Riceviamo come contributo al Call for Comments “Reinventing learning and research?” e volentieri pubblichiamo.
Imprenditorialità ed università , un modello ancora lontano
di Pasquale Persico
La difficoltà di cucire un vestito-sistema aziendale come vestito di riferimento capace di valutare e riorganizzare un sistema complesso ed aperto come l’università appare un’operazione necessaria ma sul piano teorico transitoria.
La sistemazione teorica del contesto di riferimento, la specificazione del modello organizzativo, la ricerca dei valori e dei fattori caratterizzanti l’organizzazione che verrà, la nuova organizzazione possibile, sono temi affascinanti e meritano una riflessione alla luce dell’ipotesi base di reinventare la didattica e la ricerca da fare nell’università.
L’ipotesi forte, ben chiara e sentita, riguarda la possibilità di uscire lavorare dal modello burocratico esistente e inventare un nuovo modello, l’università imprenditoriale, in termini di potenziale.
Non è poco, perché il potenziale apre l’ipotesi di raggiungere gradi di accontability, li fa interpretare dalle strutture esistenti che a loro volta si incamminano verso nuovi parametri di efficacia, efficienza, e funzionalità; si creano nuovi percorsi di responsabilità e questa ridefinisce nuovamente il potenziale possibile.
Lo sforzo teorico, in questo senso, non riguarda soltanto il perché sia necessario ripensare all’università come organizzazione complessa da ristrutturare e posizionare ma ha la pretesa di considerare problemi estesi ad altri settori anch’essi necessariamente protesi a cambiare il modello gestionale di riferimento.
Ma proprio per il settore della ricerca e dell’università si evidenzia che l’aver forzato i “limiti” teorici dell’applicazione dei caratteri di Azienda ad una struttura territoriale in evoluzione complessa, pone il problema del dopo, in termini teorici. L’università, infatti, per sua natura opera anche in spazi di non mercato (alla Coase), con organizzazioni a-specifiche, per le quali è difficile determinare anche i costi irrecuperabili.
E’ evidente che attraverso la creazione di una mentalità imprenditoriale e l’uso abbondante delle nuove tecnologie si possono mobilitare risorse potenziali per accumularli in cluster di conoscenza ma il tema principale rimane: su quali infrastrutture istituzionali si poggia la responsabilità del cambiamento? Bastano incentivi identitari ed incentivi selettivi per riaggregare le imprenditorialità latenti nel mondo della ricerca? Quali sono i sistemi di valutazione a cui si vuol fare riferimento?
Questa ultima è la domanda portante.
Una volta deciso il contesto delle reti, il valore dell’accontability è definito, l’ipotesi di imprenditorialità deve partire da lì.
Nello stesso tempo la capacità di responsabilizzare le diverse componenti finisce per essere la chiave per ripartire nuovamente.
Il modello burocratico non è ancora cambiato ma può diventare più flessibile cioè più consapevole della necessità di arrivare ad un nuovo modello.
L’accontability deriva dal potenziale che l’università mostra in termini di produzione di capabilities legate al capitale umano formato, capabilities che oggi richiedono anche dosi di competenze specifiche, di ricerca di base e di ricerca applicata senza trascurare quelle gestionali relativi a progetti. La voglia di poter avere voce nel confronto relativo alle capabilities prodotte e alle competenze mostra che il cambiamento è possibile.
“L’assunzione dell’onere della prova deve ricadere su coloro che fanno parte dell’organizzazione”, sapendo che il tempo nuovo è arrivato e che la globalizzazione ha rivoluzionato i luoghi della produzione delle capabilities e delle competenze ; il continuo cambiamento delle reti di produzione di conoscenza finisce per dare all’accontability una significato liquido nel senso che il contenitore (università) diventa riconoscibile non per storie passata ma per capacità di mostrarsi contemporanea nella produzione di storie future.
La difficoltà di produrre competenze accanto alle capabilities mostra tutta l’attuale fase critica dell’università e sintetizzano le finalità esplicitate del modello proposto (la formazione culturale delle classi dirigenti,, la formazione di elevate professionalità, l’ampliamento delle frontiere del sapere, l’impulso alla crescita del sistema economico, la riproduzione delle nuove capabilities didattiche e scientifica accanto alle competenze accumulate); Le due parole, capabilities e competenze, mettono in crisi i tradizionali modelli di gestione di risorse umane (il modello burocratico più volte richiamato nel testo) perché il loro uso esplicita il concetto che capabilities e competenze hanno carattere temporaneo ed hanno bisogno di essere valutate sempre nel processo di cambiamento.
Ecco perché un modello di New Management (non necessariamente sovrapponibile a quello ipotizzato da formica) chiede spazio con urgenza, perché esso è in grado di aggiungere valore riposizionando risorse in una visione dinamica e ricorsiva. Le risorse umane esprimono sempre nuove capabilities e potenzialmente nuove competenze, dipende dalle reti in cui esse sono attive.
