Il 27 luglio il presidente Piero Bassetti ha fatto visita, con Cristina Grasseni (Fondazione Bassetti) e Niccolò d’Aquino (Americaoggi, Globus et Locus) a Carlo Petrini presso l’Agenzia di Pollenzo, sede dell’Università di Scienze Gastronomiche. Si è trattato di un incontro amichevole e piacevole durante il quale si è discusso, con Fabio Palladino e Cinzia Scaffidi, del significato politico di un’agenda come quella di Slow Food, anche per comparazione con quelle dell’innovazione responsabile (Fondazione Bassetti) e della creazione di una rete di “italici” mondiale (Globus et Locus).
Riporto di seguito in breve sintesi alcuni dei ragionamenti che sono emersi nella conversazione, attribuendoli agli autori ma senza intenderli come citazioni verbatim.
C.Petrini:
Slow Food va inteso come una forma di associazionismo gastronomico, ma occorre intendersi su cosa vuol dire “gastronomia”. La nostra operazione culturale è quella di dare un significato nuovo al termine “gastronomia”. Pensiamo a quanto comprende la gastronomia secondo la definizione di Jean-Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto del 1825: “tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto si nutre”. Allora la gastronomia è economia politica, è ecologia, etc. (vedi anche Carlo Petrini, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Giunti/Slow Food Editore, 2009)
P. Bassetti:
In questo c’è anche una sensibilità tutta italiana, che noi infatti adottiamo tra i cardini di quella che potrebbe essere una comunità mondiale allargata degli “italici”, cioè non strettamente cittadini italiani – anzi tranquillamente anche con nessun legame di sangue con l’Italia o gli italiani – ma legati alla cultura, al gusto, alla lingua, alla tradizione musicale italiana (vedi su questo il Progetto italici di Globus et Locus e la rubrica Globo Italico di Niccolò d’Aquino)
C.Petrini:
La scelta di portare l’Università di Scienze Gastronomiche qui è chiara: Pollentia lungo il Tanaro rappresentava durante la pax romana il fulcro di un bacino di produzione capace di sfamare quarantamila abitanti tra il quarto e l’ottavo secolo d.C., con un’arena che ospitava venticinquemila spettatori. Dopo i fasti sabaudi della politica agricola cavouriana che qui stabilisce l’Agenzia negli anni Trenta dell’Ottocento (Pollenzo ospita il primo Congresso Agricolo Sabaudo nel 1845), questo complesso di 800 ettari, quattro cascine e un castello vive un lungo declino fino all’alluvione del 1994. Inizialmente individuato da Slow Food per ospitare la Banca del Vino (attiva dal 2001), è ora perfettamente ristrutturato e funzionante, e accoglie oltre alla Banca del Vino, un’ala dell’Università di Scienze Gastronomiche, il ristorante Guido e l’Albergo dell’Agenzia Spa, sostenuta da ben 550 soci di cui circa un terzo pubblici.
C.Petrini:
La Banca del Vino, con circa 1200 soci, ha stabilito un unicum in Italia e all’estero, secondo la tradizione francese, raccogliendo dal 2001 annualmente un significativo campione della produzione di 320 produttori, soprattutto piemontesi ma anche rappresentativi di tutta Italia. Oltre a promuovere il sistema produttivo e il territorio piemontese, la banca costituisce quindi anche una vera e propria biblioteca dei vini italiani di cui raccoglie e conserva la memoria, promuovendo anche commercialmente la produzione vinicola italiana (e costituendo tra l’altro il campionamento sulla base del quale viene pubblicata la Guida dei Vini Slow Food).
C.Petrini:
Con l’Università puntiamo a promuovere una nuova cultura dei cibo tra i professionisti del futuro, e lo facciamo con ambizione internazionale. Fra laurea triennale, specialistica e Master (che da Colorno stiamo facendo confluire qui in un’unica sede) prevediamo di raggiungere una media di 40% di studenti stranieri (con punte dell’80% al Master).
C. Scaffidi:
Stiamo or ora sperimentando la scuola avanzata on line di Politiche alimentari e della sostenibilità, suddivisa in otto aree disciplinari con lezioni di indirizzo date da studiosi del calibro di Vandana Shiva, Tim Lang, Serge Latouche… L’obiettivo è che i 48 studenti siano i primi estensori della bozza di documento congressuale da sottoporre alla prossima edizione di Terra Madre, con supervisori interdisciplinari come Edgar Morin, Marcello Buiatti, José Esquinas, Stefano Rodotà.
C.Petrini:
Terra Madre conta ormai circa seimila comunità del cibo in 162 paesi, ma il nostro obiettivo è quello di celebrare Terra Madre USA nel 2011 portando diecimila farmers al cuore dell’America, New York. Io ho aperto il primo farmers’ market a Chicago, e anche nell’esplosione dell’agricoltura biologica, delle micro-birrerie etc. negli Stati Uniti si legge l’effetto a lungo termine di Terra Madre, della capacità di mettere in rete comunità del cibo. Per esempio ad Atlanta, in sei anni si è passati da 140 a 1700 imprese di agricoltura biologica.
