Questo articolo prosegue la rassegna di “design for all” ospitata dalla Fondazione Giannino Bassetti e inaugurata con il manifesto “Innovation for All. La diversità come risorsa” nel febbraio di quest’anno.
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IL DESIGN FOR ALL HA VENT’ANNI
è diventato maggiorenne.
di Avril Accolla, Luigi Bandini Buti
Una storia in tre capitoli:
1 – FINALMENTE L’INDIVIDUO
Il concetto di”‘individuo” emerge da quello della massa di sudditi, vassalli, cittadini, elettori … quando diventa consumatore!. E’ sempre meno anonimo ed è sempre più un soggetto di interesse: è diventato entità centrale per la produzione di massa, e quindi degno di tutte le attenzioni.
Le culture preindustriali
Nelle culture preindustriali l’inclusione o l’esclusione tendono ad essere un meccanismo connaturato alla dinamica sociale. In queste culture, ancora presenti in alcune parti del mondo, l’artefatto per il lavoro e per la vita domestica, nasce in condizioni di vicinanza fisica e culturale fra chi fa e chi usa. Si può quindi affermare che l’uomo si è da sempre occupato dell’usabilità quando, producendo egli stesso gli utensili che gli necessitavano per le proprie attività, ha prodotto utensili perfettamente adatti all’uso per il quale erano destinati, in quanto il destinatario era egli stesso. Questi strumenti possedevano tutte le connotazioni per essere definiti a pieno titolo “ergonomici”, in quanto erano conformati sulle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore, erano perfettamente adatti ad un uso specifico, erano concepiti applicando e sviluppando le esperienze pregresse individuali e collettive ed infine erano rispondenti pienamente alla cultura materiale del luogo e del momento. Anche quando intervengono artigiani specialisti, il rapporto tra chi produce e chi utilizza rimane comunque molto stretto. E’ quella che viene definita ergonomia spontanea.
Dalla rivoluzione alla maturità industriale
Gli automatismi nella regolazione sociale vanno affievolendosi nelle civiltà industriali “evolute”. Non si può più fare affidamento al solo “buon senso”, ma si devono innescare riflessioni di tipo politico/sociale, analisi e ricerche sul campo. Bisogna produrre procedure, strumenti e norme capaci di gestire l’inclusione sociale ed il cambiamento in genere, spesso repentino.
La rivoluzione industriale nasce con la necessità di produrre in grande serie per soddisfare il maggior numero possibile di utenti, progettando prodotti standard che potessero essere scelti da ciò che era ritenuto essere la maggioranza. I primi prodotti industriali venivano apprezzati principalmente per le loro qualità tecnologiche e prestazionali, che erano la vera innovazione: l’attenzione alle caratteristiche psicofisiche dell’uomo non era un argomento forte nell’attenzione sia dei produttori che degli utilizzatori.
Per esempio alla sua apparizione, l’automobile era una carrozza che si muoveva senza l’uso dei cavalli e ciò stupiva ed emozionava. Al conducente non importava di stare al freddo, al caldo o alla polvere. Infatti ancora a metà del secolo scorso, si diceva che non era il caso di usare la macchina durante l’inverno quando fa freddo e piove. Solo quei temerari dei medici condotti lo dovevano fare, ma i medici erano per scelta dediti al sacrificio personale in favore del prossimo.
Prodotti maturi
Per i prodotti “maturi” non è più sufficiente lo stupore; l’attenzione si sposta sempre più al benessere dell’uomo.
Ai manufatti si chiede di essere sempre più confortevoli. Viene quindi proposta non solo la qualità tecnologica, che si da’ per scontata, ma anche la qualità delle prestazioni, la qualità della forma e una maggior rispondenza alle caratteristiche generali dell’individuo. Le prime sospensioni indipendenti che rendono molto più confortevole la marcia delle automobili sono applicate per la prima volta dalla Lancia nel 1923. Per il riscaldamento dell’abitacolo bisogna aspettare gli anni ’40.
Questi aspetti di attenzione ad altri elementi diversi dalla qualità tecnologica erano già ben presenti nell’insegnamento e nelle produzioni del razionalismo e in particolare della Bauhaus. La chaise-long di Le Corbusier del 1929 è molto attenta al corretto uso dei materiali e delle tecnologie ed è innovativa anche perché può assumere facilmente ed intuitivamente diverse posizioni di riposo più o meno distese. Essa non può però minimamente adattarsi alle diverse taglie degli individui.
