Il venture capital nelle sue diverse forme (seed, start up and early stage, later-stage financing) costituisce una delle iniziative a più alto rischio di investimento in equity, e consiste nel finanziamento a progetti di ricerca, o a progetti imprenditoriali, finalizzati alla produzione di idee di business che si tradurranno gradualmente in attività di impresa, o che sono già imprese avviate che hanno necessità di crescere. Di tale tipologia di investimento si è spesso letto in Italia e in Europa continentale tra le righe di quotidiani autorevoli che focalizzavano negli esempi statunitensi di successo i modelli da replicare, tuttavia tali iniziative non avevano ancora completamente imboccato la pista del decollo nel nostro Paese.
Stante ciò, da più parti, si sta registrando un mutamento di scenario: i dati europei censiti dall’EVCA (European Private Equity & Venture Capital Association) hanno rilevato nell’arco 1990-2015 un trend di crescita di lungo periodo in merito al profilo della quantità assoluta delle risorse destinate al venture capital e una moderata crescita della percentuale sul totale delle risorse del private equity: le cifre si spostano da 0,9 miliardi di euro a 3,6 miliardi di euro (in termini di investimenti effettuati nell’anno). Con riferimento alla performance, la struttura del venture capital europeo si mostra caratterizzata da un assetto duale: da un versante opera un numero ristretto di player di grande qualità e di strutturate competenze professionali, dall’altro versante agisce un insieme eterogeneo di operatori di piccola dimensione dediti a investimenti su piccola scala, localistici o con track record limitati o addirittura assenti. Più nel dettaglio, va segnalato che accanto ai sistemi di fondi di venture capital, le cui evidenze quantitative sono in larga parte tracciabili, gli investitori che agiscono come business angel, oppure le differenti forme di incubatori ancora o le strutture di family office agiscono una parte cruciale: non solo nel determinare un ampliamento rilevante delle risorse dedicate al venture capital, ma soprattutto (i business angel) nello sviluppare operazioni il cui profilo rischio-rendimento non sarebbe accettabile per i fondi. Ad oggi non esistono stime attendibili sulla dimensione di questi componenti, sebbene alcuni studi ipotizzino che possano valere almeno la metà del mercato dei fondi di venture capital.
All’interno del contesto delineato sino a qui, si colloca il Fondo di investimenti italiano Principia Sgr, il principale operatore italiano del comparto, operatore apri-pista nel settore medicale. L’amministratore delegato di Principia Sgr, Antonio Falcone, tratteggia un mercato italiano «a forte impronta terziaria con una rilevante quota di PMI (Piccola Media Impresa), un mercato con poche industrie presenti ma con molte persone che inventano e operano». Per poi proseguire: «L’Italia è settima al mondo per la qualità della propria ricerca, seconda al mondo per produzione di princìpi attivi; cresciamo nell’ambito della ricerca più della Germania, pertanto proprio non si comprendono le ragioni per cui ci devono essere investimenti di “size” ridotte su tali operazioni». Falcone con Principia investe in piccole e medie imprese, oltre che in start up: «Il Fondo Principia III acquisisce partecipazioni sia di maggioranza che di minoranza qualificata in imprese e start up e possiede attualmente una dotazione di 205 milioni di euro. Sono cifre che tendono ad essere europee, mentre i fondi italiani nella media si aggirano attorno ai 70 milioni di euro».
I capitali costituenti il Fondo sono raccolti da operatori istituzionali e più nello specifico da Fondi Pensioni, a seguito della fase di raccolta sono gradualmente investiti nell’economia reale a seconda delle linee in cui sono dedicati. Falcone riprende le fila del ragionamento sullo scenario italiano: «Sono persuaso dell’assenza di una cultura italiana al venture capital, si tratta di una miopia perché i grandi player dell’ICT statunitensi sono decollati grazie al venture capital; prendiamo l’esempio di Google: l’azienda è nata attraverso un round di investimento pari a 10 milioni di dollari sempre ad opera di venture capital». L’amministratore delegato di Principia tiene a precisare le affermazioni spesso ricorrenti relative alla speculazione: «Se qualcuno ha la percezione che il nostro lavoro sia quello di impiegare i denari in qualcosa, quel qualcuno non ha capito il lavoro che svolgiamo. Noi interveniamo nell’economia reale, individuiamo un’azienda di valore, cominciamo insieme un percorso condiviso di crescita per farla diventare un pezzo di valore nella catena della produzione. Quanto descritto ha ricadute positive per tutti, prendiamo a titolo di esempio quanto è avvenuto in Francia nel 2004 quando una legge ha introdotto i benefici fiscali alle assicurazioni e alle banche che investivano tra il 2% e il 3% delle loro risorse in venture capital e private equity: il risultato di tale operazione si è rivelato uno sviluppo eccezionale dell’economia francese».
Principia ha applicato l’orientamento di Falcone attraverso tre linee di investimento: «La prima è stata un fondo generalista, dedicato a investimenti in imprese innovative frutto della ricerca accademica o industriale. Principia Fund si è reso protagonista di una delle più importanti exit della storia del venture capital italiano, con la cessione di EOS alla statunitense Clovis nel 2013». La seconda linea, Principia II, ha riguardato le imprese innovative del centro-Sud Italia: «Oggi quel fondo, interamente investito, ha un portafoglio di circa 20 società». Poi, nel 2014, è stata attivata la terza linea: Principia III: «Il primo fondo italiano interamente dedicato al settore Healthcare. Per accedere al mercato europeo abbiamo stipulato un rapporto di collaborazione con Humphrey Nokes, guru del venture capital europeo che ha rilevato il 35% della società italiana». Gli investitori di questa linea sono: «Fondazione Enpam, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti, Fondo di Pensione Nazionale BCC/CRA, Fondo Pensione a contribuzione definita del Gruppo Intesa Sanpaolo e di recente il Fondo Pensioni del personale del Gruppo BNL/BNP».
————–