C. Grasseni:
Le comunità del cibo si ispirano mi sembra sia all’idea di “comunità di pratica” tanto utilizzata negli studi di organizzazione aziendale, ma anche di antropologia culturale e di psicologia delle organizzazioni, che a quella, di Edgar Morin, della civiltà planetaria come “comunità di destino”. Anche l’idea di “co-produzione” sta avendo molto successo, non solo negli ambienti Slow Food ma anche in quelli del consumo critico, che appunto si sta ripensando in termini di co-produzione di cibo e non solo di produzione/acquisto di beni. Per esempio, nel modo dei gruppi di acquisto solidale, nei distretti e nelle reti di economia solidale, che lei (Petrini) ha citato esplicitamente all’ultimo Congresso Nazionale di Slow Food ad Abano… Sicuramente questo è un discorso che chiama in causa la responsabilità dei produttori come dei consumatori, in quanto co-produttori, nella loro capacità di scelta in materia di innovazione.
C. Petrini:
Noi siamo perfettamente favorevoli all’innovazione tecnologica e scientifica anche in campo alimentare purché rispetti i nostri tre criteri fondamentali: che il cibo sia buono, pulito e giusto. Per esempio non tutti sanno che gli OGM sono superati, anche dal punto di vista scientifico. Lo hanno spiegato per noi gli scienziati raccolti a convegno all’Ara Pacis il 20 luglio scorso (Vedi il convegno “Agricoltura e biotecnologie: il fronte della ricerca tra un’avanguardia silenziosa e un’innovazione superata“, con un intervento di Carlo Modonesi)
C. Scaffidi:
Il problema è anche di comunicazione: la società civile deve fare da ponte perché la scienza del no non è messa in grado di comunicare. Per questo un’alleanza di associazioni ha chiamato a raccolta una ventina di ricercatori universitari che spieghino tecnicamente perché gli OGM non funzionino.
P. Bassetti:
non dimenticherò mai la domanda fatta da una cittadina di Casalino nel 2002 quando organizzammo un forum sulla decisione di inserire quel paese tra i siti di sperimentazione di coltivazione OGM a campo aperto: lei disse “ma se i parassiti non mangiano quel riso, perché lo dovrei mangiare io?”
C. Scaffidi:
La cultura della responsabilità nell’industria è fondamentale per poter fare un ragionamento costruttivo sulla salvaguardia dei territori e delle loro risorse. Qui intorno per esempio grazie alle politiche di facilitazione dell’accesso al lavoro in fabbrica della Ferrero, i contadini hanno potuto continuare a prendersi cura della terra.
P. Bassetti:
L’elemento del potere e del suo esercizio è sempre imprescindibile in questi discorsi. Dove risiede il potere, come viene esercitato – responsabilmente o no – determina i pattern dell’innovazione.
C. Petrini:
Debbo dire che sul cibo il potere si è messo in ascolto, la rete degli umili comincia a condizionare i potenti… Il prestigio di Slow Food è maggiore dei mezzi effettivi. Siamo stati invitati a Bruxelles per moderare un workshop sulla nuova PAC, assieme a ONG, sindacati e istituzioni. Ma il futuro è nei presidi, nei mercati della terra e nelle comunità del cibo. Se vogliamo salvare la nostra agricoltura, in Italia, non possiamo stare dentro ai patti di governante del WTO.
C. Grasseni:
Questo tra l’altro è di grande attualità ed è importante capire che quando parliamo di potere e innovazione non abbiamo solo in mente la frontiera tecno-scientifica… La gestione e la salvaguardia dei confini delle proprie produzioni da parte della comunità locali – e i conflitti che ne derivano – sono problemi di grande attualità per esempio nell’arco alpino quando pensiamo ai prodotti tipici e alle modalità della loro difesa: denominazioni di origine, vostri presidi, etc. Il tema della “reinvenzione del cibo” rientra a pieno titolo nell’agenda di ricerca sulla responsabilità dell’innovazione. (Vedi in questo blog: "Comunità alpine" e "Un’agenda di ricerca per il cibo glocal")
C. Petrini:
E sempre a proposito di innovazione e di responsabilità, bisogna correre ai ripari perché le tecnologie incidono anche sulla memoria. Trai progetti dell’Università e di Terra Madre ci sono i Granai della memoria, un progetto diretto dal Prof. Piercarlo Grimaldi, per evitare le carestie delle idee… Contiamo di raccogliere testimonianze degli anziani nelle loro lingue ancestrali, classificandoli orizzontalmente e verticalmente, secondo la grande lezione degli antropologi e degli etnomusicologi che lavorarono in Italia e in America e di cui sono raccolti i lavori allo Smithsonian Institute, ma che hanno ispirato anche raccolte fondamentali come l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.
La visita presso l’Agenzia di Pollenzo