Come stabilire l’impatto ed i rischi di una decisione presa a livello locale su processi politici, deliberativi ed economici a livello globale, e viceversa? Vorrei prendere spunto dal recente dibattito ospitato dalla Fondazione Bassetti sugli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) per sostanziare la seguente riflessione. Naturalmente sono consapevole del fatto che su argomenti di tale complessità é impossibile risalire ad una causalità unidirezionale, e delineare precisi rapporti di causa ed effetto va oltre gli obiettivi di questa riflessione.
Non è neanche mia intenzione soffermarmi solamente sulla responsabilità etica, la natura della scoperta scientifica e l’impatto ambientale degli OGM. Tali argomenti sono stati trattati in questo sito nel Call for Comments di Giuseppe Pellegrini. Vorrei dunque andare oltre e visualizzare il caso degli OGM in chiave di rischio sociale e responsabilità politica, utilizzando alcuni esempi delle conseguenze di decisioni prese a livello locale e all’interno degli attuali processi deliberativi.
L’opinione pubblica rimane divisa su questi temi e la sperimentazione di nuove metodologie deliberative è un bisogno palese dimostrato più volte dalle classi più educate delle nazioni sviluppate. La stessa Fondazione Bassetti in questi ultimi mesi sta sperimentando innovazioni relative alle metodologie partecipative tramite l’utilizzo di “Call for Comments” collegati ad argomenti specifici. Tali esperienze si relazionano di fatti ai bisogni manifestati dall’opinione pubblica.
Intendo adesso compiere un volo pindarico e spostare il quadro di riferimento al resto del mondo. E’ stato stimato che 4/5 della popolazione mondiale vive in nazioni meno sviluppate. Di queste il 70 per cento vivono grazie alle rendite provenienti dai prodotti agricoli. L’avvento di colture di OGM introduce tanti rischi quante potenzialità nell’aumentare i raccolti producendo una resa maggiore a parità di superficie coltivata, oltre che maggiori garanzie su qualità ed addirittura sapore del prodotto.
Anche a livello internazionale, in un mio precedente intervento su questo sito, avevo fatto notare come gli Stati Uniti e l’Unione Europea sostengono posizioni quasi diametralmente oppose circa l’utilizzo degli OGM. Gli Stati Uniti sono favorevoli all’importazione di OGM da parte delle nazioni meno industrializzate, mentre l’Unione Europea esprime un parere negativo. In Italia, come nel resto d’Europa, gli OGM sono demonizzati per vari motivi quali: i rischi legati all’espansione incontrollata su campi non adibiti a OGM, gli effetti poco chiari sulla salute umana e la possibilità di effettuare controlli sull’origine dei vari prodotti.
A questi bisogna anche aggiungere un’altra variabile non meno importante delle altre: ovvero quello dei sussidi all’agricoltura tradizionale, istanza importante tanto in Italia quanto in Europa, ma poco sufficientemente trattata in articoli e pubblicazioni recenti sull’argomento. A mio avviso manca infatti una visione d’insieme che colleghi le istanze delle politiche agricole a livello globale e il modo in cui certe innovazioni in questo settore siano più o meno considerate da incentivare in quelle che sono prima le politiche nazionali e poi quelle regionali, tramite, in parte, l’azione di collegamento dei media e delle altre maggiori fonti di informazione.
Le politiche agricole stabilite ed implementate a livello globale possono essere un fattore di blocco all’innovazione, soprattutto per le nazioni meno sviluppate. Queste difatti si trovano nella difficile posizione di avere bisogno di mercati internazionali aperti nei quali esportare i loro prodotti. Purtroppo, il risultato dell’ultimo congresso della Organizzazione Mondiale per il Commercio a Cancun si è dimostrato un fallimento, a detta di numerosi fonti autorevoli, proprio a causa del mercantilismo delle nazioni più ricche che perpetuano una politica di chiusura all’importazione di prodotti agricoli da parte delle nazioni meno sviluppate.
