Per una sorta di vizio del linguaggio, si tende a riservare l’uso del termine “innovazione” alle tangibili realizzazioni tecniche dell’essere umano. In tal modo, tuttavia, la riflessione si appiattisce inavvertitamente sull’introduzione di novità tecnologiche, mentre tende a dimenticare che l’innovazione si svolge su più piani – quello tecnico, sicuramente, ma anche quello, non meno rilevante, della ristrutturazione continua delle nostre relazioni sociali.
A ben vedere, molti dei più rilevanti cambiamenti nel campo degli stili di vita, e dei modi di organizzazione delle relazioni umane sono chiaramente associati all’introduzione di innovazioni in campo tecnico e scientifico. Al tempo stesso, sovente la tecnica si adatta alle mutevoli circostanze della vita umana dando forma concreta alle sue più diverse esigenze. A tal proposito, prendendo in prestito un’espressione coniata da Sheila Jasanoff, ci pare di poter sostenere che l’innovazione debba essere compresa come una forma di co-produzione della tecnica e degli stili di vita.
Tale inquadramento presenta due fondamentali vantaggi dal punto di vista interpretativo e analitico. In primo luogo, intendere l’innovazione come un fenomeno co-produttivo consente di sgomberare il campo dall’idea, invero piuttosto limitante, che l’innovazione scientifica e tecnica proceda lungo una traiettoria lineare e ineludibile e che questa traiettoria determini in modo irrevocabile la fisionomia delle relazioni sociali che si trova ad incrociare. Le più recenti indagini sul ruolo dell’innovazione nelle società contemporanee sottolineano, invece, che l’innovazione non è affatto un forza slegata dal resto del tessuto sociale – una forza che proceda, per così dire, in modo autonomo, guidata solo dal proprio innegabile successo. Essa, al contrario, è tanto il motore quanto il risultato di forti spinte sociali e di complesse strategie politiche.
Lo studioso olandese Wiebe Bijker, anch’egli come Jasanoff ospite in passato della Fondazione Bassetti, ha fondato su questa intuizione un vasto e fortunato campo di analisi, noto come SCOT (Social Construction of Technology).
Il secondo beneficio di un approccio analitico co-produttivo è rappresentato dal fatto che tale prospettiva – comprendendo la scienza e la tecnica al tempo stesso come prodotto e come movente di scelte individuali e politiche – apre il campo della riflessione sulle responsabilità individuali e collettive legate all’innovazione.
Nelle parole di Sheila Jasanoff, «i prodotti della tecno-scienza non soltanto influenzano ma incorporano e riaffermano valori sociali e pratiche istituzionali» (2011, p. 13). La tecno-scienza, dunque, ci mette costantemente di fronte a nuovi modi di immaginare il futuro, le relazioni sociali, la morale. Discutere di innovazione significa perciò, al tempo stesso, discutere dei valori che – spesso in modo non esplicito – la scienza e la tecnica propongono, diffondono e, in certi frangenti, impongono. Un approccio deterministico al discorso sull’innovazione, al contrario, oscura questa dimensione e ci priva degli strumenti necessari per guardare ad essain modo riflessivo, cogliendo la pienezza delle sue ripercussioni morali, sociali e, cosa importantissima, politiche.
La politica è chiamata in causa in merito alla necessità, ineludibile per una società che voglia sensatamente dirsi democratica, di inquadrare l’innovazione come responsabilità pubblica. L’idea di una forma di responsabilità pubblica rispetto all’innovazione non deve però evocare uno scenario di limitazioni, divieti o infondati timori nei confronti della tecno-scienza.
Al contrario, la conoscenza e la tecnica devono essere concepite come parte integrante del patrimonio civile di una società democratica: in un quadro interpretativo co-produttivo, infatti, attraverso di esse una società democratica esprime e realizza i suoi valori e obiettivi fondamentali.
Questo esercizio include, dunque, tanto il contenimento dei rischi quanto lo stimolo dei benefici legati all’innovazione in campo tecnico e scientifico. In entrambi i casi risulta fondamentale rendere espliciti gli immaginari e gli imperativi che determinano l’innovazione, così come i valori e i diritti che da essa sono trasformati. La relazione co-produttiva tra la tecno-scienza e i modi dell’organizzazione sociale determina – anche in Italia – una «torsione» delle norme che strutturano una società democratica, sia sul piano valoriale che su quello istituzionale.
Ed in effetti, le democrazie avanzate si trovano oggi a dover sostanzialmente ripensare il proprio rapporto con l’innovazione.
Per fare questo, sono necessari strumenti analitici appropriati, nuove forme di competenza disciplinare (o più appropriatamente, inter-disciplinare) e, in ultimo, un vocabolario politico rinnovato per tracciare il perimetro di nuove forme di responsabilità pubblica e privata nei confronti dell’innovazione. In Italia sta lentamente crescendo una comunità di studiosi pronti a spendere le loro migliori energie al servizio di questi temi. Molti di questi studiosi si trovano però a svolgere il proprio lavoro all’estero. Tutti in ogni caso, si trovano ad esporre le proprie idee principalmente su riviste internazionali o nell’ambito di colloqui accademici che si svolgono lontano dall’Italia.
Questo rende senz’altro più difficoltoso il travaso di temi e approcci disciplinari nuovi al dibattito pubblico. C’è bisogno perciò di fare leva su questo capitale umano, di metterlo al servizio del paese in modo tale che non si disperda il patrimonio di competenze che si sta sviluppando in merito al tema dell’innovazione e del suo complesso rapporto con la democrazia.
In particolare si avverte sempre di più la necessità di centri di riferimento attorno ai quali possano gravitare nuove idee che, in ultima analisi, riescano a contaminare la sfera della decisione pubblica.
Sarebbe auspicabile, in altre parole, che istituzioni culturali sensibili al tema dell’innovazione come responsabilità sia individuale che collettiva si proponessero come una sorta di stanza di compensazione tra discorso accademico e discorso politico. Tali iniziative costituirebbero preziose occasioni di reciproco apprendimento e arricchimento.
Si tratta, non v’è dubbio, di un percorso che presuppone una forte credibilità, sia scientifica che istituzionale. Ma al tempo stesso, la costituzione di tali iniziative può concretamente contribuire a iniettare nuova linfa tanto nel dibattito pubblico quanto nelle decisioni politiche in tema di innovazione.
La crescita civile e produttiva del nostro paese si è a lungo basata sulla valorizzazione di un enorme capitale umano e culturale. Questo ha fatto sì che innovare in Italia – in ogni campo: dalla scienza al design, dalla meccanica all’arte – significasse innovare in un modo speciale, riconoscibile e riconosciuto in tutto il mondo.
Contribuire allo sviluppo ulteriore del discorso sull’innovazione e farlo, per così dire, a ridosso della politica significa dunque continuare su questo solco e fornire al paese nuove prospettive di crescita sia civile che materiale.
Opere citate:
Jasanoff S. Reframing Rights: Bioconstitutionalism in the Genetic Age. MIT Press; 2011.
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(Foto: Hands di Brian Snelson da Flickr)
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