Per la prima volta il genere umano, nella sua interezza, fronteggia problemi glocali: un virus pandemico, la sopravvivenza ecologica della terra, convivere con l’intelligenza artificiale, rapportarsi allo spazio infinito del big bang. A cambiare è il ruolo storico di chi abita il pianeta perché esso oggi non si rassegna ad accoglierci: ci presenta il suo modo di fare storia e minaccia di buttarcene fuori. Mai come oggi, di fronte a Covid-19, questa consapevolezza ci interroga. Scriveva Ilaria Capua1, un anno fa: «Qui entra in gioco quello che secondo me è il vero tema da affrontare: quello dell’innovazione responsabile nei confronti della salute» (Salute circolare. Una rivoluzione necessaria2, Egea 2019).
Viviamo un’epoca di discontinuità – un salto d’epoca – in cui la storia non è più guidata solo dall’innovazione e dalla tecnologia. Ma è legata al potere sull’Oltre. L’innovazione è come lo specchio di Alice nel momento in cui lei vi passa attraverso.
Una situazione che sfugge agli storici, in cui la tentazione è quella di chiedere aiuto a una politica ineffabile di poeti e profeti, abituati a descrivere il potere sugli altri, mentre oggi la sfida sarebbe su noi e sull’Oltre per noi. Ma alla domanda politica sul governo dell’innovazione non possiamo sfuggire.
Partiamo quindi da una drammatica dichiarazione di impotenza. Cerchiamo nuove finalità globali per l’agire umano, cooperazione per sopravvivere alla competizione; vogliamo indirizzare la potenza del sapere per governare l’improbabile, uniti da un’inedita solidarietà. Fondazione Giannino Bassetti rivolge allora, a chiunque intenda raccogliere la sfida, cinque domande aperte:
I.
Il dibattito sull’innovazione tecnoscientifica è vissuto e vive ancora della tensione tra il piano del discorso pubblico (la doxa, cioè «l’opinione») e il piano delle conoscenze incarnate nella prassi. Sul primo si confrontano le opinioni e gli interessi, circola l’informazione veicolata dai media, si organizza la domanda politica. Sul secondo si attestano gli avanzamenti della ricerca, si brevettano le innovazioni, si producono i fatti nei quali siamo costretti a vivere. Gli strumenti della scienza, a cominciare dallo «sguardo molecolare» descritto da Helga Nowotny e Giuseppe Testa in Naked Genes: Reinventing the Human in the Molecular Age3, manipolano la vita ai livelli più profondi, spalancando possibilità enormi (le ipotesi di Yuval Noah Harari4, un uomo che da Sapiens ambisce a farsi Deus) e depositando altrettanto grandi responsabilità. Quale decision making può comporre il conflitto tra le esigenze della democrazia, che si nutre di doxa, e le esigenze della prassi, che si nutre di competenza, cioè del sapere?
II.
Come in tutte le rivoluzioni moderne, nell’attuale, dettata dalla tecnoscienza, la persona cambia insieme al suo sistema di relazioni. Quale maggiore evidenza che la pandemia? La sfida del virus è un acceleratore e ci accorgiamo della drammatica sfida di dover vivere in un intorno diverso. Al di là della salute e della sopravvivenza (reggeranno i nostri sistemi sanitari? Reagiranno meglio gli approcci comunitaristi o quelli individualisti?) potremo continuare a riferirci agli stessi modelli di organizzazione del lavoro e della produzione (più o meno forzatamente smart)? Modificate le funzioni (esplosione della domanda di rete, differenza tra disporre di infrastruttura digitale e esserne esclusi), dovremo rivisitare il rapporto con la formazione (servono medici, ma servono anche i saperi per condividere i dati globali in un mondo fattosi piccolo)? Basterà… laurearsi in remoto?
III.
L’innovazione è immersa nella potenza, ma orfana di potere; perché esso è la potenza strutturata, legittimata. La potenza senza potere è priva di consapevolezza, quindi irresponsabile. Incontriamo il potere, il modo in cui l’uomo si espande. Ma ora l’uomo non è impegnato nella lotta al contro-potere di altri uomini. In fondo è la prima volta che di fronte al nemico – il virus, e l’estinzione delle specie per effetto dei cambiamenti climatici, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande – l’umanità si presenta solidale. Come uscire dalla frustrazione dell’impotenza?
IV.
Per effetto dell’innovazione, il bottom-up e la rete seppelliscono le certezze della gerarchia, della democrazia rappresentativa, del centralismo democratico, dell’assolutismo di mercato. Avanza indubbiamente il populismo, eppure sotto sotto si vedono i segni di una rinnovata domanda di spirito cooperativo, sintonizzato con le opportunità del tipo di innovazione che la situazione richiede: lo sharing come forma differente di uso dei beni (a cominciare dai letti della terapia intensiva), nuove piattaforme digitali come strumento per assumere decisioni collettive, la connessione per dotare di più potere chi è – anche geograficamente – alla periferia. Come governarci al tempo delle connessioni reticolari?
V.
Se il virus pandemico accelera il crepuscolo dello stato-nazione, quale identità comunitaria, quale polis, potrà trascenderla? Saranno le grandi civilizzazioni dell’immanentismo o della trascendenza a scrivere il futuro?
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