(continua dal post precedente)
La regolamentazione dei prodotti combinati “nano” in medicina: i riferimenti normativi europei entro la regolamentazione di sicurezza e le regole di responsabilità.
Nella fase di valutazione ex ante dei nanostrumenti biomedici assume importanza cruciale la qualificazione del nuovo prodotto combinato secondo le categorie di prodotti biomedici regolamentate dalla normativa vigente. Come già verificatosi con riguardo ai tessuti ingegnerizzati, e più in generale ai prodotti di biotecnologia ad uso medicale, le sperimentazioni nell’ambito della nanomedicina hanno contribuito a rendere ancor più evidente l’assenza di un intervento comunitario ad hoc per la disciplina di artefatti, terapeutici o diagnostici, risultanti da “combinazioni” di materiali sconosciute prima d’ora, intervento che è stato, invece, già predisposto nell’ordinamento statunitense con l’approvazione del Safe Medical Device Act del 1990.
L’impossibilità di distinguere chiaramente la natura degli effetti, chimici o elettrici, innescati dai prodotti di nanomedicina ha, infatti, reso difficile la classificazione del nuovo prodotto in base alle tradizionali categorie dei prodotti medici, distinti in dispositivi, materiale biologico, e farmaci. Ciò complica, dunque, l’identificazione dei requisiti, e degli standard tecnici, necessari per assicurare alla generalità dei consociati l’immissione in commercio di strumenti medici che rispettano gli elevati standard di sicurezza richiesti.
Nel contesto europeo, le prime regole per disciplinare le combinazioni di prodotti sono state emanate con il Regolamento (CE) del 13 novembre 2007 n. 1394 sui medicinali per terapie avanzate, il quale ha stabilito una procedura centralizzata per approvare i farmaci di origine biotecnologica. Il Regolamento ha il pregio di dare rilevanza giuridica al concetto di combinazione di prodotti, nell’evidente consapevolezza che i più recenti artefatti, di origine biotecnologica, condividono, in gran parte, tale caratteristica.
Per quanto finora detto, pertanto, l’individuazione della categoria di prodotti in cui un eventuale artefatto prodotto con nanotecnologie potrebbe rientrare dovrebbe avvenire sulla base di un’analisi caso per caso, approccio questo che è stato già definito una nuova forma di regolamentazione precauzionale [EU Commission, Understanding Public Debate on Nanotechnology. Option for Framing Public Policy, 2010].
Se un prodotto medico, contenente nanoparticelle o nanomateriali, fosse classificato alla stregua di dispositivo, le procedure europee di valutazione ed il giudizio di conformità per rendere commerciabili gli strumenti terapeuti sarebbero, invece, predisposte dalla direttiva del Consiglio 93/42/Cee relativa ai dispositivi medici in generale. Ed in caso di danno da dispositivo, la disciplina di elezione sarebbe espressa, nel nostro ordinamento agli artt. 114-127 Cod. consumo (nei quali è confluita la disciplina in tema di prodotti difettosi di cui al D.p.r. 24 maggio 1988, n. 224).
Ci si interroga sull’applicabilità della disciplina sui prodotti difettosi al campo della nanomedicina. Data la natura biomedica dei prodotti in esame, i regimi di responsabilità potenzialmente applicabili potrebbero essere due: la responsabilità del produttore per prodotti difettosi e la responsabilità per attività pericolose (quest’ultima è applicata generalmente in caso di danno da prodotto farmaceutico).
In entrambe le fattispecie prospettate emergerebbero, poi, ulteriori problemi: la verifica della sussistenza degli elementi della fattispecie di responsabilità in condizione di incertezza; nonché i dubbi circa l’allocazione delle responsabilità tra i soggetti che intervengono nella commercializzazione e nell’impiego sull’uomo del prodotto.
In ragione dell’alea tecno-scientifica e dello stadio delle conoscenze, il fulcro delle questioni ruoterebbe intorno all’operatività dell’esimente per rischio da sviluppo, di cui all’art. 118, lett. e) Cod. consumo (che traspone l’art. 6 lett. e), d.p.r. n. 224/1988) ed all’interpretazione delle regole di responsabilità alla luce del principio di precauzione [Comandè, 2013]. L’esimente ricordata esonera da responsabilità il produttore ogniqualvolta «lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso».
