Il nuovo Rinascimento Olistico: perché? Indispensabile?
Un mondo che ha tutto, può produrre tutto, ma non gestisce il troppo ed il non abbastanza.
“I futurologi di tutte le epoche, geografie ed estrazioni hanno descritto il secolo XXI come l’arrivo della specie umana ad una dimensione superiore, dove lavoro e svago sarebbero diventate una cosa sola” (1), dove tecnologia e scienza ci avrebbero liberato dalla schiavitù di lavori ripetitivi e non gratificanti (2), un mondo finalmente a misura di uomo non solo come essere biologico ma come sintesi eccelsa di corpo, pensiero ed anima.
E’ questo il mondo che vediamo tutti i giorni intorno a noi? Purtroppo no. Oggi viviamo invece in un mondo che ha tutto, può produrre tutto, ma non gestisce il troppo ed il non abbastanza.
I mercati sono diventati sempre più differenziati, specialistici, competitivi.
La risposta è stata il diffondersi delle cose che facilitano il quotidiano, che si pongono al servizio degli stili di vita e assolvono alle funzioni comunicative e pratiche.
C’è stato però anche lo spazio per riempirsi prodotti inutili. Si è teorizzato di innescare il rapporto emozionale fruitore-oggetto sia per creare comfort esperienziale che per fidelizzare il cliente.
Ora, il “Nuovo Rinascimento Olistico”, può mettere tutto assieme e sinergizzare ottimizzando. Si è imparato che si può avere tutto e, passati dall’altra parte del pendolo attraverso la negazione, si capisce il valore effettivo della risposta sobria (magari minimalista ma non povera) eccellente nella sua necessarietà.
Il vero must have.
Il lusso della semplicità efficace e poetica: il necessario delle aspirazioni e del quotidiano.
Un prodotto o un sistema sono progettati al massimo della loro eccellenza quando sono così semplici da essere percepiti come ovvi e naturali da chi li vive nel proprio quotidiano: quasi non si notano. Aggiungiamo a questo la capacità di emozionare positivamente, di instaurare un rapporto affettivo con chi li fruisce, di suscitare la sensazione di essere accolti o, se il brief lo prevede, provocare stupore e fascinazione: il risultato è il vero lusso che con pochi efficaci gesti risponde non solo alle nostre necessità, ma anche alle nostre aspirazioni.
Buono, bello, comodo e proprio per me; o per tutti?
Ontologia esperienziale e responsabilità etica: come ottenere l’eccellenza per “Tutti”.
Questo lusso, così semplice e poetico, così emozionante e così pratico, a cui ci sembra di non poter aggiungere o togliere nulla, è la profonda natura di un’esperienza ben progettata (ontologia esperienziale*).
È necessario un processo di estrema customizzazione per ottenere questa eccellenza? No.
Cosa succede quando pensiamo ai “Tutti”, alla molteplicità delle persone ognuna con le proprie peculiarità individuali, ciascuna con abilità, necessità ed aspirazioni proprie e potenzialmente diverse? Chi sono i “Tutti” del nostro progetto?
I processi progettuali tradizionali si basano su una dicotomia irreale:
– la “maggioranza” – persone che si pensa siano rappresentate dallo standard dei manuali a cui poi si aggiungono le caratteristiche di “desiderio” legate al singolo prodotto-servizio che si vuole commercializzare;
– la “minoranza” – persone che si pensa non siano rappresentate dallo standard dei manuali, e
che sono una percentuale così marginale, che commercialmente “si possono anche perdere”.
A prescindere dall’ovvia istanza etica che tutti hanno diritto a parità di opportunità di scelta e fruizione, la realtà è che la “grande maggioranza” non si sente affatto rappresentata dai dati nei manuali.
Le capacità innovative delle tecnologie in continua evoluzione non sono sufficienti per affrontare le nuove sfide progettuali dei “Tutti”. È necessario un metodo che utilizzi contemporaneamente le discipline tecnologiche e quelle umane in un processo che riconosca i bisogni e le aspirazioni reali, li analizzi e li confronti con le capacità ed i limiti delle persone reali e con le loro esigenze, e non solo quelle materiali ma anche quelle spirituali. Un prodotto “se non è bello non è design for all” (3). Perché non c’è solo la qualità di fruizione, ma anche la propensione alla stessa che è fatta dalle mille sfumature del rapporto di “simpatia” fra il soggetto e l’oggetto.
Il progetto è verità o indeterminatezza?