La seconda guerra mondiale
Il progetto di oggetti, sistemi e ambienti dei primi cinquanta anni del ‘900 si occupa dell’individuo medio, sano ed integro, maschio o femmina a seconda del sesso assegnato dai ruoli codificati dalla società: la macchina automobile per il maschio, la macchina da cucire per la donna.
La seconda guerra mondiale pone però il grave problema sociale del reinserimento e del miglioramento delle condizioni di vita di migliaia di mutilati di guerra, non solo soldati, ma anche, e soprattutto, civili e bambini coinvolti dagli eventi bellici. Non si tratta più di occuparsi dello “scemo del villaggio” per il quale si poteva invocare solamente la benevolenza di Dio, ma di gente comune od “eroi” che hanno difeso la patria, persone che ieri erano belle sane e promettenti ed oggi non lo sono più.
La società civile richiede quindi che si sviluppino progetti personalizzati ed iper-specializzati di protesi e di ausili. E’ forse la prima volta (a parte i prodotti per il principe ed il re) che il progetto si deve cimentare con il singolo, perché ogni menomato è un caso a parte che richiede una soluzione a parte. Sotto questa spinta nascono enti che sviluppano la ricerca specialistica nei campi della fisiologia, della percezione e della riabilitazione. In Italia un ente benefico di assistenza ai "mutilatini"(1), per sopperire alla carenza di dati, sviluppa un importante centro di ricerca che col tempo sarà il primo ed il più autorevole in Italia ad occuparsi delle biotecnologie, ancor oggi attivo sotto la denominazione di Fondazione Don Gnocchi.
Negli Stati Uniti degli anni ’50 il movimento barrier-free risponde alle necessità dei veterani disabili cambiando le politiche sociali e le pratiche progettuali sia per l’ottenimento di opportunità nell’istruzione e nell’occupazione che per l’abbattimento delle barriere fisiche. Nel 1961 l’ American Standards Association (poi ANSI), pubblica il primo standard di accessibilità (A 117.1 — Making Buildings Accessible to and Usable by the Physically Handicapped) che doveva servire di orientamento per la legislazione dei vari Stati.
Queste attività, pur se orientate esclusivamente ad affrontare i problemi di vita e di relazione derivati da disabilità conclamate, hanno prodotto dati e sviluppato metodi capaci di affrontare il tema dell’adeguamento di oggetti e sistemi ai limiti e alle caratteristiche umane. Detti dati e metodi hanno poi costituito il primo data base che sarà utilizzato per sintonizzare la produzione ed il costruito alle esigenze reali della maggioranza.
L’ergonomia
Agli inizi degli anni ’70 si cominciò a parlare in Italia di Ergonomia, prima timidamente nei sacrari della cultura, poi con sempre maggior consapevolezza dell’importanza del suo ruolo nello sviluppo di una società moderna. Venne poi definitivamente sdoganata con il D.Leg. 626/94 che all’art. 3-f recitava: “… rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”.
Tutti, lavoratori, imprese e uomini di cultura dovettero domandarsi cosa fosse in realtà questa nuova disciplina di matrice anglosassone e cosa voleva dire applicarla in una situazione sociale e produttiva particolare come quella dell’Italia post boom economico.
L’ergonomia si preoccupava di soddisfare le esigenze del maggior numero di lavoratori, di utenti o di consumatori. Quindi alcune piccole ed insignificanti (statisticamente) minoranze risultavano fatalmente escluse.
In quegli stessi anni, i consumatori cominciano a chiedere che i prodotti e i sistemi non fornissero solamente prestazioni primarie (che non si dubita venissero fornite), ma che fornissero anche (e soprattutto) qualità d’uso. Non si dubita che il riproduttore di videocassette debba funzionare bene e sempre, ma si vuole poterlo utilizzare con facilità e senza stress. Non basta più che un’auto si muova, si vuole che si muova in condizioni di sicurezza e di comfort e che sia il mezzo ad adattarsi e non l’individuo.
In questo periodo l’ergonomia comincia a proporsi come la disciplina più titolata per affrontare il tema della rispondenza dei prodotti per la vita di tutti i giorni alle caratteristiche e ai bisogni degli utenti (usabilità).
L’ergonomia applicata
Sin dalle sue origini, alla fine della seconda guerra mondiale, l’ergonomia opera sulla realtà, prendendo lo spunto per il suo intervento dai problemi concreti e conclamati. Essa si occupa di rumore, inquinamento, postura, organizzazione, ecc., e si propone di indagare ed intervenire affinché questi aspetti non incidano negativamente sugli individui. L’azione Ergonomica della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, che ha stimolato lo sviluppo dell’ergonomia in Europa, indica chiaramente come proprio obiettivo l’impegno sociale a preservare da infortuni, malattie, fatica, stress la maggior parte dei lavoratori.
