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Roberto Panzarani è docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma.
Da molti anni opera nella formazione in Italia. E’ stato tra l’altro responsabile della formazione in Alitalia, dove ha fondato l’Alitalia Business School. E’ stato Presidente dell’AIF (Associazione Italiana Formatori) e Presidente di Governance (Associazione per la promozione della conoscenza e delle competenze per l’esercizio delle responsabilità direzionali).
Nel 1999 è stato consulente per la Presidenza del Consiglio nella stesura del Master Plan per la Formazione. Esperto di Business Innovation lavora con il top management delle principali aziende italiane.
Questa intervista ruota attorno alla tematica degli "asset intangibili":
‘Intangibilità significa l’emozione, l’importanza cui assurge l’ideazione e la fantasia, una serie di elementi sicuramente importanti anche prima, ma che oggi destano particolare attenzione e devo dire anche preoccupazione. E proprio da questa preoccupazione nasce l’attenzione a quello che è stato definito capitale intellettuale.’ (Panzarani, intervista pubblicata sulla rivista dell’House Organ del Credito Cooperativo, giugno 2004)
Prima parte (27 settembre 2004)
Tommaso Correale Santacroce:
1. Marchio.
Non c’è modo migliore per spegnere il fuoco vero di una emozione che dichiarare "sono emozionato". Subito dopo essa non c’è più, almeno non così intensamente.
Dare un valore ad un asset intangibile è come formalizzare qualcosa di impalpabile, invisibile, difficilmente descrivibile. Una banca che pubblicizza "rivolgiti alla tua banca" quanto cambia realmente la propria relazione con il cliente? O forse è una operazione di marketing?
Roberto Panzarani:
E’ sicuramente un ‘operazione di marketing! Purtroppo come ricorda Rifkin una volta nasceva prima la cultura e poi si sviluppavano i commerci e tutta la dimensione mercantile. Oggi è il contrario le pagine di Naomi Klein in "No Logo" si sprecano su questo argomento. In un grande centro commerciale di San Paolo – i centri commerciali ormai sostituiscono le piazze e i luoghi di incontro per le persone sempre però immerse in una dimensione di compravendita – è possibile leggere un cartello che dice "Siete nel centro delle vostre emozioni". Tutto quindi è mercato,è quasi impossibile distinguere fra ciò che sono le nostre emozioni originali, quelle indotte e viceversa. Detto questo, il tema è ormai talmente pervasivo che dovremmo ridiscutere la natura stessa del capitalismo attuale e ridisegnarne i confini. Come ci dicono due libri interessanti "Salvare il capitalismo dai capitalisti" di Zingales o "Uccideranno il capitalismo " di Bebèar.
Correale:
2. Etica (Business Ethics).
Io credo che il valore forte dei marchi e dell’immagine di una azienda lo si trovi sempre nella stretta corrispondenza con il modo con cui l’azienda in toto si relaziona con il cliente, con la qualità del suo prodotto, con le scelte di responsabilità verso l’ambiente che la circonda. Quanto la scelta di valorizzare i propri asset intangibili, per una qualsiasi organizzazione, si dovrebbe riflettere all’esterno? Dove per "riflettere all’esterno" intendo, non una maggiore visibilità, ma la concreta realizzazione di un cambiamento.
Panzarani:
E’ il grande tema del CSR della Corporate Social Responsibility su cui anche le principali aziende italiane stanno investendo e molto probabilmente investiranno sempre di più nel futuro. Il rischio è che, al di là delle parole, costruire un azienda "sostenibile" non è facile se lo si vuole fare sul serio si vanno a toccare tutta una serie di interessi e di modalità che indubbiamente possono danneggiare chi in questo momento sta guadagnando da questo status quo. E’ vero che è anche impossibile continuare così. Se vogliamo, l’ultimo tentativo di creare un modello non sostenibile a fini di interessi capitalistici particolari è la guerra in Iraq. Ma non sta funzionando, quindi sono convinto che a livello internazionale si svilupperà un’esigenza diversa, di accedere alle fonti energetiche e di produrre. Accanto a questo l’emergere dei nuovi paesi orientali Cina ed India porrà dei problemi grossi di sostenibilità e di inquinamento non verificatisi mai prima! Quindi sostenibilità significherà sopravvivenza! Detto questo la follia dell’uomo non ha limiti.
Correale:
3. Cultura.
Per le organizzazioni portatrici di cultura per eccellenza, penso alle biblioteche, ai teatri, ai musei, un generalizzato aumento d’interesse per gli asset intangibili dovrebbe essere una fortuna, come ri-scoprire di avere un tesoro in cantina. Questi tipi di realtà come potrebbero sfruttare la maggiore spinta a valorizzare gli asset intangibili?
