(Questo articolo è del 16 aprile 2005 e questo è il motivo per cui lo riproponiamo:
Due settimane fa si è spento a 88 anni Daniel Callahan, pioniere della bioetica e co-fondatore nel 1969 vicino a New York del primo centro dedicato alle riflessioni bioetiche della biomedicina moderna, l’Hastings Centre, diventato in breve un punto di riferimento nel mondo in questo settore. Uno dei temi più esplorati da Callahan è stato senz’altro le criticità della medicina moderna, che ponendosi come strumento per eliminare i limiti della finitezza della vita, usando la tecnologia per rimandare indefinitamente il passaggio naturale alla morte, crea dei sistemi economicamente non sostenibili e socialmente non inclusivi, diremo con parole correnti. Una riflessione che ha suscitato grandi dibattiti, ma che risuona ancora oggi ad anni di distanza attuale e cogente. Callahan è stato ospitato in Fondazione Bassetti nel febbraio 2005, dopo una sua lecture, promossa sempre dalla Fondazione Bassetti, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dal titolo “The implications of innovation in the health field”.
In occasione della sua scomparsa riproponiamo i materiali raccolti sul nostro sito in quell’occasione certi che le parole di Callahan e dei commentatori dei due eventi, anche a distanza di quasi 15 anni, possano ancora sollevare dilemmi rilevanti, le cui risposte e soluzioni, ora più che mai, non sono più rimandabili.)
Si è tenuto presso la sede della Fondazione Bassetti in via Barozzi 4, il 21 febbraio 2005 alle ore 15.00, il seminario ristretto di discussione con il Professor Daniel Callahan, a seguire dalla sua lecture su Innovazione, Responsabilità e Medicina tenutasi presso l’Università Cattolica la mattina stessa.
Hanno partecipato Roberto Bernabei, Professore di Geriatria alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Gianluca Bocchi, Professore di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Bergamo, Luigi Campiglio, Prorettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Cesare Catananti, Direttore Sanitario del Policlinico Gemelli di Roma, Mario Garraffo, Senior Adviser della General Electric Italia, Giulio Giorello, Professore di Logica e Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano, Mario Greco, Amministratore Delegato RAS, Edoardo Jacucci, Ricercatore presso la Facoltà di Matematica e Scienze Naturali dell’Università di Oslo, Sebastiano Maffettone, Professore di Filosofia politica presso la Luiss Guido Carli (Roma), Luigi Orsenigo, Professore di Economia Industriale all’Università di Brescia, Riccardo Pulselli, Dottorando in Scienze Chimiche all’Università degli Studi di Siena, Luciano Ravera, Direttore Generale dell’Istituto Clinico Humanitas (Milano), Giuseppe Remuzzi, Coordinatore delle ricerche del Laboratorio Negri, Bergamo, Alberto Scanni, Professore di Oncologia Medica e Chemioterapia all’Ospedale Fatebenefratelli (Milano), Maria Chiara Tallacchini, Professore di Scienza, Tecnologia e Diritto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Marco Vitale, Presidente Onorario dell’AIFI – Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio (Milano).
Per la Fondazione Bassetti erano presenti Piero Bassetti, Presidente, Massimiano Bucchi, docente di Sociologia della Scienza all’Università degli Studi di Trento e Cristina Grasseni, Ricercatrice in Antropologia Culturale all’Università degli Studi di Bergamo.
Ha aperto i lavori Daniel Callahan con una breve ripresa dei temi della lecture del mattino, soffermandosi sui contenuti affrontati nei due libri che sono seguiti a False Hopes (l’unico libro di Callahan tradotto per il grande pubblico italiano con il titolo La medicina impossibile da Baldini e Castoldi). La tesi principale, per esempio in What prize better health è che il dibattito sulla ricerca scientifica non dovrebbe esclusivamente essere condotto sulla base di considerazioni morali ma anche di un’analisi costi-benefici, cioè di quanto beneficio certe linee di ricerca possano portare in termini di applicazioni mediche a larghi settori della popolazione.
Si tratta in altre parole di bilanciare il diritto di scelta (choice) con quello di accesso equo (equity), laddove tra i sistemi sanitari mondiali quelli europei sono maggiormente sbilanciati sulla equità dell’accesso, e quello americano sulla scelta. Tutto ciò in un contesto culturale in cui il progresso medico è un valore mai messo in dubbio e si è imposta ormai l’idea che non è immorale guadagnare nel settore sanitario (il reddito di un cardiologo negli Stati Uniti si aggira tra il mezzo e il milione di dollari annui). Si tratta di capire se non si possa stabilire uno stato stazionario (a steady state) che sia soddisfacente per i più.
Tra le reazioni, quella di Maffettone si sofferma su un’analisi di ciò che Callahan può effettivamente intendere per sostenibilità della medicina: come si stabilisce la lista delle risorse da preservare, a priori o a posteriori? Con procedure calate dall’alto che possono sfociare nel paternalismo o attraverso procedure democratiche che determinano innanzitutto i valori sulla base dei quali le risorse vengono di volta in volta identificate? Non si tratta qui solo di problemi di finanza e tecnologia, ma di scegliere tra cornici liberali o autoritarie in cui collocare i valori dell’educazione e della responsabilità personale.
