Il 20 aprile 2012, a Firenze, si è svolto il seminario organizzato dalla Fondazione Bassetti nell’ambito del Public Communication of Science and Technology Conference (PCST2012). Al convegno internazionale hanno partecipato scienziati, operatori di istituzioni scientifiche, ricercatori e giornalisti. Pubblichiamo una intervista di Angela Simone a Massimiano Bucchi (Professore di Sociologia della Scienza e Comunicazione, Scienza e Tecnica, Università di Trento) del PCST International Scientific Committee.
Qualità, bellezza e onestà sono state le tre parole chiave della conferenza del PCST (Public Communication of Science&Technology) nel 2012 a Firenze. Cosa significano queste parole nel contesto della comunicazione pubblica della scienza?
La comunicazione pubblica della scienza, dopo circa 30 anni dal celebre rapporto Public Understanding of Science, è pronta a concludere una sua prima fase “eroica” dove tutto procede nel nome della scienza e della comunicazione della scienza per evolvere in una fase più matura dove si distingue la buona comunicazione e di valore da quella che lo è meno. La tematica della qualità è davvero centrale.
Per quanto riguarda le altre parole chiave, ma questa è soltanto la mia personale interpretazione, la bellezza è anche una dimensione della qualità. E non è ovviamente l’unica. Infatti anche l’onestà, come abbiamo imparato dalla crisi del cosiddetto deficit model, insieme alla correttezza e alla trasparenza sono altri aspetti che caratterizzano la qualità e sono importanti tanto quanto il contenuto nel processo di comunicazione pubblica della scienza, perché questo processo possa includere il più alto numero possibile di attori.
Quindi il comunicatore della scienza dev’essere un “onesto mediatore”?
Io credo che questo approccio appartenga più alla visione del primo periodo della comunicazione pubblica della scienza, in cui si riteneva che per garantire l’onestà nella comunicazione ci fosse bisogno soltanto di onesti scienziati e di onesti comunicatori. Ma come sappiamo, anche attraverso la diffusione dei media digitali, il problema di chi comunica è ormai molto più complicato. La responsabilità è frammentata ed è a volte anche difficile da collocare. Credo che la sfida quindi sia rendere il più onesto possibile l’intero processo di comunicazione, non solo i singoli attori coinvolti.
L’utilizzo dei social media da parte dei scienziati, comunicatori della scienza, giornalisti è stato un tema caldo di questa edizione del PCST. Qual’è secondo Massimiano Bucchi il ruolo del web 2.0 nella comunicazione pubblica della scienza?
Quando qualcosa di nuovo come i media digitali e i social network irrompe sulla scena è sempre facile esagerare ed essere entusiasti, ma è chiaro a tutti noi che in pochi anni la comunicazione è stata completamente trasformata da questi media. Credo che sia come comunicatori che come sociologi abbiamo il dovere di analizzare bene cosa sta succedendo per capire quali sono le implicazioni di questo cambiamento. Già sappiamo che questo è un percorso arduo per alcuni attori: per esempio, c’è una sorta di perdita di identità dei tradizionali mediatori dell’informazione in questo nuovo contesto. D’altro canto però penso sarebbe troppo semplicistico dire che i media digitali siano l’unica frontiera, l’unico futuro per la comunicazione pubblica della scienza.
Come bilancio finale, quali sono i risultati maggiori di questa edizione a Firenze?
Abbiamo avuto più di 650 partecipanti, più di 900 abstract sottomessi da tutti e 5 i continenti. E questo mi sembra un ottimo risultato. Ovviamente non sta a me giudicare sulla qualità di questa edizione, ma credo che l’enorme selezione che abbiamo dovuto fare è stata significativa in termini di qualità. Infine uno dei risultati per cui vado maggiormente fiero è il coinvolgimento di istituzioni importanti, come la Fondazione Bassetti, nel supportare studenti e giovani studiosi da tutto il mondo per partecipare con lavori di qualità alla conferenza.