Era da molto tempo che volevo ripercorrere la riflessione di Bill Joy [1] che, nel 2000, scatenò un vero e proprio bailamme mediatico [2]. L’articolo che all’epoca scrisse per Wired, la rivista "top" dei futurologist, non poteva passare come l’ennesima sparata fantascientifica sul futuro annichilimento dell’umanità causato dalla brama di potere tecno-economico. Non poteva perché a scrivere era una delle menti migliori e più lucidamente visionarie degli ultimi vent’anni dell’informatica.
Quando quell’articolo uscì, nel 2000, ne demmo notizia in questo sito e poi è stato ripreso, in modo del tutto sporadico, allorché per un qualche motivo Joy veniva citato in queste pagine. A quanto mi consta, egli in seguito non ha fatto che ribadire la posizione che aveva esposto allora. Però… sono passati quattro anni, e non sono pochi nell’epoca del Web. E’ una posizione sclerotizzata in senso estremista, dunque, quella di Joy? E’ un "riscaldare la minestra" il riprenderla in considerazione? Non credo. Non lo credo perché la cronaca dell’attualità e il fatto che gli argomenti allora affrontati da Joy siano oggi, ogni giorno di più, "dati in pasto" ai media dell’entertainment mi fanno propendere a pensare che, tutto sommato, una rilettura di Joy e del dibattito allora suscitato [3] possa servire a qualcosa (a parte il fatto che può comunque essere una lettura piacevole). Servire come pietra di paragone, dato che oggi, parlando di convergenza fra Genetica, Nanotecnologie e Robotica (cosiddette "tecnologie GNR"), le relative citazioni sono abbastanza frequenti, anche se per lo più in chiave critica negativa.
A ben vedere, poi, nei cinque articoli in cui la Redazione di questo sito, col contributo di alcuni lettori, ha ripercorso la tematica della "GNR" [4], il tragitto si è mano a mano orientato verso un tipo di riflessione che in Joy trova un mero spunto. Il quinto articolo, infatti, si conclude con la seguente questione:
‘come fare a prendere delle decisioni sul nostro futuro in presenza di un’innovazione tecnologica il cui ritmo di avanzamento è sempre più accelerato (e quindi ci sfugge nella sua portata), decisioni che siano espressione di una politica democratica e, quindi, basata sul consenso’.
E, del resto, il suo stesso titolo, "Al di là della mancanza di consenso sui valori", funge da anticipazione della "materia del contendere". Contendere che, oltre a Joy, ha visto nel ruolo di protagonisti Raymond Kurzweil [5] e Michael Dertouzos [6].
Bene: in tutto questo, allora, dove e come si è parlato di Nanotecnologie?
Se ne è parlato prima di tutto nella chiave in cui Joy ne parla, per il motivo sopra esposto; cioè come di un portato della ricerca scientifica all’interno del quale si concretizzerebbero i timori dovuti alla sua ipotesi di autoriproduzione incontrollata di organismi biotecnologici e nanotecnologici.
Ma, soprattutto, una sterzata rispetto a tale "paradigma" ci ha aiutato a darla Omar Ganz, un lettore che, lavorando nel settore dei nuovi materiali, ci ha mostrato nel suo contributo come negli Stati Uniti l’opinione pubblica sia già sensibile e sensibilizzata sul tema, dato che gli interessi finanziari in gioco sono… qui sì sono davvero "fantastici", nel senso di "stratosferici" [7]. Tanto che gli analisti finanziari già parlano del Nanotech come del settore più promettente dei prossimi anni e sottolineano come questo sia il momento migliore per investire, e come sia importante farlo al più presto, visto che coloro che partecipano a questa "corsa" sono davvero tanti e tutti sono –diciamo così– economicamente attrezzati e… "corazzati".
Eccoci giunti al punto: il mix fra business e tecnoscienza ha provocato un certo allarme in chi ha fatto della gestione del rischio il proprio motore economico, vale a dire le compagnie di assicurazioni (ma al livello di investimenti che le Nanotecnologie comportano, i soggetti di riferimento sono le compagnie di ri-assicurazione).
La Swiss Re [8] sembra aver bruciato tutti sul nastro di partenza in un incontro coi media svoltosi a Londra lo scorso maggio.
I rapporti [9] preparati da due dei suoi analisti del rischio, Annabelle Hett e Bruno Porro, sono una lettura da fare: non solo per l’accuratezza di esposizione che li contraddistingue, ma anche perché aiuteranno a comprendere meglio il modo in cui la politica, intesa come governance [10], sarà orientata ad affrontare, in un futuro che è davvero dietro l’angolo, questioni analoghe a quelle degli Organismi Genericamente Modificati (ma non solo) [11].