Il progetto “Efficienti perché pubblici” dell’Università di Ferrara, appena pubblicato dall’editore Carocci, segnala lo sforzo delle università pubbliche di inseguire valori del modello imprenditoriale, cioè uno sforzo di mappatura dei processi e la tensione verso nuovi parametri di efficienza maturati nel nuovo clima competitivo necessario per stare nelle reti globali di produzione di saperi.
Tra queste reti, quelle lunghe hanno più importanza di quelle corte sebbene queste influenzino il destino breve della leadership responsabile. (fine)
Nota di ragionamento.
Nello stesso tempo, i Knowledge Workers emergono come gruppi occupazionali con alti livelli di istruzione ed educazione ed in rete continua come le centrali di produzione della conoscenza.
Non tutte le università fanno parte di questa rete, occorre perciò porsi la prima domanda fondamentale: l’università è potenzialmente in grado di far parte di questa rete di produzione di conoscenze e che ruolo svolge?
Ed ancora in sequenza:
Vi è consapevolezza che la nuova industria a livello internazionale tende a nascere ed a crescere vicino all’università se non dentro l’università?
Nomi e aggettivi vengono sprecati in accostamenti poco appropriati senza penetrare nella struttura del cambiamento: organizzazione e network, economia e società, informazione e comunicazione, istruzione e apprendimento, conoscenza e competenza, vantaggio competitivo e territorio; con la politica capace di rimescolare i contenuti :flessibilità del lavoro, abilità e formazione, capacità e occupabilità, valutazione e risultati, università ed impresa, l’impresa come università.
Ma l’economia è basata sulla conoscenza o è guidata dalla conoscenza?
La fantasia è una delle libertà ancora concesse a tutti quando non ha la pretesa di trasformarsi in pensiero per gli altri.
Noi abbiamo bisogno di discutere di più riguardo alla società della conoscenza, per i caratteri distintivi rispetto alla società dell’apprendimento nella quale ci siamo trovati più a nostro agio, accumulando anche qualche privilegio accademico.
La società della conoscenza porta dentro dei cambiamenti strutturali di lungo periodo in campo economico che mettono in discussione qualsiasi ipotesi di conservazione di rendite di posizione: sempre più organizzazioni saranno abbastanza spontaneamente indirizzate verso produzione, disseminazione e l’uso della conoscenza.
Entra in gioco la terza domanda: le università che fanno parte della rete di produzione della conoscenza sono in pericolo rispetto a queste organizzazioni potenziali?
Il tentativo fatto dall’assessorato alla ricerca della Regione Campania di creazione di una legge per la ricerca di base, di una rete di centri di competenza, di una rete di imprese che domandassero ricerca e di una serie di sperimentazioni su settori di ricerca nuovi vanno nella direzione di rispondere alle domande appena poste: la Campania ha massa critica sufficiente, come sistema dell’università e della Ricerca per far parte della società della conoscenza? E se si quali strategie bisogna adottare dei diversi segmenti di policy per mantenersi in rete e diventare pivot prima e protagonisti poi del network internazionale?
La risposta affermativa dell’assessorato risiede nella tautologia della necessità delle policy.
Egli ha trovato non vuoto lo spazio “Bohr” e ha prospettato delle politiche per la ricerca fondamentale e la ricerca sperimentale. Ha trovato non vuoto lo spazio pieno “Pasteur” ed ha fortemente implementato, con i centri di competenza, le strutture della ricerca fondamentale ispirata dall’uso. Ha riconosciuto forti presenze nello spazio “Edison” e progetta distretti sui materiali per aggregare ricerca industriale e ricerca industriale, non dispera infine di trovare filoni nuovi di ricerca di conoscenze in casi particolari.
Possiamo essere più realisti del re e porci queste domande con riferimento alla nostra università per trovare risposte sui contenuti e sui contenitori da implementare?
Alla metà degli anni ottanta il mondo dell’industria ed a seguire quello del settore pubblico ha iniziato a reclamare flessibilità e lo fa anche oggi; reclamano insieme l’abbreviamento dei contratti ed il restringimento degli obblighi, richiedono una visione pragmatica nel portare avanti la vita economica e sociale; l’impegno di contrastare l’esclusione sociale viene giudicato secondario.
Oggi appaiono i primi segni che questo approccio contrasta con la visione che le organizzazioni della società, (famiglie, imprese, università, enti locali, organizzazioni finanziarie e non profit, etc), debbano svolgere ruoli strategici nella società della conoscenza.
L’università ha il dovere di approfondire questo aspetto e proporre nuovi pensieri così che le persone, ricercatori e studenti, non si trovino ad essere disorientati.
Favorire questo approfondimento è un nostro dovere morale, dobbiamo pensare per un minuto a come trovare una soluzione intelligente cioè pensata per un tempo lungo.