L’indeterminatezza è lo stimolo per la creatività.
Il progettista tecnico (es. l’ingegnere) cerca nel suo operare la verità, perché la verità tecnologica c’è. Il progettista creativo (es. l’architetto o il designer) cerca il miglior compromesso fra le possibili soluzioni, perché le possibili soluzioni creative sono infinite. Infatti il lavoro creativo è sempre doloroso, perché è l’esclusione di tutte le scelte non fatte, tutte possibili e tutte potenzialmente positive.
Però l’atto progettuale che cerca la soddisfazione di bisogni ed aspirazioni dei “Tutti” non può essere un mero “gesto creativo” perché ha sempre bisogno di essere preceduto dalla riflessione per indagare bisogni e desideri materiali ed immateriali, veri, espressi, inespressi e futuri.
L’indagine non genera automaticamente il progetto: l’unicità e la complessità della sintesi creativa non sono sostituibili.
Il progetto Design for All
Progettare per qualcuno o per tutti?
L’uomo non è standard: alto/basso, bambino/anziano, con/senza occhiali, colto/analfabeta, in bicicletta/sulla sedia a rotelle, attento/distratto, autoctono/straniero, ecc., dice il Design for All, e affronta la diversità con l’approccio sociale che proclama il diritto umano di tutti all’inclusione e l’approccio progettuale per conseguirla. Progettare Design for All significa concepire ambienti, sistemi, prodotti e servizi fruibili in modo autonomo da parte di persone con esigenze e abilità diversificate coinvolgendo la diversità umana nel processo progettuale.
Le soluzioni DfA sono utilizzabili in modo facile, comodo e gradevole dalla maggior parte dei fruitori senza dover apportare modifiche in funzione delle diverse abilità fisiche, sensoriali o cognitive e senza fare alcuna rinuncia sulla poetica ed emozionalità delle stesse: sono quello che ognuno di noi vorrebbe vivere nel rapporto con l’intorno costruito e progettato.
La progettazione DfA è inclusiva e intrinsecamente olistica, perché l’uomo è un individuo fisicamente, psicologicamente e socialmente complesso: per rispondere alle sue esigenze non basta il progettista (designer, architetto, grafico, ecc.), ma sono necessari l’ergonomo, il marketer e gli esperti di discipline relative allo specifico progetto (ad esempio il pediatra e lo psicologo infantile nel caso di un campo giochi) nonché una coerente consultazione con i potenziali fruitori in ogni fase del processo: dalla stesura del brief alla creazione di soluzione, perché un progetto DfA non si sviluppa dal solo rapporto tra progettisti, consulenti e committenti, ma si forma nel continuo confronto con i fruitori potenziali.
Questa cultura progettuale agisce trattando i problemi non come barriere disagevoli da evitare (magari offrendo un accesso per la porta secondaria alla società, che comporta l’automatica declassificazione sociale di chi la deve utilizzare), ma come sfide alla nostra creatività che cogliamo con passione.
Design for All significa la progettazione, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti, servizi, sistemi e ambienti per il grande pubblico, in modo che siano accessibili per la più ampia gamma possibile di utenti.
La Conferenza Annuale EIDD Design for All Europe del 2004 ha prodotto la “Dichiarazione di Stoccolma©”, una esposizione volutamente breve e puntuale della genesi e dell’attuale significato del concetto del Design for All.
“Design for All è il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. Questo approccio olistico ed innovativo costituisce una sfida creativa ed etica ad ogni designer, progettista, imprenditore, amministratore pubblico e leader politico.
Lo scopo del Design for All è facilitare per tutti le pari opportunità di partecipazione in ogni aspetto della società. Per realizzare lo scopo, l’ambiente costruito, gli oggetti quotidiani, i servizi, la cultura e le informazioni – in breve ogni cosa progettata e realizzata da persone perché altri la utilizzino – deve essere accessibile, comoda da usare per ognuno nella società e capace di rispondere all’evoluzione della diversità umana.
La pratica del Design for All fa uso cosciente dell’analisi dei bisogni e delle aspirazioni umane ed esige il coinvolgimento degli utenti finali in ogni fase del processo progettuale.” (4)
Chi siamo, come siamo e come facciamo a conoscerci?
La risorsa inesauribile e delicata: la nostra diversità.
“La diversità come risorsa”(5) è l’elemento chiave della filosofia del Design for All.
