Durante il periodo delle vacanze estive spesso ci si imbatte in notizie curiose. Ad esempio, questo agosto in molte testate on-line, si è parlato di un collare tecnologico per pecore che ne rileva il battito cardiaco comunicando al pastore la presenza di un pericolo quale un lupo.
(Sulle prime viene in mente la favola di Esopo “al lupo al lupo”, dove un giovane pastore si diverte a gridare “al lupo” solo per il divertimento di vedere agitarsi gli uomini del paese. Dopo aver tirato questo scherzo molte volte, quando il lupo arriverà veramente, nessuno crederà più alle grida del ragazzo.)
Qualche anno fa assistei alla presentazione di un progetto simile dove rilevatori di calore venivano posizionati sugli alberi per la segnalazione tempestiva di un incendio boschivo.
Si tratta in tutti e due i casi di reti di sensori che elaborano una segnalazione coordinata, localizzata spazialmente e temporalmente.
E la notizia più interessante è quella che se ne deduce: i sensori (di calore, di prossimità, sonori, biologici eccetera) sono sempre più sofisticati, minuscoli, in rete ed economici.
Così vedremo moltiplicarsi progetti di questo tipo che, se al momento possono anche far sorridere, saranno invece sempre più stupefacenti, affidabili, diffusi e pervasivi.
Invasivi?
A parer di molti, dovrebbero divenire uno dei pilastri tecnologici su cui basare le cosiddette Smart Cities: in questo caso città ultraconnesse che facilitano la vita dei loro abitanti con elevati automatismi.
Il 5 giugno scorso è stato attivato a livello globale il nuovo protocollo per la creazione degli indirizzi web IPv6, proprio in linea con la previsione di un esplodere delle richieste. Il precedente protocollo (IPv4) aveva un limite teorico di 4,3 miliardi di indirizzi: troppo pochi per la crescita esponenziale prevista. Con l’IPv6 si raggiunge una cifra pari a 2 alla 128esima potenza: circa 340 seguito da trentasei zeri. Sono tanti, ma pensate di dare un indirizzo ad ogni oggetto che vorreste inserire in una rete, nel globo.
L’ultimo numero di Nova24 prima della pausa d’agosto, aveva in prima pagina l’articolo “Oggetti che parlano con oggetti”. E questo è l’altro capo del filo che sto provando a stendere: l’internet delle cose.
Quale è la differenza tra i sensori posti sulle pecore (o quelli posti sugli alberi) e dei normali rilevatori di battito cardiaco o di calore? Fondamentalmente che l’informazione finale è prodotta da una rete, una rete senza un centro, che “decide” se sia il caso o meno di far partire la richiesta di un intervento umano.
Ora, cosa succede se in una società sempre più dominata dalla moltitudine delle persone, degli oggetti e delle informazioni, si facilita la connessione tra tutti gli elementi? Forse è una strada per affrontare molte criticità.
In questo post vorrei segnalare proprio questo valore: se gli oggetti vengono messi in rete fra loro, possono aiutarci ad affrontare la terza delle moltitudini che ho nominato: quella delle informazioni. Possono veicolare la lettura del mondo circostante, divenuto effettivamente “troppo pieno”.
Ma c’è un secondo valore che vorrei sostenere: questo mondo di sensori che ci si prospetta potrebbe divenire una mega infrastruttura tecnologica di servizio che non potrà sortire l’effetto desiderato, forse non potrà mai decollare, forse sarà più qualcosa di invasivo che di facilitativo.
Sarebbe meglio divenisse qualcosa di integrato a noi, che permette/richiede/necessita la nostra partecipazione, dove il cittadino possa essere parte integrante consenziente piuttosto che utente, fruitore, cliente.