Panzarani:
E’ una domanda molto pertinente e rispondo in modo molto diretto dicendo che queste organizzazioni al momento sono del tutto prive di questa consapevolezza e questo naturalmente è il problema italiano! La tematica degli asset intangibili è nata paradossalmente (anche se è ancora poco applicata) ancora una volta in ambito industriale e finanziario. Il resto delle organizzazioni sono completamente a zero. E’ chiaro, e alcuni recenti articoli di Giuliano Amato hanno sottolineato tutto questo, che è il grande tema del "Che fare? dell’Italia o dell’Europa". Anzitutto penso che bisogna sviluppare una maggiore consapevolezza da parte degli artisti, degli operatori culturali, insomma di tutte quelle persone che si occupano di cultura, del reale valore del loro operare. Per alcuni è molto chiaro pensiamo agli attori holliwoodiani o agli astri sportivi ecc. (su questo inviterei a leggere "Il futuro della ricchezza " ed. Franco Angeli di Stan Davis e Christopher Meyer) ma per la gran parte no.
Pur essendo in una società post-industriale la nostra visione economica e gestionale è ancora molto arretrata ed ancorata alla visione e alla misurazione tipica dell’industria. In sostanza la realtà supera la nostra forma mentale ma la nostra visione "astratta" fuori del tempo della realtà ancora ci condiziona pesantemente e ci fa perdere opportunità importanti. Vorremmo ancora continuare a produrre prodotti con la catena di montaggio non capendo che è impossibile è consideriamo residuale il nostro reale core business: la cultura, l’arte, il turismo. Ci sono alcuni fatti in controtendenza: penso per esempio ai bellissimi festival della letteratura di Mantova e a quello dei filosofi di Modena. Sono festival che stanno attirando sempre più persone, anche a livello internazionale. E tutto questo nonostante il trash manipolatorio e abbastanza delirante delle nostre tv. Le persone insomma dimostrano di avere delle risorse insospettabili per poter essere realmente all’altezza di un paese come il nostro che ha avuto una storia così importante a livello culturale. Detto questo è assurdo che sia un americano a dircelo ma sempre Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro sul sogno europeo parla dell’Europa come del grande laboratorio del futuro anche a fronte dello spegnersi del sogno americano, ed elenca proprio quelle caratteristiche di cultura e distribuzione della ricchezza, che dopo tanto tempo in qualche modo qui sono presenti e ci permettono di pensare ad un futuro migliore per l’umanità.
Seconda parte (16 ottobre 2004)
Correale:
4. Involucro e contenuto.
Per quanto riguarda la relazione tra il marchio e l’azienda, mi viene in mente quella fase della storia del design in cui l’involucro degli oggetti, grazie allo sviluppo tecnologico, si è scollato dal contenuto. Quando il contenuto di una macchina da scrivere si è trasformato, da un ammasso di leve e parti meccaniche (che obbligavano ad una certa forma), ad un assemblaggio di parti elettroniche, si è posta una scelta, e insieme una grande libertà, a chi si trovava a dover disegnare l’involucro della parti: estetica o praticità? Moda o ergonomia? Molto dello spazio interno di un involucro restava vuoto perché le parti interne si erano rimpicciolite. Ancora adesso la progettazione di un oggetto si sposta propendendo a volte da una parte, a volte dall’altra. Il valore della sua forma e il valore del suo contenuto spesso non coincidono, eppure dipendono uno dall’altro.
E’ curioso che la questione degli asset intangibili sembri riguardare il contenuto (il valore dei singoli individui coinvolti in una impresa) per poi invece esprimersi in una dichiarazione di forma (un logo senza un vero sostegno di cambiamento in qualità e responsabilità).
Panzarani:
Questo è interessante oltre che per gli oggetti anche per le aziende. E’ assolutamente incredibile la mancanza di attenzione ai luoghi che le aziende oggi hanno. Nella fase industriale, non solo le aziende ma anche i quartieri erano costruiti per una "destinazione monofunzionale" come direbbe Toefler. (E’ molto interessante al riguardo l’ultimo libro di Richard Sennett "Rispetto" ed. Il Mulino).
Pensiamo a Detroit, ad Arese o alla stessa Ivrea. Quest’ultima con la grande differenza della particolare attenzione che Adriano Olivetti dava all’ambiente di lavoro e alla sua ergonomia.
Per quanto riguarda l’esteticità degli oggetti questa sicuramente è diventata importante "economicamente" nella società post-industriale e qui l’Italia ha giocato un ruolo fondamentale.
Naturalmente dando per acquisite tutte le caratteristiche tecniche come perfette. Lo swatch nasce quando i giapponesi avevano inventato un orologio che era 125 volte più preciso di quello di cui avevamo bisogno. Ed ecco che a questo punto "la differenza" economica è data da bello o brutto. E così per tutti gli altri oggetti di Alessi, Frau, (persino per le Ducati o le Ferrari diciamo che sono belle, la loro velocità a questi livelli è una "commodity") ecc, il valore è dato dall’esteticità. Naturalmente tutto questo è compreso strategicamente molto meglio all’estero che qui, ma questo è normale.