Nell'”Evoluzione della specie”, Darwin ci insegna che la diversità è il motore dell’evoluzione e del cambiamento. Come mai 20 violini in una orchestra sinfonica non possono essere sostituiti dalla riproduzione venti volte dello stesso violino. La sonorità dell’orchestra è data dalla diversità, dalle impercettibili diversità che si sono fra un violino e l’altro e fra un esecutore e l’altro.
Quindi la diversità è una risorsa e lo sanno bene quei regimi che si sono proposti di abolire le differenze imponendo costumi, modelli, comportamenti, ed anche divise tutte uguali ai cittadini: la valorizzazione della diversità è un potente innescatore e produttore di libertà di scelta e non solo. Ma i cittadini, ed i clienti, sono diversi e vogliono esserlo.
Fatti la domanda giusta
La conoscenza è il primo indispensabile atto del progettare
“Fatti la domanda giusta” si propone di dare strumenti operativi per raccogliere e strutturare le informazioni necessarie allo sviluppo del progetto DfA, attraverso la partecipazione dei soggetti e degli attori dell’intervento. Molte discipline si occupano di partecipazione al progetto, forniscono strumenti operativi, ma non una chiara filosofia progettuale partecipativa (chi fa che cosa, come, quando e con che ruoli) che è l’apporto di “Fatti la domanda giusta”.
La partecipazione è lo strumento che consente di far dialogare le varie discipline e competenze necessarie ad un progetto corretto e consapevole. Essa è una metodologia di lavoro strutturata, che non dà la matita in mano al medico o lo stetoscopio all’architetto e non scambia ruoli e professioni, ma sinergizza il dialogo scoprendo anche ciò che non si cerca.
“Fatti la domanda giusta” è un approccio fortemente innovativo che, col suo approccio olistico, valorizza la complessità della natura umana ed abbraccia a valle anche efficaci strumenti di verifica come i questionari e i toolkit, che da soli sono insufficienti.
“Fatti la domanda giusta” è una metodologia articolata e complessa. Bisogna evitare il pericolo di “innamorarsi” del processo più che dei risultati. Cioè impostare una ricerca che si dimostri irrealizzabile (per costi e per tempi) che fatalmente non inciderà sul prodotto finale. Ci sono quindi una serie di livelli di approccio adeguati “giusti”, ricordandosi che è meglio essere “realistici e fare”, piuttosto che “teorici e non fare”.
La blue-ocean in una win-win per tutti gli attori della catena del valore.
Il miglior ROI (ritorno sull’investimento) immaginabile, anche per i mercati ultra-maturi ed in
tempi di crisi.
Ci sono stati momenti in cui le realtà produttive speravano di poter soddisfare clienti tutti uguali con un unico prodotto, come Ford che diceva che le sue vetture potevano essere “colorata purché nere”. Gradualmente si è arrivati fino all’estrema customizzazione, vedi il caso Harley Davidson.
“In futuro sembra che possano anche cambiare i modi di produzione. E’ attesa la diffusione della stampa tridimensionale, che “rende economico creare singoli oggetti tanto quanto crearne migliaia e quindi mina le economie di scala. Essa potrebbe avere sul mondo un impatto così profondo come lo ebbe l’avvento della fabbrica… Proprio come nessuno avrebbe potuto predire l’impatto del motore a vapore nel 1750… è impossibile prevedere l’impatto a lungo termine della stampa 3D. Ma la tecnologia sta arrivando, ed è probabile che sovverta ogni campo che tocchi! (6)
Come ottenere il miglior ROI (ritorno sull’investimento), anche per i mercati ultra-maturi ed in tempi di crisi? Mettendo a frutto una risorsa inesauribile e delicata: la nostra diversità. L’allargamento del target dei fruitori “perfetti” (lo standard) a tutti i possibili fruitori, allarga il denominatore del target e riduce il costo per prodotto, aumentando il ROI. La possibilità di farsi scegliere dai “Tutti” migliora le opportunità di conquistare nuovi segmenti di mercato.
Ecco i temi dell’innovazione sociale: “Designed for All”.
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Note.
1. Andrea Aparo, Il Libro delle Reti, 1995 (torna al testo)
2. Bill Gates, The road ahead, 1995 (torna al testo)
3. Avril Accolla, Design for All, 2009 (torna al testo)
4. EIDD, Dichiarazione di Stoccolma, 2004 (torna al testo)
5. Luigi Bandini Buti, Design for All, 2014 (torna al testo)
6. Jules Pieri, Print me a Stradivarius, The Economist, 2011. (torna su)
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