Mogens Herman Hansen, autore de “La Democrazia Ateniese nel IV secolo a. C.”, ha tenuto all’Università di Milano una conferenza un cui stralcio è stato pubblicato su Il Corriere della Sera del 7 novembre con il titolo “Referendum o elettronica, quando il cittadino va al governo”.
L’articolo di Hansen verte sulla differenza fra la moderna “democrazia rappresentativa” e la “democrazia diretta” degli ateniesi. In particolare Hansen enuncia i cinque pilastri su cui si dovrebbe fondare la democrazia diretta:
‘1) il cittadino comune sia una persona intelligente capace di prendere decisioni sensate (che riguardano se stesso e i suoi concittadini); 2) il cittadino comune è pronto a trascurare il suo interesse privato in caso di conflitto con l’interesse nazionale; 3) il cittadino comune possa essere sufficientemente informato sulle questioni in discussione; 4) il cittadino comune sia interessato a prendere direttamente le decisioni politiche, più che a delegare queste decisioni a dei politici di professione; 5) anche dei dilettanti possono prendere le decisioni razionali, se si distingue tra un sapere degli esperti, necessario per preparare e formulare i provvedimenti, e il senso comune necessario per fare una scelta politica tra le alternative prospettate’.
Si tratta, come ben si vede, di cinque pilastri il cui contenuto è stato ampiamente discusso nel Call for Comments (in questo sito) intitolato: “Partecipazione pubblica e governance dell’innovazione”, specialmente per quanto riguarda i punti 3 (necessità dell’informazione) e 5 (ruolo degli esperti).
Il quesito che l’articolo di Hansen pone è se, attraverso le nuove tecnologie dell’informazione, sia in qualche modo possibile introdurre in contesti sociali completamente diversi da quelli dell’Atene di Pericle efficienti modelli di democrazia diretta.
La risposta di Hansen è quella dello studioso della politica:
‘Un modo importante di verificare i meriti e gli svantaggi legati alla democrazia diretta [è] lo studio del sistema politico di Atene dal 507 a. C. quando Clistene introdusse la demokratia ad Atene, al 322 a.C., quando questa venne abolita in conseguenza della conquista macedone della città’.
Eva Cantarella, direttore dell’Istituto di Diritto Romano dell’Università di Milano, sulla stessa pagina del Corriere con l’articolo “Nell’Atene di Pericle a scuola di sondaggi” oltre a descrivere esaurientemente il funzionamento della democrazia ateniese, collega la democrazia diretta degli antichi con la teoria di Fishkin sui sondaggi deliberativi:
‘Perché questi particolari sondaggi, proposti come strumento che potrebbe contribuire a guarire i mali della nostra democrazia rappresentativa sono nati da una riflessione sulla democrazia ateniese stimolata dal loro inventore, James Fishkin, dalla lettura di […] Mogens Hansen’.
Sulla teoria di Fishkin si veda il precedente item di questa rassegna stampa “Democrazia e sondaggi. Il “metodo Fishkin”, ma anche i riferimenti bibliografici a Fishkin in Bibliografia su “Innovazione e Responsabilità nella Information Society”.
Renato Mannheimer, sempre sul Corriere del 7 novembre, con l’articolo “Ma i focus group non sono istituzioni” prende le distanze dall’ipotesi che i sondaggi deliberativi possano significare una ripresa della democrazia diretta. Infatti con un ragionamento che appare un po’ paradossale afferma:
‘La proposta di Fishkin rende assai più consapevoli le scelte dei partecipanti al poll . Ma, proprio per il fatto di “informarli”, rende questi ultimi “diversi” dagli altri cittadini e quindi non più rappresentativi degli stessi’.
Mannheimer, pur ritenendo utile il deliberative poll come strumento per migliorare la tecnica delle rilevazioni sociali, ai fini della democrazia sembra ritenenere:
‘preferibile un affinamento delle istituzioni di democrazia indiretta, ampliando le forme di partecipazione e di controllo dei cittadini, a una forse utopica riproposizione della democrazia diretta. Adatta certo – seppur con qualche limite – al contesto ateniese, ma difficilmente attuabile per le società postindustriali contemporanee’.