Augusto Bocchini, presidente della Confagricoltura fornisce in un’intervista a ‘Il Sole 24 Ore’ dati indicativi della situazione degli scambi dei prodotti agricoli: “L’Unione Europea importa 69,8 miliardi di Euro di prodotti agricoli, contro i 61,6 degli Stati Uniti. Dai paesi in via di sviluppo l’Unione Europea importa 43,5 miliardi di Euro, contro i 29,7 degli Stati Uniti. Dall’Africa noi importiamo 10,6 miliardi di Euro, contro gli 0,9 degli Stati Uniti, mentre dai paesi meno avanzati la cifra è rispettivamente 2,3 a 0,5 miliardi di Euro”. Da questi dati deduco che la politica agricola dell’Unione Europea ha un impatto maggiore di quella degli Stati Uniti sul benessere e l’innovazione delle nazioni meno sviluppate, e che le decisioni prese oggi anche in una singola regione Italiana possono innescare dinamiche incontrollabili sul benessere di migliaia di persone.
La Lombardia, ad esempio, al pari di Piemonte, Trentino, Veneto ed Emilia Romagna è tra le regioni Italiane con maggiore produttività e valore aggiunto nel settore agricolo. Di conseguenza queste regioni hanno un peso maggiore nell’influenzare le politiche agricole relative all’agricoltura a livello nazionale, rispetto ad altre ad altre quali Sicilia, Puglia e Campania, nonostante le ultime siano probabilmente maggiormente “dipendenti” dall’agricoltura. Tenendo conto delle dinamiche relative tra queste regioni e del valore aggiunto all’agricoltura, si potrebbe infierire che la presenza di apparecchiature moderne (macchinari, capannoni, centri di raccolta, ed altre industrie da indotto) unita alla presenza di cooperative organizzate e “lobbies” specializzate favorisce il “circolo virtuoso” nel quale queste regioni si trovano. Queste lobbies possono realmente intermediare con il governo conoscendo la materia, i problemi ed i bisogni dei loro interlocutori. Tale forma cooperativa, dall’altro lato, non sembra essere sufficientemente sviluppata nella seconda categoria di regioni. Si potrebbe azzardare un parallelo tra queste regioni e le nazioni meno sviluppate che hanno partecipato a Cancun.
Viviamo sicuramente in un mondo interdipendente, ma dal momento che non è possibile risalire alle responsabilità dei singoli, forse siamo meglio in grado di migliorare almeno le modalità deliberative. Aprire il dibattito su questi argomenti anche ai “non esperti” è fondamentale a livello “micro”, ma gli impatti sul “macro” di tali istanze vanno necessariamente giudicati dalla combinazione delle interazioni che si svolgono tra il “micro” livello e gli esperti nel settore. In questa breve rassegna di quelli che reputo essere i temi più “caldi” intorno al dibattito sull’utilizzo o meno egli OGM intendo allo stesso tempo proporre una prospettiva per giudicare rischi e responsabilità da locale a globale e vice-versa. Il messaggio fondamentale è che ciò che va a favore di interessi a livello locale non è sempre la migliore soluzione una volta che i legami di (inter)dipendenza e l’impatto di tali decisioni va ad avere oltre i confini nei quali la decisione viene presa.
Dal momento che alcune nazioni hanno sviluppato nel corso della storia dei legami di intermediazione più forti che altre all’interno degli attuali processi deliberativi, invito esperti e non invitati a giudicare su questi temi a considerare due elementi importanti. Da una parte il quadro di riferimento “macro” nel quale le loro posizioni si inseriscono, dall’altro che anche i “non esperti” che vivono nelle nazioni meno sviluppate hanno diritto a partecipare. Qualora ciò dovesse essere troppo costoso o impossibile dunque non è sbagliato che siano gli esperti a decidere. Probabilmente delegare il processo derisorio finale ad un gruppo riconoscibile ed identificabile di esperti renderebbe anche meno complesso ridurre i rischi e rintracciare le responsabilità di eventuali danni o conseguenze non desiderate, elemento fondamentale per evitare che queste si manifestino in primo luogo.