In un item precedente di questa rassegna si è parlato del progetto di Umberto Veronesi per una “Camera Alta” per l’etica e la scienza. Su Repubblica del 27 maggio, a cura di Carlo Brambilla è stato pubblicato il dialogo “La scienza sotto accusa” fra Umberto Veronesi e Umberto Galimberti. Al di là delle ovvie differenze d’impostazione culturale fra lo scienziato e il filosofo, sia Galimberti che Veronesi concordano sul fatto che le prospettive aperte dalle scoperte scientifiche comportano l’adeguamento di un’etica che in molti casi risente di un mondo in cui le scoperte delle scienze della vita non erano neppure immaginabili, un’etica però che deve sottrarre l’innovazione tecnologica all'”irresponsabilità” di una tecnologia troppe volte autoreferente.
Scrive Veronesi:
‘Vedo una regressione culturale del mondo, che sembra spesso dimenticare la forza della ragione, a favore di visioni un po’ primordiali. Qualche volta mistiche, qualche volta miracolistiche, qualche volta sciamaniche. Sono preoccupato perché sull’onda di questa regressione si stanno sviluppando dei movimenti antiscientifici. Il rifiuto di accettare le novità della scienza, anche se benefiche.[…] Ma tornando alla scienza, è importante dividerla dalla tecnologia. La scienza risponde a dei principi, tradizionalmente quelli galileiani della ricerca della verità, della riproducibilità, della universalità. Penso alla funzione civilizzatrice della scienza, che ha riscattato l’uomo da credenze primordiali. L’uomo vuole conoscere. E’ più forte di lui, è una sua necessità interiore. Un bisogno che ha scritto nel Dna. E la scienza deve conoscere. Questo è il suo scopo. Anche se non ci servirà a nulla di concreto abbiamo bisogno di esplorare l’universo. La tecnologia, invece, risponde solo al mercato. Risponde solo ai consumi. Pensare che le tre grandi aree di sviluppo in questo periodo storico sono le biotecnologie, l’informatica e le telecomunicazioni, mi terrorizza. Rischiamo di mettere il mondo in mano alla tecnologia, che vive una sua vita amorale. Priva di intenzioni e di responsabilità.[….] La mia preoccupazione maggiore è che la tecnologia si stacchi dalla scienza, la superi. E la scienza non riesca più a starle dietro con un disegno strategico. Questo è il punto: dobbiamo evitare, in ogni modo, che la tecnologia sia indipendente dal mondo scientifico. Bisogna creare dei limiti e dei principi. Bisogna che la tecnologia torni ad essere quello che era: uno strumento della scienza. E non si trasformi, invece, da strumento a fine, come è successo, purtroppo, al denaro’.
A sua volta Galimberti:
‘Dovremmo cominciare a considerare il fatto che la tecno-scienza non è più uno strumento al servizio dell’uomo, perché le sue dimensioni sono diventate tali che i suoi scopi non sono più antropologici. E’ tipico della scienza produrre effetti non previsti. Perché la ricerca è aperta a tutto campo e tutto quello che si scopre si scopre. Chi avrebbe pensato 50 anni fa alla clonazione? […] Come si comporta un’etica quando si trova davanti ciò che non è stato previsto? La fecondazione artificiale era prevedibile cent’anni fa? No. Però abbiamo ancora un’etica di cent’anni fa. Cioè un’etica che si è limitata a regolare i rapporti tra gli uomini. […] La tecnica procede la sua corsa sulla base del “si fa tutto ciò che si può fare”. La scienza, che è il luogo pensante, potrebbe diventare, invece, il luogo etico della tecnica. Non l’etica tradizionale, che è troppo arretrata. La scienza potrebbe diventare il luogo eminente del pensiero che pone un limite. Nel senso di dire “tecnica, poniti degli scopi nella qualità delle tue ricerche”. Perché la scienza ha un’attenzione umanistica. Promuove un agire in vista di scopi. Mentre la tecnica è un fare senza scopi, è solo un fare prodotti.’
[“Si fa tutto ciò che si può fare”: questa frase di Galimberti, nel sito FGB è presente anche a pagina 7 degli Argomenti, sub “Tecnoscienza e Responsabilità” — 8 giugno 2003, G.M. Borrello]