Leandro Agrò di Wide Tag lo aveva già espresso (più di) un anno fa in un articolo per Felicity: “La prima tecnologia che ci serve è dunque quella che ci rende co-protagonisti. L’infrastruttura che vogliamo, è quella che accelera la diffusione dei comportamenti virtuosi” (Ma vi consiglio di leggere l’intero articolo). Nella presentazione di un suo recente laboratorio trovo le tre regole che dovrebbero essere seguite dagli interaction designer “makers”: 1) Ogni oggetto deve essere “intelligente” – 2) Ogni oggetto deve essere “senziente” – 3) Ogni oggetto deve essere “sociale”.
Forse da qui la sensazione di fastidio di fondo che mi viene quando vedo bellissimi video come Sight o come Agumented City 3D…
Sight propone una visione tecnologicamente affascinante ma anche molto inquietante della vita futura in cui potremo essere “connessi” continuamente a informazioni selezionate e selezionabili.
Appena conclusa la visione del video mi sono chiesto: e se il personaggio principale venisse immerso in quella che è già la realtà attuale? Come ad esempio un incidente stradale in un incrocio di Nuova Dheli, tra un furgoncino pieno di scatole, una mucca sacra e il risciò che lo trasporta poco prima di uno scroscio di pioggia monsonica… Come funzionerebbero e sue lenti ultraconnesse?
Forse lo aiuterebbero ad avere la freddezza giusta per affrontare una infinità di informazioni?
E come sarebbe possibile “confezionare” correttamente le informazioni, senza che l’individuo le debba solo “ingurgitare” prendendole necessariamente per buone?
Riesco ad immaginarmi meglio una rete di sensori che elaborano una moltitudine di dati e aiutano in tempi brevissimi la lettura e la valutazione delle opzioni. La possibilità di accesso ai raw data e l’uso di software altamente personalizzabili per la loro lettura.
Come ci comporteremmo ad esempio avendo informazioni dirette sul consumo di energia nella nostra città in una giornata di caldo estremo? Sapere che tutti i nostri simili (amici o facenti parte della stessa comunity) stanno usando meno energia di noi? Tenendo le luci un po’ più basse, usando meno il ventilatore o il condizionatore d’aria… non saremmo forse spinti a consumare meno? O ci sarebbe una resa collettiva e chi consuma meno tenderebbe a “rilassarsi” e consumare come quello che consuma di più? E’ evidente che anche queste dinamiche funzionano in un contesto. Uno dei progetti di Wide Tag è Social Energy Meter http://www.widetag.com/projects/widetag-social-energy-meter/ che incrocia nel migliore dei modi informazione, rete e socialità convogliandole verso una pratica virtuosa.
Agumented City 3D propone (ben prima di Sight) la sua visione del “mondo aumentato”. Un mondo in cui gli avvisi/pubblicità intorno a noi sembrano cartacce a terra mosse dal vento e dove l’interfaccia che ci permette di reperire una informazione sembra essere semplice da manovrare nonostante la sua complessità.
Anche qui quello che mi colpisce è l’assenza dell’azione dell’individuo verso il sistema complesso di informazioni. Sembra che tutto quello che lo riguarda sia in rete, disponibile a tutti, e che tutto quel che lo circonda sia malgrado lui. Nessuno scambio, nessuna interazione, solo fruizione.
E infatti il mondo attorno è lo stesso che si può osservare nell’attuale quotidiano.
Sembrano sogni e favole del futuro, eppure grandi aziende si sono già mosse in questa direzione; si veda ad esempio Google con il suo Project Glass.
Anche se al momento mi pare ancora più interessante un oggetto come Pebble, una evoluzione dell’orologio per tenersi in contatto con le informazioni provenienti dal web e rispondere solo se necessario. Pebble fa parte di una nicchia di oggetti “social” che stanno spuntando nel mercato, ancora incerti se divenire fornitori di informazioni o interfacce tra la persona e il mondo.
Per concludere, di fronte all’esempio delle buone pratiche di Wide Tag, mi viene da ricordare per contrasto il mio precedente articolo “Stampare armi“.
Le innovazioni dovrebbero essere opportunità per far vincere la parte virtuosa di una società.
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(foto: design-device-feedback1-L di fatti k da Flickr)