Esiste un luogo comune che pone le verità scientifiche al di fuori della storia.
Giulio Giorello, filosofo della scienza dell’Università di Milano, sul Corriere della Sera del 28 agosto, nell’editoriale “Quei sovversivi di genio che hanno cambiato il mondo“, descrive l’illusione che la scienza non avrebbe storia con le seguenti parole:
‘Le leggi della matematica o delle scienze naturali sembrano non dipendere dalle vicende personali di coloro che le scoprono. E tanto meno essere sfiorate dal groviglio delle passioni che agitano i protagonisti delle vicende storiche’.
La parte successiva dello scritto di Giorello, attraverso diversi riferimenti che vanno da Archimede a Galileo e Newton, da Lavoisier e Darwin ad Albert Einstein, mostra come l’impresa scientifica sia sempre avvenuta all’interno di un contesto storico e con questo abbia sempre interagito.
Giorello cita anche il grandissimo matematico italiano Federigo Enriques (giova ricordare che all’inizio del Novecento ebbe a scontrarsi con Benedetto Croce):
‘Non stupitevi – confidava ai colleghi – se mi vedete occuparmi di storia e magari di filosofia: questa non è che l’altra faccia dell’onesto lavoro dello scienziato’
Giorello, implicitamente, sottolinea come la responsabilità, morale e civile, dello scienziato gli impone di non chiudersi all’interno delle accademie e dei laboratori, ma di misurare i risultati delle proprie ricerche con i problemi del suo tempo.
‘Le idee hanno talora più forza delle cose. E nella scienza esse sanno incarnarsi in congegni materiali, perché qui la conoscenza non è solo teoria, ma anche tecnologia, non solo comprensione della natura, ma anche intervento nel mondo. Lo hanno capito coloro che sulla scia di Fermi hanno collaborato al “progetto Manhattan”. Robert Oppenheimer disse, dopo il primo test atomico a Los Alamos, che la scienza aveva perso la sua innocenza. In realtà, l’aveva persa ben prima – almeno (si fa per dire) dal tempo degli specchi di Archimede usati per bruciare le navi romane’.