E’ ricorrente in dottrina la constatazione che, così formulata, l’esimente non chiarisce quando si possa ritenere che le conoscenze acquisite consentano di qualificare come difettoso il prodotto. E neppure indica quale grado di incertezza sulla sicurezza del prodotto imponga all’imprenditore di non commercializzarlo, o di ritirarlo dal mercato.
In pratica, è necessario capire se i rischi che si materializzano, rendendo il prodotto difettoso, erano prevedibili nel momento dell’immissione in commercio. Sembrerebbe indispensabile, dunque, differenziare i rischi, attribuendo loro, diversa rilevanza giuridica, a seconda del grado di preventiva conoscibilità.
Questa analisi non è semplice con riferimento alle nanotecnologie, poiché esse rappresentano un ambito in cui le conoscenze scientifiche sono ancora molto limitate. E’ difficile stabilire quando tali conoscenze possano dirsi cristallizzate, in modo tale da ritenersi che il rischio sia conoscibile.
Le nanotecnologie sono caratterizzate, allo stato attuale, da rischi totalmente inesplorati e rischi già identificati come potenziali. Nel triennio 2006-2009, il Comitato scientifico della Commissione europea sui rischi sanitari emergenti e recentemente identificati (Scenihr) ha pubblicato una serie di opinions, volte a descrivere quali sono i potenziali rischi connessi all’uso delle nanoparticelle ed alla loro interazione con le molecole biologiche dei tessuti e dei fluidi vitali [Le opinioni del Schenir sono tutte dsponibili in rete].
Con l’Opinion «Risk Assessment of Products of Nanotechnologies» del 19 gennaio 2009, il Comitato ha dato atto che la procedura di risk assessment per valutare i rischi da nanomateriali è ancora in fase di sviluppo [disponibile in rete].
Alla luce di questo articolato quadro è naturale chiedersi: qual’è, dunque, il modello di gestione del rischio promosso dall’Unione Europea nel campo delle moderne tecnologie?
Per responsabilizzare l’agire dei soggetti preposti ad assumere le scelte d’impresa, la Commissione Europea raccomanda l’adozione di un approccio proattivo. Sebbene questa espressione non sia stata definita, nemmeno sommariamente, essa richiama l’analoga terminologia utilizzata per caratterizzare l’agire del produttore nell’ordinamento statunitense. Ciò si traduce, in ultima analisi, nella raccomandazione ad adottare, nei contesti di produzione tecnologicamente avanzati, un modello di gestione del rischio che operi “in positivo”, alla stregua di quello vigente negli Stati Uniti. In altri termini, il produttore non deve considerare solamente i rischi conoscibili, come accadrebbe in base ad un opposto modello, quello c.d. reattivo, ma deve attivarsi ulteriormente, per prevenire anche quei rischi solo potenziali.
A tal fine, l’adeguatezza della struttura e dell’organizzazione d’impresa costituiranno un elemento importante per valutare, in sede di giudizio, se l’imprenditore ha acquisito il massimo livello di conoscenze disponibili sulle questioni scientifiche e tecnologiche.
La tutela dell’assistito
L’individuazione delle responsabilità per i danni cagionati dagli strumenti nanobiomedici nella fase successiva alla loro commercializzazione rimane un problema aperto. L’attuale mancanza di evidenza scientifica circa l’efficacia e la sicurezza delle nuove applicazioni mediche ostacola anche l’esatta valutazione delle potenzialità dannose per la salute degli assistiti rendendo, così, assai complessa la predisposizione di un modello normativo idoneo a gestirle [Costi, 2002].
I documenti predisposti dalla Commissione Europea incoraggiano l’adozione di un “approccio proattivo” e precauzionale nella gestione dei rischi alludendo, in prima battuta, alla necessità che lo stesso produttore ponga in essere una forma incisiva e continuata di sorveglianza sulla nuova apparecchiatura, al fine di intervenire tempestivamente per porre rimedio alle eventuali reazioni negative, prodotte dall’impianto dei nanodispositivi nell’assistito, o dai nanofarmaci conoscibili solo in un momento successivo alla commercializzazione. A tale scopo, potrebbe essere funzionale ad un controllo rapido ed efficiente l’impiego di sistemi di tracciabilità industriale, che permetta di conoscere tutte le informazioni relative alla sua provenienza e lavorazione.