Vitale sottolinea l’importanza della tesi per cui dovremmo rieducarci ad accettare la morte come parte della vita, ma enfatizza che ciò non deve partire dalla semplice constatazione dei costi economici. Non si computano mai i risparmi e i ritorni dovuti agli investimenti sanitari. Per esempio, il ritorno economico dell’abolizione della malaria. La diversità dei sistemi sanitari americano ed europei è fondamentale, e non è detto che si debba dare per scontato che i secondi siano votati alla bancarotta. Il sistema americano costa il doppio di quelli europei ed è molto meno equo. Inoltre negli Stati Uniti è attiva la lobby farmaceutica, la seconda per potenza, che protegge tra l’altro i salari astronomici dei medici. Il motivo per cui il modello europeo funziona meglio non è la vocazione solidale degli europei, ma il fatto che il sistema funziona su base cooperativa, attraverso l’imposizione di tasse. In Italia per esempio si è tenuto conto della tendenza demografica fino al 2050 e proiettato un incremento delle risorse destinate all’assistenza sanitaria del 10%, parte grazie a risorse private – un incremento accettabile considerando anche l’incidenza enorme dei costi di cattiva amministrazione che sono quelli su cui ci si potrebbe concentrare. La preoccupazione maggiore di Vitale comunque al di là dei dati concreti è l’impostazione di fondo del discorso della responsabilizzazione coatta dell’individuo, in quanto potrebbe sfociare in un “fascismo sanitario”, una “teologia clinica”.
Callahan di contro fa notare come sia possibile in America per un datore di lavoro formulare un business argument secondo cui, poichè è il datore di lavoro a pagare i costi dell’assicurazione sanitaria dei dipendenti, se il dipendente fuma o è obeso costerà circa il 20% in più in polizze e interventi, per cui è legittimo imporre ai dipendenti di non fumare o di prendere misure per ridurre il proprio peso. Le misure anti-fumo recentemente prese in Italia sono a beneficio dei costi sostenuti dalla società per le malattie causate dal fumo e non sono percepite come “fasciste”. I prezzi, e non i costi, del sistema sanitario americano sono piu’ alti, e questo è dovuto soprattutto all’incidenza delle grandi tecnologie.
La ripresa di Orsenigo si chiede quanto le tesi di Callahan dipendano da considerazioni economiche e quanto da altre argomentazioni etiche o mediche. Una argomentazione principalmente economica pone molti problemi. Siamo di fronte ad un problema di “economia dei diritti umani”, il che è un ossimoro nella scienza economica: i diritti umani sono beni che non hanno prezzo ma sono costosi.
Callahan tuttavia fa notare come la ricaduta pragmatica di un approccio di questo genere è il fatto che, poiché la gente non vuole pagare tasse alte per finanziare un servizio che assicuri a tutti il rispetto dei diritti, i costi delle coperture assicurative rimangono alti e ciò causa il problema americano di avere larghi settori della popolazione scoperti da qualsiasi forma di assistenza. Inoltre c’è il problema di stabilire un limite ai diritti: avere un trapianto di cuore assicurato a 90 anni sarebbe un diritto?
Bernabei sottolinea come il problema sia proprio quello di un cambiamento delle società industrializzate nel senso di un invecchiamento della popolazione. In Italia il 20% della popolazione è over 65. Se si considera che i test clinici sui medicinali escludono per definizione gli over 70, ci rendiamo conto che lo stesso concetto di evidence-based medicine in realtà non tiene conto di come stia cambiando il mondo. Piuttosto, occorre tenere sempre piu’ in considerazione l’erogazione di “care” laddove viene a mancare spazio per erogare “cure”. Per i sistemi di care, come per esempio l’assistenza domiciliare, non ci sono protocolli o standard di riferimento.
Secondo Callahan, inoltre, il problema dell’invecchiamento solleva ulteriori questioni di equità: è giusto che un bambino di 9 anni debba competere per le stesse risorse con un uomo che ha già vissuto 90 anni?
Garraffo aggiunge che gli usi della biologia molecolare nella diagnosi precoce delle malattie possono anche comportare un rischio di selezione negativa da parte delle assicurazioni. Dal 3 al 5% dei costi sanitari è dovuto a cause legali, e alle pratiche di super-trattamento e super-diagnosi che si ingenerano per evitare ricorsi.
