Pubblichiamo una sintesi di un lavoro di ricerca etnografica condotto personalmente da Federico De Musso sulle pratiche innovative di riciclaggio del cibo condotte dagli studenti di Bologna. Il cibo si situa al crocevia di questioni antropologiche di grande rilevanza: come gli stili di vita riflettano partecipazione socio-politica e reale capacità di abitare la terra in maniera sostenibile, per esempio. Ma anche la capacità di esprime in maniera creativa e giocosa una innovazione di grande significatività politica ed economica. Dagli interstizi spaziali urbani e dalle pratiche che siamo abituati ad identificare alla marginalità ci viene un esempio concreto pratiche innovative e responsabili di consumo socializzato e di gestione più sostenibile delle risorse.
Cristina Grasseni
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Omeopatia del rifiuto
ovvero, come il rifiuto curi sé stesso
di Federico De Musso
prima parte
Se pensiamo al rifiuto, il nostro primo pensiero va all’immondizia, alla spazzatura, qualcosa di sgradevole. Non cambiano le nostre sensazioni nel pensare al rifiuto come a qualcosa che neghiamo o che ci venga negato. E se il rifiuto fosse invece qualcosa di positivo e centrale nel nostro rapporto con il mondo? E se alcuni studenti della città di Bologna sfruttassero proprio la centralità produttiva del rifiuto per poter arginare lo sperpero delle risorse e per creare nuovi rapporti sociali all’insegna della convivialità? Questo articolo si propone di indagare entrambi questi quesiti nelle due parti di cui è composto: nella prima infatti verrà approfondito il rapporto intrinseco tra la produzione di rifiuti e la creazione dei prodotti, in special modo per quanto riguarda l’attuale sistema di mercato; mentre nella seconda parte esporrò la mia ricerca di campo tra gli studenti universitari della città di Bologna e la loro esperienza di riciclaggio del cibo. Il mio sguardo si muoverà verso il caso particolare a partire dall’analisi del più complesso sistema commerciale che ne disegna l’ambito in cui svilupparsi. Il mio interesse, alla fine, sarà quello di aver insinuato qualche piccolo dubbio nelle nostre sicurezze a proposito della malignità dell’immondizia e della bontà del nostro mercato.
Scarto di prospettiva
Le sfide che vengono proposte dai teorici della decrescita nell’ambito della rifondazione delle relazioni di mercato, possono spingere ad una ricerca di nuovi spunti creativi per l’innovazione in ogni ambito ambito della pratica economica, dalla produzione dei beni al loro consumo, affiancando a questo processo un ciclo ecologico, in modo da disegnare un modello “metabolico” comprensivo dei processi di produzione e smaltimento di scarti e rifiuti. L’accento posto sulla necessità del passaggio da logiche razionali e relazionali dettate dal profitto, a pratiche e pensieri ragionati, volti alla salvaguardia delle relazioni sociali ed ambientali come beni in sé, pone in luce la riflessione e l’importanza attribuita all’azione responsabile ed attenta alle conseguenze che recano con sé le attività sociali ed economiche. Ecco come uno sguardo più critico a questo sistema tende a decostruire i meccanismi e i discorsi che giustificano l’attuale architettura della società di mercato, indicandone la sua storicità e contingenza, ed evidenziando come non vi sia una necessaria ragione dell’attuale sistema economico, molto spesso velleitariamente fatto risalire ad una misteriosa quanto evidente natura dei fatti. In quest’ottica la crisi dei rifiuti e la minaccia che essi rappresentano per l’ecosistema nel quale vengono prodotti porta anche a riflettere su quale meccanismo faccia sì che si producano e si considerino tali gli scarti, gli esuberi e le cose superflue.
