reston negli Stati Uniti – ma in luoghi che certo non disponevano di misure di sicurezza paragonabili a queste. Altrettanto rassicurante è il fatto che la pubblicazione dei dati sulla spagnola sia arrivata solo dopo il via libera del National Science Advisory Board for Biosecurity americano (Nsabb), che è stato creato nel 2004 per monitorare la ricerca “dual use”, quella che pur essendo mossa da intenti legittimi corre il rischio di essere male utilizzata. Ma anche il pericolo di un uso bioterroristico, in questo caso, è basso: le armi biologiche efficaci e facilmente reperibili in natura sono tante – dall’anÂtrace al botulino – e non si capisce perché dei terroristi dovrebbero darsi la pena di praticare esperiÂmenti di frontiera per raggiungere lo stesso obiettivo. A conclusioni simili deve essere arrivato anche l’Nsabb che ha autorizzato la pubblicazione, riteÂnendo che i benefici scientifici che ne potranno derivare superano di gran lunga i rischi’
Ma al di là della fiducia si tratta sempre di non abbassare la guardia; una guardia che però non deve essere di… retroguardia e che non deve rivolgersi solo alle responsabilità della scienza, ma anche a quelle dei vari soggetti coinvolti, in primis la politica:
‘Il dibattito non si chiude certo qui, ma è lecito sperare che dopo gli esperimenti con la spagnola nessuno torni a proporre un forum internazionale che allarghi il focus alle questioni di sicurezza – safety e security – e ai risvolti etici della ricerca di frontiera. Sottoporre le scienze della vita a un secondo processo come quello che si tenne ad Asilomar agli albori dell’ingegneria genetica – rischia di ingigantire le paure e far dimenticare che, fra tutti i soggetti coinvolti, la comunità scientifica non è certo il meno responsabile’.
Per quanto riguarda la conferenza di Asilomar e, più in generale, il tema di cui all’articolo de “il Riformista”, si veda “Trent’anni tra principio di precauzione e responsabilità“, di Maddalena Adorno, nel sito www.biotecnologi.org (documento in formato PDF).
‘Sulle colonne del New York Times, Ray Kurzweil e Bill Joy hanno
lanciato un allarme rivolto a tutti gli esponenti della comunità scientifica: essi giudicano come una follia assoluta il fatto che il genoma del virus della spagnola sia stato reso disponibile, dal dipartimento della salute degli Stati Uniti, nel database GenBank, in Internet, e paragonano il genoma del virus a un’arma di distruzione di massa, come la bomba atomica, anzi peggio, visto che quest’ultima richiede materiali rari come il plutonio e l’uranio:
‘synthesizing the virus from scratch would be difficult, but far from impossible. An easier approach would be to modify a conventional flu virus with the eight unique and now published genes of the 1918 killer virus’.
E aggiungono che gli effetti della diffusione del virus sarebbero di gran lunga più gravi di quelli conseguenti all’esplosione di una bomba atomica.
Le loro considerazioni, tuttavia, non si fermano qui:
‘There are other approaches, however, to sharing the scientifically useful information (…) We urgently need international agreements by scientific organizations to limit such publications and an international dialogue on the best approach to preventing recipes for weapons of mass destruction from falling into the wrong hands. Part of that discussion should concern the appropriate role of governments, scientists and their scientific societies, and industry.’.
La loro conclusione è che serve un nuovo “Manhattan Project” per sviluppare difese specifiche contro le nuove minacce virali biologiche: tanto contro quelle naturali, quanto contro quelle… prodotte dall’uomo.Il testo integrale dell’articolo
[22/10/05]
Per quanto riguarda Joy e Kurzweil, autori dell’articolo sul New York Times citato qui sopra, suggerisco di dare un’occhiata all’articolo “Al di là della mancanza di consenso sui valori“, pubblicato nel sito della Fondazione Bassetti circa un anno fa, ed, eventualmente, anche ai quattro che lo hanno preceduto.