Tallacchini riporta il dibattito alla questione dei processi decisionali. Chi dovrebbe porre dei limiti? Come si decidono le preferenze? Ciò ci porta a porre particolare attenzione alle sperimentazioni in atto sulle procedure di partecipazione democratica, di condivisione della responsabilità e di clinical governance. Il governo britannico sta portando avanti un’iniziativa di condivisione di responsabilità e di conoscenza con il “paziente esperto”, una figura che si forma favorendo tra l’altro la messa in rete delle esperienze di pazienti con la stessa malattia. Questo cambiamento di orientamento si vede anche in relazione a soggetti “problematici” come i Testimoni di Geova, rispetto ai quali si è passati dalla trasfusione coatta all’ascolto di comitati di pazienti presenti negli ospedali. L’idea è che le decisioni top-down possono essere sostituite da idee e procedure innovative di decisione che possono venire dai cittadini. Per cui piuttosto che tematizzare il problema di “educare il cittadino” occorre mettere in atto circuiti virtuosi attraverso i quali il cittadino educa se stesso.
Callahan nota come per esempio negli Stati Uniti ci si stia muovendo verso un maggiore controllo dei prezzi dei medicinali e come questo sia il risultato della mobilitazione dei pazienti in reazione al fatto che spesso le polizze assicurative non coprono questi costi.
Bucchi solleva però il problema di come si possa imporre l’agenda della sostenibilità della medicina, laddove non c’è un ovvio soggetto sociale che se ne faccia portatore (come è stato il caso in altre trasformazioni culturali come il femminismo o i movimenti contro la discriminazione razziale).
Campiglio sottolinea come nel caso dell’Italia un soggetto sociale sia quello degli anziani: nel 2050 ci saranno 7 milioni di over 80 (ora ce ne sono 3 milioni). Per loro il problema non è quello del rischio ma dell’incertezza del futuro, che dipende dalla loro capacità di risparmio.
Bassetti riporta il dibattito al tema dell’innovazione: come impattano le trasformazioni dovute all’innovazione medica (ingegneria genetica, tecnologia diagnostica, microchirurgia) sullo sviluppo dello stesso sistema? La logica di chi introduce innovazione (scienziati, ingegneri, capitalisti sanitari) non è quella dell’assistenza medica ma quella del profit-making. D’altronde la logica di chi ne paga i costi non è quella di mercato. Infatti il paziente non è un cliente, un consumatore che possa davvero scegliere, intervenendo quindi sulla determinazione dei prezzi. Quindi né dal mercato né dalla legge allo stato attuale delle cose provengono incentivi alla responsabilizzazione. Chi si prenderà la responsabilità politica di controllare l’innovazione spostando risorse?
Secondo Jacucci non è detto, a differenza di quanto sostiene Callahan, che non si possa correggere il sistema con i soli mezzi dell’innovazione amministrativa. L’informatica medica per esempio promette di aiutare a gestire in maniera piu’ economica il sistema. E la storia insegna che l’introduzione dell’innovazione chiave al momento giusto cambia il quadro intero di riferimento.
Analogamente, ma sul versante dell’innovazione scientifica, Giorello ricorda che nuove tecnologie spesso permettono costi piu’ bassi. Non è proprio possibile pensare che la medicina, come la scienza, scopra in se stessa i propri limiti senza doverli imporre dall’esterno?
Anche Ravera sostiene come migliore gestione e tecnologie informatiche permettono di liberare molte risorse, non solo, ma di trasformare l’intero sistema-ospedale.
Per Callahan la logica della medicina è inevitabilmente legata all’individualismo dei singoli. Ci sono attualmente soggetti che si possono permettere cure migliori di quelle offerte dai sistemi pubblici. Il desiderio di ottenere sempre migliori trattamenti e prestazioni non ha limiti. Le soluzioni di gestione non permetteranno comunque di pagare un paziente di asma perché si trasferisca armi e bagagli in un clima piu’ consono alla sua salute. Inoltre un’economia di scala non si applica ai costi della medicina perché un trattamento anche piu’ economico che non in passato, ma che venga offerto a tutti, costa comunque molto alla società intera. Nella cultura americana i vincoli burocratici e amministrativi che di fatto imponiamo ai pazienti in Europa sarebbero impensabili: per esempio il fatto di passare dal medico di famiglia per la scelta di uno specialista. L’individualismo medico in America è molto piu’ spiccato. Questo significa per esempio che molti pazienti in dialisi ricevono questo trattamento solo per beneficiare di due mesi in più di vita.
Remuzzi ricorda che l’industra farmaceutica è regolata dal profitto, e che la ricerca ha bisogno di essere piu’ indipendente dall’industria. Non si fa praticamente ricerca sulle malattie tropicali, mentre AIDS e malaria sono problemi gravi in Africa. Occorrono agenzie indipendenti e basate sulla ricerca che tutelino i pazienti da situazioni come quella emersa recentemente a proposito del VIOXX.
Catananti ricorda inoltre che il diritto alla salute da noi è costituzionalmente sancito. Inoltre non sembra che i sistemi sanitari nazionali siano votati alla bancarotta. Piuttosto che porre un problema di limiti è giusto muovere verso una governance dell’innovazione che dia piu’ potere ai pazienti.
Per Callahan, tuttavia, il problema non è quello della bancarotta ma dell’equa distribuzione delle risorse a settori diversi della società, per esempio quello dell’educazione piuttosto che quello della sanità. E le corporazioni stanno muovendo verso comportamenti sempre meno “socialmente responsabili”.
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