L’economia basata sulla conoscenza: i ruoli delle professioni e delle università
Le università ha un ruolo nella formazione della capability di base o può svolgere un ruolo anche nel progetto professionale di formazione delle “competenze” nella società della conoscenza?
Non esiste una risposta ovvia esiste una risposta complessa che riguarda la possibilità che l’università si senta rete nel progetto delle professioni chiave della società in evoluzione.
Bisogna aprire laboratori di approfondimento su questi temi e dare conto delle pratiche di valutazione dei risultati sperimentali o di quelli permanenti.
Nell’economia basata sulla conoscenza i sistemi di apprendimento, lavoro e innovazione, lavoro e produzione di informazioni, lavoro e territorio, saranno sempre più interrelati.
L’interazione implica una rottura del modello lineare dalla ricerca alla conoscenza al lavoro e una rottura anche delle gerarchie potenziali, ricerca su industria, università su professioni etc.
Le università e le organizzazioni equivalenti si devono trasformare ipotizzando un maggiore confronto con:
Altri importanti produttori e fruitori della conoscenza.
Una varietà di intermediari interessati ad attività di trasferimento intensivo della conoscenza.
Le professioni emergenti da nuovi laboratori competitivi di produzione di competenze.
Le istituzioni che sviluppano strategie di sviluppo e implementano nuove attività
L’implicazione di tutto ciò è che l’università dovrà trasformarsi a breve da produttore puro di conoscenza generale e formatore di qualifiche elevate a partners in una rete complessa che spinge oltre i confini pedagogici e scientifici tipici dei suoi tradizionali ruoli.
Saranno necessari grandi cambiamenti nella cultura, gestione e struttura dell’attuale istituzione.
L’università di Salerno nel fare il grande passo verso il consolidamento delle strutture e delle presenze ha forse trascurato il ruolo dei dipartimenti come chiave necessaria per le parnership di cui si è parlato.
Deve pertanto recuperare favorendo una ripartenza dei temi che tengono in coerenza contenuti e contenitori del nuovo profilo necessario.
Il dipartimento della ricerca e dei laboratori di “pratica” possono diventare i maggiori animatori e partecipanti nei networks delle comunità scientifiche e di quelle della produzione e disseminazione della conoscenza.
Questa linea strategica deve essere annunciata dal nostro rettore; deve trovar pratiche evidenti e strutture consolidate di riferimento; le Facoltà sono state potenziate per una giusta scelta tattica ma oggi si impone una nuova ripartenza per evitare che il tema dell’esclusione dal mercato del lavoro evoluto diventi la caratteristica del nostro laureato e dei nostri ricercatori.
I nuovi curriculum accademici dovranno avere una progettazione ed una gestione più vicina al dipartimento. Le lauree specialistiche ispirate dai laboratori di ricerca o delle “pratiche di rete” e sistemi di conoscenze dovranno ispirare la ristrutturazione delle conoscenze di base dei diplomi di laurea triennali e questi non potranno separarsi completamente dai laboratori di apprendimento delle competenze.
Saperi generali e saperi specifici devono nuovamente interagire per trovare le nuove tassonomie di apprendimento, formare i lemmari disciplinari e quelli interdisciplinari.
Ecco il nodo politico che è emerso, per affrontarlo occorre un impegno esplicito sui seguenti temi
1) Consolidare il ruolo del Dipartimento che deve essere la struttura portante dei temi appena richiamati. Il dipartimento deve possedere la titolarità piena della destinazione delle risorse destinate alla ricerca e alla formazione di competenze di eccellenza, a partire dai Dottorati, anche le altre risorse per le borse di ricerca e per i ricercatori devono essere gestite dai dipartimento, tenendo presente anche le esigenze didattiche ma invertendo l’attuale visione.
2) La struttura amministrativa e gestionale deve essere rivisitate, per i dipartimenti grandi l’organizzazione amministrativa e quella tecnica di supporto alla ricerca deve essere considerata una struttura complessa con ruoli dirigenziali superiori riconosciuti in pianta organica e con figure direttive di supporto ai programmi settoriali.
3) Definitiva autonomia di iniziative anche complesse; in conformità ad un ruolo regolamento deve essere data al dipartimento la possibilità di creare o far parte di nuove organizzazioni di mercato private o pubbliche con propria responsabilità patrimoniale.
4) Aprire uno spazio sperimentale di ricollocazione delle lauree specialistiche promosse dai dipartimento per un dialogo innovativo con le facoltà che rivisitano costantemente il lemmario dei saperi di base e di quelli specialistici che formano l’offerta formativa.
5) Ridefinizione della logistica dell’università per ripensare allo spazio dei dipartimenti non come spazio interstiziale di supporto alla formazione ma come cuore pulsante della nuova identità dell’università.
Pasquale Persico
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