[1]
Bill Joy è stato per 21 anni "chief scientist" della Sun, azienda che ha contribuito a fondare, offrendo ad essa capacità creative che si sono rivelate essenziali per il suo successo. Mente ideativa dell’architettura Sparc, del sistema operativo Solaris, di Java e di molto altro, visionario del futuro tecnologico, Joy ha lasciato la Sun nel 2003 dichiarando soltanto di voler "perseguire altri interessi"; in un comunicato della Sun si trova scritto: "he has decided it is time for ‘different challenges’ ".
[2]
L’articolo era intitolato "Why the future doesn’t need us": qui nel testo in inglese (nel sito di Wired) ; qui nel testo tradotto in italiano (a cura di Anna Tagliavini, testo pubblicato nel libro "Ripartiamo dal netWork", abbinato alla rivista Reset).
[3]
Il dibattito fu alimentato da nomi prestigiosi: basti riferirsi al seminario svoltosi a Stanford e citato in questo sito nel primo della serie di cinque articoli che hanno trattato l’argomento.
[4]
"Danger", "The Ultimate Danger: apocalittici e integrati", "La questione della responsabilità secondo Joy e secondo Kurzweil", "L’inevitabile e il desiderabile", "Al di là della mancanza di consenso sui valori". Tutti raggiungibili da qui.
[5]
Raymond Kurzweil è citato in particolare nel terzo e nel quinto articolo dei cinque che hanno trattato l’argomento; al quinto articolo si può fare riferimento anche per una nota biografica.
[6]
Michael Dertouzos è citato nel quinto articolo dei cinque che hanno trattato l’argomento, al quale si può fare riferimento anche per una nota biografica.
[7]
Omar Ganz ci ha dato notizia del primo sondaggio svolto in argomento: condotto da Michael Cobb (ricercatore alla North Carolina State University e docente di Scienze politiche), che ha curato la struttura della survey e analizzato i dati, da Patrick Hamlett (professore associato di Scienza, tecnologia e società) e da Jane Macoubrie (docente di scienze della comunicazione).
‘Ultimamente negli States si va facendo strada l’opinione che le preoccupazioni (che, per il vero, al momento sono solo fantascienza) per le capacità di autoreplicazione di nanobots abbiano distratto l’attenzione da quelli che sono invece i rischi reali.’ (Omar Ganz)
[8]
Swiss Reinsurance Company (Swiss Re) opera attraverso più di 70 uffici in 30 Paesi. Fondata a Zurigo nel 1863, è nel business delle assicurazioni con i tre gruppi: Property & Casualty, Life & Health, Financial Services. Offre prodotti per gestire il capitale ed il rischio, accanto a quelli assicurativi tradizionali.
[9]
Si veda l’articolo di Paola Parmendola del 22 ottobre.
[10]
Paolo Milani (Dipartimento di Fisica all’Università di Milano), in un’intervista rilasciata alla trasmissione di scienza di Radio 24 (qui nella trascrizione che ne ha fatto Paola Parmendola), ha parlato di un approccio in termini di governance:
‘[Radio24]: "Nonostante per ora di danni legati alle nanotecnologie non se ne siano ancora verificati, ed è più che possibile che non se ne verificheranno mai, è prevalso l’atteggiamento di cominciare già a discutere di possibili problemi tanto che, ad esempio, organizzazioni ambientalistiche come Greenpeace siedono agli stessi tavoli in cui si devono definire i limiti entro cui muoversi. Un approccio, diciamo così di governance."
[Milani]: "E’ un approccio molto sano. Un approccio che i Paesi Anglosassoni stanno promuovendo, in particolare gli Stati Uniti e l’Inghilterra, soprattutto negli Stati Uniti ci sono concentrazioni accademiche ed industriali che sono più avanti in questo tipo di studi, è chiaro poi che il problema se lo sono posti prima e se lo sono posti in una maniera che vede il coinvolgimento di soggetti sociali, politici, ambientali, in maniera appunto da sviluppare un approccio che tenga conto delle esigenze di tutta la società e non solo di certi settori dell’Industria o certi settori dell’Accademia e, quindi, sia in grado di dare un feedback continuo ed uno stimolo continuo a chi poi fa ricerca o ricerca applicata per trovare delle soluzioni che siano condivise da tutta la società."’.
[11]
Si veda, ad esempio, il Progetto "Partecipazione Pubblica e Governance dell’Innovazione", promosso dalla Regione Lombardia con la collaborazione della Fondazione Bassetti e di Observa: ne parla in questo sito Giuseppe Pellegrini, di Observa, in un recente intervento. Pellegrini ha condotto per la Fondazione Bassetti, un anno fa, il Call for Comments sull’argomento del Progetto e ne ha curato la Presentazione.