Per ottemperare a questi obiettivi, l’ergonomia deve fare riferimento alle caratteristiche biologiche, psicologiche e comportamentali comuni alla generalità degli individui. Il modello della progettazione è quindi l’individuo “normale”, definibile con parametri certi. Le discipline specialistiche coinvolte ci consentono di conoscere con ragionevole certezza statistica quali livelli di aggressione provenienti dall’ambiente fisico ed organizzato gli individui potranno sopportare senza subire danni permanenti.
Un modello relativamente facile da gestire, efficace per la salvaguardia della salute (i cui parametri scelti sono generalizzabili), ma povero per il raggiungimento del benessere i cui elementi costitutivi sono meno parametrizzabili e più soggettivi.
Il progetto per l’industria aveva quindi come riferimento gli individui normodotati come ci vengono descritti dai manuali. Se questo progetto non soddisfaceva alcune categorie di individui, ad esso si affiancavano i progetti speciali, che potevano consistere in un adattamento del progetto base attraverso opzionali, aggiunte o varianti (es. seggiolini per i bambini in auto, ruotine per le biciclette dei piccoli) oppure in un progetto specifico per una disabilità specifica (es. occhiali da vista, sedia a rotelle).
In alcune categorie merceologiche particolarmente sensibili alla soddisfazione di un mercato più vasto (come l’automobile) ed in alcune aree geografiche particolarmente sensibili agli aspetti sociali (come il nord Europa), il progetto per l’industria cerca di incrementare il numero di individui soddisfatti mantenendo il concetto di normodotato, ma ampliando i percentili presi in considerazione. A questo punto si fa sempre più labile il confine fra il progetto “per molti” ed il “progetto per tutti”. Sono le premesse per la nascita del Design for All.
La soggettività
Le esperienze effettuate dall’intervento ergonomico sul campo mostravano che poteva essere estremamente fuorviante considerare gli utenti tutti giovani, sani e motivati, e che molti (e forse quasi tutti) non rispondevano ai parametri teorici: il rischio era di progettare per qualcuno che in realtà non esisteva. Già nel 1975 il modello di intervento ergonomico propone la partecipazione come mezzo necessario ed indispensabile per passare da una immagine stereotipa dell’individuo a quella reale (2)
Si comincia a pensare alla diversità non come fattore discriminante, ma come caratteristica sistemica della generalità degli individui che richiede la conoscenza degli utenti nelle loro caratteristiche e nei loro bisogni (l’uomo reale).
L’ergonomia, a partire dagli anni ’80, comincia ad affiancare, alla tradizionale attenzione per l’ambiente di lavoro ad alto rischio, l’attenzione per gli ambienti di lavoro “moderati” e per il progetto di oggetti e sistemi. L’ergonomia si propone quindi come una disciplina comprimaria nel processo di progettazione.
1.
Nel 1945 un prete italiano, don Carlo Gnocchi, accoglie i primi orfani di guerra e i bambini mutilati all’Istituto Grandi Invalidi di Arosio. Nel 1951 don Gnocchi crea la Fondazione Pro Juventute, tuttora attiva, che si occupa delle patologie invalidanti che colpiscono soggetti di ogni età. La componente scientifica e di ricerca della Fondazione è andata sviluppandosi attraverso convenzioni con l’Università Statale di Milano, con l’Università Cattolica e soprattutto con il Politecnico di Milano. Convenzioni queste che hanno reso la Fondazione stessa un modello europeo ed internazionale di struttura pilota completa ed autonoma sul piano della ricerca e delle terapie riabilitative. (torna al testo)
2.
C.P. Odescalchi, L. Bandini Buti, G. Cortili, E. Moretti, nel documento pubblicato dalla CECA nel 1976 indicano, forti delle esperienze sul campo effettuate in quegli anni e con non poco scandalo nelle sedi internazionali, che elemento fondamentale della ricerca ergonomia è la partecipazione dei lavoratori.
(La concezione ergonomica, le condizioni di attuazione, il suo contributo alla prevenzione – Documento di lavoro della Comunita’ Europea del Carbone e dell’ Acciaio Doc. N.°1654/75 i ACE Marzo 1976)
(vai alla seconda parte)
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(Image: Reaper by Vincent van Gogh, 1885. From WikiPaintings, Visual Art Encyclopedia)
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