Un’ulteriore attenta e più ampia analisi dell’assistito quale destinatario e beneficiario finale della nuova medicina ha indotto la Commissione europea a incoraggiare l’adozione di idonei provvedimenti a garanzia, non solo del diritto costituzionale alla salute, ma anche del diritto alla riservatezza [Sul tema del paziente “oggetto e soggetto” della relazione terapeutica vedi in questo sito].
Infatti, mentre le prospettive di utilità attraggono l’attenzione dei molti, proprio il pericolo che un sofisticato strumento diagnostico, quale ad esempio un biochip, impiantato nel corpo umano possa rilevare la struttura più intima dell’essere umano attraverso la registrazione di milioni di sequenze di DNA dell’individuo ospitante, diventa fonte di scetticismo verso l’utilizzo di questa tecnologia, la quale potrebbe rendere conoscibili a terzi anche informazioni relative all’eventuale presenza di malattie o addirittura alla predisposizione a determinate patologie. Le informazioni facilmente desumibili dai dati genetici, i quali per definizione hanno un’attitudine predittiva, mettono a dura prova i sistemi utilizzati per conservarle nelle banche dati e le procedure da rispettare per consultarle [sul tema vedi anche “I test genetici: dubbi sulla privacy e potenzialità” in questo sito].
In ogni caso, la convergenza tra tecnologia su nanoscala e medicina promette di migliorare notevolmente le prospettive di vita dell’assistito. Da ciò la fiducia e l’appoggio finanziario che ormai da diversi anni la Comunità europea ha garantito a questo settore della ricerca.
Tuttavia, l’azione normativa comunitaria volta a contenere l’impatto giuridico del fenomeno nanomedicina si dimostra ancora molto prudente nel prospettare le specifiche condizioni di commerciabilità della strumentazione e si propone di favorire un dialogo intenso e costruttivo tra le parti coinvolte.
Molte consultazioni pubbliche e collaborazioni interdisciplinari tra stakeholders hanno già raggiunto risultati concreti anche da un punto di vista regolatorio, si pensi, per esempio al Code of Conduct for the responsible development of nanosciences and nanotechnologies, c.d. Nanocode del 2008.
Esse continuano al fine di contribuire allo sviluppo ed all’impiego responsabile delle nanotecnologie, indagando la compatibilità delle applicazioni nanomediche con le aspettative sociali di sicurezza e di continuità dell’innovazione responsabile in medicina.
Bibliografia essenziale
– Brownsword, Regulationg Nanotechnologies: A Matter of Some Uncertainty, in Notizie di Politeia, 2009, fasc. 94, 13.
– Comandé, La responsabilità civile per danno da prodotto difettoso…assunta con “precauzione”. In Danno e resp., Milano:Ipsoa, 2013, 107.
– Costi, Ignoto tecnologico e rischio d’impresa, in Aa. Vv., Il rischio da ignoto tecnologico, Milano, Giuffré, 2002.
– Dorbek- K. Jung, Governing Nanomedicine: Learning from Regulatory Deficiencies of European Medical Technology Regulation, G. Guerra, M. Piccinni (a cura di), Novelty or Disguise? Regulation and Policy-making in Nanotechnology, in Notizie di Politeia, 2009, 46.
– Guerra, La responsabilità in medicina: vecchi scenari e nuovi orizzonti, in La responsabilità in nanomedicina: vecchi scenari e nuovi orizzonti, in A. Belvedere, L. Lenti, E. Palermo, S. Riondato (a cura di), Le responsabilità in medicina, vol. IV, tomo II, in S. Rodotà, P. Zatti (diretto da), Trattato di Biodiritto, 2011, 71-89.
– Guerra, Nanomedicina e diritto: un primo approccio, in Danno resp., 2006, 1029.
– Guerra, European Regulatory Issues in Nanomedicine, in (Schummer-Pariotti a cura di), Nanoethics, 2, Springer, 2008, 87.
– Howells, Product Liability for Nanotechnology, in Journal of Consumer Policy, 4, 2009, 381.
– McHale, Nanomedicine and the EU: Some Legal, Ethical and Regulatory Challenges, in Maastricht Journal, 16, 2009, 65 ss.
– Pariotti, Regolare l’incertezza: verso uno sviluppo costruttivo del principio di precauzione applicato alle nanotecnologie, in A. Lorenzet-S. Arnaldi (a cura di), Innovazioni in corso. Il dibattito sulle nanotecnologie tra etica, diritto e società, Bologna, il Mulino, 2010.
– Rodotà, Avventure del corpo, in Notizie di Politeia, 2006, 45.