Su La Stampa del 14 agosto 2007, è stato pubblicato un intervento di Gianni Vattimo sui limiti che la ricerca scientifica oggi dovrebbe avere. Il titolo dell’articolo è “Il progresso scientifico? Facciamolo rallentare. L’etica della responsabilità strumento contro i fanatici delle verità a tutti i costi“. In esso Vattimo spiega quale sarebbe stato il suo intervento al 41 congresso mondiale di Chimica pura e applicata in corso al Lingotto di Torino.
Vattimo introduce il suo intervento con una osservazione della diffidenza diffusa oggi verso la scienza moderna. In particolare nota come tale diffidenza sia più forte verso al chimica che rispetto, ad esempio, verso la fisica. E questo forse perché la chimica è più vicina, sia perché se ne provano subito i sapori e gli odori, sia perché ci si sente d’averla praticata mischiando cocktail e inventando piatti inediti per la cucina.
Ciò comporta non tanto l’esigenza di un maggior rispetto per la natura, quanto semmai che la ricerca “deve tener conto di questa maggior vicinanza ai profani e alla loro vita quotidiana, che si accompagna a una più grande diffidenza.”
“Comunque,” continua “come e forse più ancora che nel caso della fisica e di ogni altra scienza, qui l’etica è piuttosto un affare sociale che individuale. Non ha ovviamente alcun senso prescrivere ai chimici di non manipolare la natura, visto che la loro scienza non fa altro che questo. Allora, però, che osa pensiamo sia il loro ‘dovere’?” … “si può chieder loro di essere dei ‘buoni’ chimici. Un buon chimico è ovviamente un chimico capace.” Ma anche l’inventore dei gas per sterminare gli ebrei era un buon chimico (e chimico era uno dei più stretti collaboratori di Saddam). “La sua etica consisteva nel corrispondere a un mandato sociale affidato alla sua competenza scientifica.” … “Dobbiamo riconoscere che qui tutto dipende del valore etico del mandato a cui si risponde” E quindi Vattimo arriva alla domanda chiave del suo intervento: “A che mandato sociale risponde la chimica?“.
Vattimo rifiuta la risposta che risponde al mandato di ampliare la conoscenza della verità, soprattutto di “ogni verità“: le ricerche che vengono realizzate sono talmente specifiche che la manipolazione richiesta dall’esperimento aderisce e si identifica con lo scopo per cui viene fatto. Ed è per questo che probabilmente “un vero genio della chimica (…) sarebbe quello che riesce a farsi dirigere da un mandato sociale più ampio di quello del profitto, industriale o suo privato, persino del premio Nobel.” Questo mandato sociale “più ampio” è un aspetto etico in quanto anche politico: “in quanto ha da fare con esigenze sentite dal mondo in cui lo scienziato vive e che egli non può illudersi di interpretare pienamente solo con il proprio genio“.
A questo punto Vattimo passa al punto che chiama ‘dolente’: “assoggettare la scienza alle decisioni delle maggioranze elettorali?” e poi “sarebbe bello che in questioni come queste (clonare o non clonare esseri umani) si potesse decidere solo in riferimento alla natura, come vorrebbe soprattutto la Chiesa. Ma la natura non ha una voce così univoca, e del resto l’uomo è naturalmente sopravvissuto fino ad oggi perché non l’ha rispettata nella sua mitica intoccabilità. Il ‘principio di precauzione’ che giustamente si invoca è solo un esempio di etica della responsabilità che anche e soprattutto gli scienziati non ignorano“. Per Vattimo la risposta potrebbe essere quindi che il problema resta nel riconoscere i limiti e la ‘compatibilità’ sociale di quel che si fa. Nel caso della clonazione umana (problema che probabilmente si potrà presentare in futuro), ad esempio, si tratta di riconoscere che al momento viene accettata l’idea della clonazione parziale, mentre l’idea di una clonazione completa, vera e propria è ancora molto lontana. Rallentare un po’ quindi perché “preferiamo vivere in una società più umana, e dunque anche più consueta e familiare, piuttosto che in un mondo magari migliore, ma in cui non ci riconosceremmo più“.