Il logo "decade" o danneggia quando ovviamente cadono le fondamenta. Mi sembra che Parmalat possa essere un buon esempio, ma senza andare in questa tragicità, è già significativo che quando cambia l’AD di una azienda importante le azioni in borsa cadono o salgono…
Correale:
5. Emozioni e "non luoghi".
Altra questione che mi viene in mente sono quel che Marc Augé chiama i "non luoghi": gli aeroporti, i centri commerciali, le catene di negozi in merchandising, i parchi tematici che "mimano" luoghi esistenti in altre latitudini…
Se è difficile distinguere tra emozioni originali e emozioni indotte, se i non luoghi esistono non solo sul piano del mercato e del capitale, ma anche sul piano esistenziale, se i modelli non sostenibili hanno saturato le possibilità del pianeta, la monetarizzazione del valore creativo individuale è un passo verso una catastrofe oppure è un segnale di svolta sostanziale?
Panzarani:
Proviamo a credere nell’ultima affermazione. Con grande difficoltà e senza grandi illusioni penso tuttavia, come dicevamo, che ci sia una reazione delle persone alla ricerca di una maggiore autenticità. E’ come se l’avidità del mercato avesse saturato persino le persone meno attrezzate culturalmente. E quindi la disaffezione che si sta riscontrando per la pubblicità e i modelli che propone inizia ad essere "produttiva" in senso umano. In sostanza ci sono segnali di "intelligenza sociale" che prima erano assolutamente inesistenti. Il tentativo del mercato è dunque di impadronirsi di queste "emozioni" o di queste "disaffezioni", in ogni caso per ricomprenderle in termini monetari. O ci sarà una umanizzazione del mercato o ovviamente si svilupperà una ulteriore "monetizzazione" dei sentimenti umani. Voglio sperare nella prima.
Il tema comunque non sono gli strumenti ma ovviamente i modelli. Chi si occupa di modelli è la politica e purtroppo sono vari anni che in Europa, e in una buona parte del mondo, la politica non attrae cervelli.
Correale:
6. Interessi personali e comuni.
Di fronte ad un ritardo sempre crescente nella valorizzazione del patrimonio intangibile del nostro paese e di fronte ad interessi personali che non si mettono in gioco per realizzare interessi comuni, quanto gioca la formazione, o la crescita culturale all’interno delle scuole?
Mi sembra che il terreno fertile ci sia (come anche lei fa notare, lo possiamo vedere anche nel pubblico che esulta ai festival di letteratura e filosofia), ma che siano rare le figure competenti nell’immaginare e realizzare strutture ed eventi che sostengano questa spinta. Come se il ritardo delle istituzioni sia anche a livello delle attività riconosciute…
Panzarani:
Come professione sono un formatore e sono tanti anni che mi occupo della formazione dei formatori. Quindi credo nella formazione. Ritengo che senz’altro il futuro economico dell’Italia può trovare grande giovamento dal formare persone che lavorino sugli asset intangibili italiani.
Naturalmente è molto più difficile che formare persone alle attività di ufficio o alle attività di fabbrica.
Se pensiamo ai beni culturali, al turismo, ai festival, sono tutte attività "sistemiche". Quindi formare in questo ambito è molto più complicato.
Pensiamo alle nostre "esperienze": se vado in una città e mi trovo benissimo in un Hotel, e poi vado a comprare il giornale e vengo trattato in modo sgarbato, il mio "ricordo" non è più eccellente. Quindi, se voglio formare, devo formare il giornalaio e il personale dell’Hotel insieme e così via. Qui questo modello formativo non esiste. E così via….
Correale:
7. Pre e post industriale.
Lei parla di "visione "astratta" fuori del tempo della realtà" e in effetti, tra le quotazioni di David Bowie in borsa e la produzione di uno spettacolo teatrale in Italia (altro che catena di montaggio, qui si parla di artigianato) c’è un abisso. Ma è anche una delle caratteristiche peculiari della cultura italiana ed europea. Un fare ad hoc, un personalizzare e mirare al pezzo unico come più alto valore, è il dramma antieconomico e insieme la ricchezza (intangibile) della nostra cultura. A suo parere, quale potrebbe essere una strada da seguire per render il dramma una commedia a lieto fine e la ricchezza qualcosa di più tangibile?
Panzarani:
La nostra è una "unicità" che viene dalla nostra storia, dalle botteghe del rinascimento e da tutte le esperienze che si sono dipanate nei secoli…
E’ importante ricordare una cosa: che la nostra capacità non è solamente nei designer, ma è nelle persone che sanno come lavorare i materiali, che capiscono le forme. Persone che le cose le fanno con le mani e sanno come farle. Tutto questo non è "delocalizzabile", ma sicuramente va valorizzato ancora di più. Qui la formazione gioca un grosso ruolo.
Borges nell’Aleph racconta del barbaro Droctulf che "calato" in Italia per distruggere Ravenna ne rimane in realtà incantato dai marmi, dagli archi, da tutta la sua architettura, si commuove e capisce che la sua mente non è nemmeno in grado di "contenere" tutta quella bellezza. A quel punto decide anziché distruggerla di morire per essa. In sostanza muore per qualcosa di intangibile e per lui quasi "incomprensibile". Come dicevo prima, all’"estero" capiscono meglio di noi la nostra unicità… sta a noi tradurla in ricchezza.