Dal libro "Educazione e globalizzazione", di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (Raffaello Cortina Editore, 2004), pp. 24-26, grassetti nostri:
Fino a tempi assai recenti, era luogo comune considerare inerenti al discorso tecnologico e al discorso scientifico soltanto i modelli, le teorie o i contenuti in sé e per sé –quali risultati da mettere alla prova, da scartare, da adottare o da perfezionare– e non già gli intinerari seguiti per arrivare a tali risultati. Questo atteggiamento svalutava, metteva fra parentesi, la vita e i conflitti delle idee: il ruolo degli individui, con i loro corpi, le loro convinzioni, i loro pregiudizi, le loro ossessioni, le loro identità politiche, etniche, culturali, le loro relazioni, le vicende grandi e piccole delle loro esistenze. Del tecnologo e dello scienziato emergeva soltanto un ruolo astratto, disincarnato, sterilizzato, avvolto dal camice bianco. L’attuale rovesciamento di prospettiva è quanto mai spettacolare. Sempre di più, emerge come decisiva per tutte le innovazioni scientifiche e tecnologiche la capacità di un individuo o di un gruppo di contaminare i propri campi di ricerca e i propri interrogativi con temi, stili, prospettive eterogenei provenienti da campi di tutt’altro genere, anche psicologici, immaginativi, estetici, artistici, "metafisici".
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Le idee nascono, si sviluppano, si trasformano, cambiano di significato, vanno alla deriva, si biforcano, si degradano, muoiono, rinascono, in una storia fatta di individui, di gruppi, di collettività, di relazioni e di tensioni fra individui, gruppi, collettività (e anche dentro gli individui stessi).
Certamente, in questi nuovi atteggiamenti nei confronti della scienza c’è una componente di disillusione. La scienza non solo si è dimostrata (almeno fino a oggi) incapace di affrontare i peggiori mali del mondo, ma talvolta è stata essa stessa all’origine di nuovi pericoli. Di contro, in questi stessi atteggiamenti c’è anche una forte componente costruttiva, che considera l’esperienza umana un’unità nella pluralità, e che trova nella varietà e nella polifonia dei linguaggi e delle conoscenze una via più adeguata per abitare il mondo.
In questo modo, la scoperta e l’approfondimento delle radici storiche e culturali delle teorie scientifiche sono oggi considerati precondizioni indispensabili per la comprensione dei loro sviluppi presenti e futuri. Sempre di meno il progresso scientifico appare lineare, univoco e irrevocabile. Sempre di meno le teorie e le narrazioni scientifiche sono considerate definitivamente acquisite.
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In gran parte dell’organizzazione e della trasmissione dei saperi scolastici e universitari, questa problematicità del pensiero scientifico è stata messa fra parentesi. Per converso, questa problematicità e complessità è stata dissolta nella struttura atemporale dei manuali, attraverso i quali è veicolata l’idea che le "verità" scientifiche, una volta acquisite, siano indipendenti dalla storia che le ha prodotte. Ciò porta a nascondere tutto l’intreccio delle controversie e delle problematizzazioni di cui la scienza si alimenta in quanto processo creativo. Storicizzare la scienza è una via importante per far sì che le conoscenze siano comprese come processi in divenire.
Nell’item "‘Quei sovversivi di genio che hanno cambiato il mondo’" della Rassegna Stampa viene ripreso un articolo di Giulio Giorello, apparso sul Corriere della Sera del 28 agosto, dove viene mostrato, con riferimento a fatti della storia della scienza, che il ricercatore vive le tensioni del proprio tempo e con esse deve misurarsi.