In allegato all’ultimo numero -dicembre 2006 – sono stati pubblicati alcuni degli interventi del Primo Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica, organizzato dall’Associazione Luca Coscioni nei giorni 16-19 febbraio 2006.
Di particolare interesse per i lettori di questa rassegna ci è parso l’intervento di Lewis Wolpert (vedi l’item I responsabili della ricerca scientifica: scienziati o politici?).
Il saggio di Wolpert parte dal presupposto che la scienza, nell’immaginario collettivo, gode di cattiva fama, e di riflesso anche gli scienziati. Paradigmatico il caso di Frankenstein, che è diventato il simbolo di tutta la ricerca genetica.
Alla base di questa cattiva fama vi è che la scienza spesso sembra andare contro quello che è il senso comune, ma anche che sovente si confonde la scienza con la tecnologia. Su questo punto il discorso di Wolpert appare confuso, se non contraddittorio. Infatti da un lato sembra che voglia intendere la tecnologia come un’attività simile a quella del piccolo chimico: “proviamo e vediamo cosa succede”, dall’altro fa riferimento al caso della bomba e delle cellule staminali.
Probabilmente c’è stato un corto circuito semantico, forse dovuto alla traduzione, fra tecnologia e scienza applicata. Infatti, guardando anche alle costruzioni, dove Wolpert cita la prova “dei cinque minuti”, cioè se la costruzione non crolla allora va bene, dobbiamo notare, che se la scienza delle costruzioni non fosse supportata da un solido impianto teorico, realizzazioni come la torre Eiffel o il Golden Gate mai si sarebbero fatte. Wolpert, apparentemente, sembra dimenticare, che anche la tecnologia o la scienza applicata, è profondamente pervasa dalla scienza pura.
Wolpert, inoltre, critica la posizione di quei filosofi e sociologi della scienza che considerano la scienza come un “costrutto sociale”. Se per quanto riguarda la versione più radicale, cioè quella improntata all’ideologia, si può anche essere d’accordo con Wolpert, dobbiamo altresì constatare che in molti casi il rapporto tra scienza e società, non è, e non è sempre stato del tutto asettico.
Se negli anni ’60 Galbraith nel “nuovo Stato Industriale” aveva denunciato, e teorizzato, il connubio tra grandi complessi industriali e sistema politico, ancora oggi possiamo verificare, che cambiando i fattori, la relazione fra scienza e potere politico non è del tutto lineare.
I finanziamenti pubblici alla scienza non sono asettici, ma sono determinati da procedure non sempre trasparenti. E qui possiamo essere d’accordo con Wolpert che mentre la scienza si propone di capire il mondo la politica è il luogo dell’opinione, da cui nasce il vero problema della policy della scienza. Che non è quello dello schematismo a priori fra politica e scienza, o fra scienza e tecnologia; uno schematismo che consente, però , a Wolpert, da prendere le distanze da ogni teoria sulla responsabilità sociale dello scienziato, come quella ipotizzata da Pugwash (vedi in questo sito Basta un giuramento per la scienza?). A onor del vero, occorre aggiungere che, nella parte terminale del suo intervento, quando Wolpert descrive alcune sue considerazioni personali, dimostra come anche lo scienziato non è chiuso nella turris eburnea, ma di fronte ai problemi concreti posti dalla crescita della scienza applicata, non sfugge a confrontarsi con l’etica e la responsabilità.
Questo sito web utilizza i cookie per consentirci di fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie vengono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.