Lo status di rifiuto infatti viene conferito dall’attività discernente degli individui, stabilendo quali tra gli elementi che ci circondano possano costituire una macchia, e una minaccia, per l’ordine attraverso cui pensiamo il mondo. In modo tale che il rifiuto non sia definito da una qualità intrinseca dell’oggetto, ma dalla relazione stessa di rifiuto, di messa al bando, instaurata tra l’individuo e ciò che compone la sua realtà. Messo a fuoco questo meccanismo, non stupisce scontrarsi con la mole di scarti ancora commestibili, comune tra i venditori di beni deperibili come frutta e verdura, che viene eliminata perché non più soddisfacente i requisiti estetici minimi della merce.
La vendita di alcuni prodotti deformi o soltanto difformi dalle nostre aspettative, create attraverso l’esperienza personale ed negoziata, in maniera rilevante, dalla presenza massiccia degli standard pubblicitari, impone una certa cernita tra i propri prodotti: tutti quegli elementi non più vendibili o appetibili, per quanto ancora commestibili, vengono destinati inesorabilmente al cassonetto. Sebbene parte dei vegetali che compriamo si lascia maturare od invecchiare in casa prima di essere utilizzati, non ci aspetteremmo di trovare frutta e verdura in questo stesso stato sui banconi dei prodotti freschi. Prodotti che hanno prolungato la loro permanenza sui banchi o che si sono ammaccati in questo periodo (in quanto previe selezioni vengono svolte fin dal primo passaggio dal coltivatore al grossista), vengono periodicamente scartati negli atti di pulizia.
Questo tipo di costruzione di ordine attraverso il rifiuto non è valido per tutti, e per cogliere la contingenza dell’attuale situazione basta un piccolo spostamento del punto di vista, dalla razionalità della logica impersonale del mercato, a cui servono banchi puliti e sgombri per accogliere nuova merce, alla ragione pratica dei consumatori. Ma anche stando dalla parte dei venditori stessi si può scoprire che ciò che in un primo momento ho chiamato scarto può essere benissimo visto come occasione sprecata: sia nella vendita che nel consumo. Un’azione mirata al ridimensionamento dell’impatto umano ed una riappropriazione delle attività economiche in contrasto all’alienazione dei rapporti sociali all’interno di esse non può ignorare quest’ambito del ciclo economico/ecologico: l’eccessiva produzione di rifiuti non va considerata solo come elemento fondante della produzione di beni o come apice del loro consumo, ma deve essere indagata anche come caratteristica di quel frammento tra la non-distribuzione e la non-consumazione, ovvero dai cassonetti di un supermercato alla discarica municipale.
Si potrebbero produrre dei benefici: poter approfittare di questo varco tra il potenziale scarto e il rifiuto definitivo apre un ventaglio di possibilità di innovazione nell’approvvigionamento e nel consumo per chi non condivide la prospettiva consumista che informa questo tipo di azione: sono molte infatti le iniziative, formali ed informali, che si propongono di intervenire in questo momento di passaggio per poter usufruire degli economici vantaggi che offre questa situazione che in ottica di mercato viene ottimizzata per creare meno perdite. In questo modo i supermercati infatti vendono a minor prezzo ciò che è vicino alla data di scadenza, associazioni benefiche raccolgono questi prodotti per poi distribuirlo nelle mense per gli emarginati della società, venditori che regalano la merce e gruppi di persone si muovono tra i mercati per potersi assicurare che questi beni non vadano perduti: ciò che quindi viene ritenuto dannoso e pericoloso dalla maggioranza della società, ecco che viene rivalutato e portato al centro di obbiettivi personali e nuove esperienze sociali, come esporrò più ampiamente nel secondo articolo,
Il rifiuto lungi quindi da essere un materiale inerme ricopre un ruolo fondamentale nelle definizioni delle azioni umane, sia come prodotto della creazione dell’ordine sociale ed economico vigente sia come protagonista di attività molto spesso tese, in maniere creative e proteiformi, a contrastare, arginare o dirottare tale ordine.
“Omeopatia del rifiuto” di Federico De Musso – continua…
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(fotografia: Mercato del pesce di Paolo Piscolla in Flickr)