Fra luglio e agosto la roboetica è stata più volte protagonista sulle pagine dei giornali e sui siti web, anche perché diversi robot dalle fattezze umane o somiglianti ad animali sono giunti a un livello di sviluppo tale da far notizia anche per un pubblico di non esperti. Queste macchine sono state progettate e costruite da aziende private e università giapponesi, europee e americane, a testimonianza del fatto che la tendenza a creare robot umanoidi capaci di relazionarsi con l’uomo – contrapposta a quella di progettare dispositivi robotici il cui aspetto è dettato esclusivamente da esigenze funzionali e non ricorda neppure lontanamente quello di un essere vivente – si sta ormai affermando anche al di fuori del Giappone. I costi elevati dei robot umanoidi, accanto al funzionamento non ancora perfetto, sono allo stato attuale i maggiori ostacoli a una loro più ampia diffusione. Ma negli ultimi decenni il settore tecnologico ci ha abituato a rapidi progressi, e la possibilità di trovarci a interagire quotidianamente con robot umanoidi è dunque più vicina di quanto potremmo pensare. Occorre dunque interrogarsi per tempo sulle possibili conseguenze di questa innovazione.
Questo sito ha già ripreso le riflessioni che Giuseppe O. Longo ha proposto sulle pagine di La scienza in rete, centrate sui problemi connessi al rapporto uomini-robot, soprattutto quando questi ultimi sono capaci di trasmettere e provare emozioni. E recentemente un articolo su questo tema è stato pubblicato anche dal Corriere della Sera.
Per inquadrare meglio il discorso teorico e capire fino a che punto i robot possono coinvolgerci anche emotivamente è però necessario vederli in azione. I link che seguono rimandano a filmati in cui i robot umanoidi o simili ad animali mostrano le loro prerogative. Due aspetti meritano di essere sottolineati. Il primo è la naturalezza delle interazioni fra uomini e robot: la comunicazione sembra infatti avvenire nei due sensi. I robot sembrano emozionarsi e gli esseri umani ripresi nei filmati mostrano di provare anch’essi delle emozioni in risposta ciò che i robot dicono o fanno.
Il secondo aspetto riguarda la varietà delle situazioni in cui i robot possono essere impiegati, che vanno dall’insegnamento all’assistenza ad anziani o disabili, dallo svolgimento di mansioni cui ora sono dedicati impiegati in carne e ossa (receptionist, bibliotecari e così via), fino all’aiuto domestico e alla consulenza medica. Tutto ciò ci fa intravedere un mondo futuro in cui le macchine non agiranno in ambiti ristretti, ma occuperanno lo spazio quotidiano degli uomini.
Bina48 intervistata da una giornalista del New York Times
Bina48 è un robot progettato da David Hanson, della Hanson Robotics, le cui fattezze riproducono quelle di una persona realmente esistente. La giornalista le chiede opinioni sull’intelligenza artificiale, sull’amicizia e la invita a esprimere le proprie emozioni. Bina48 risponde a tutte le domande, mostrando anche un certo senso dell’umorismo (è dotata di un sistema che, collegandosi a internet, è in grado di trovare le risposte). Di lei ha parlato anche La Stampa.
I robot-maestri
New York Times propone una panoramica su alcuni robot progettati per interagire con bambini e ragazzi impartendo insegnamenti di base. Alcuni di questi (Rubi, in particolare) sono stati pensati anche per aiutare i bambini autistici.
Kindy e i robot bambini
Una serie di robot progettati dai ricercatori dell’Università di Osaka, in Giappone, capaci di riprodurre i movimenti e le espressioni facciali di un bambino di circa due anni. Obiettivo degli scienziati è creare macchine capaci di interagire in modo naturale con gli esseri umani.
Autom, il personal trainer
Sviluppato al MIT di Boston per conto di una società di Hong Kong, è un robot che aiuta chi vuole perdere peso a programmare e rispettare la dieta. I test, effettuati su 45 volontari, hanno mostrato che il maggior coinvolgimento emotivo determinato dall’interazione con il robot è effettivamente utile a chi fa fatica a rispettare le ristrettezze alimentari. Di Autom ha parlato anche La Stampa.
Paro, la piccola foca per anziani
Sviluppata da un’azienda giapponese, la piccola foca robot è già stata adottata in alcune case di riposo per anziani e in centri per reduci di guerra. Paro è dotata di sensori per la luce, la temperatura, il suono e le sensazioni tattili ed è in grado di percepire anche la postura. Questo le consente di muoversi con una certa naturalezza, riproducendo le movenze di una piccola foca e di interagire con gli umani. La CNN l’ha ripresa in azione con gli anziani. Paro è stata anche al centro di un progetto dell’Università di Siena che ha coinvolto bambini con deficit cognitivi di vario tipo e anziani.
Nao, il robot che si emoziona
Sviluppato all’Università dell’Hertfordshire (Gran Bretagna) da ricercatori di otto Paesi europei, Nao è un robot programmato per avere le capacità emotive di un bambino di circa un anno, ed è dunque capace di reagire in modo coerente a stimoli di tipo emotivo. A seconda di ciò che fanno gli umani che interagiscono con lui, Nao mostra allegria o tristezza, si spaventa o si mostra intraprendente. Secondo i suoi ideatori potrebbe aiutare i bambini ricoverati negli ospedali a superare lo stress. Ne ha parlato la BBC.
C’è Saya alla reception
Sviluppata all’Università di Tokyo, Saya potrebbe lavorare nella reception di un hotel, ma secondo i suoi ideatori sarebbe anche un’ottima insegnante di scienze. La robot capisce 300 parole, può fornire circa 700 risposte e il suo volto è mosso da 27 muscoli artificiali (la mimica facciale però risulta ancora piuttosto limitata, come si vede nel filmato).
Saya. Tokyo robot new susbstitute teacher.
Science: Interview With a Robot – nytimes.com