La prevenzione in medicina (contributo al dibattito su "Il futuro tra incertezza e responsabilità") [11 agosto]
( 9 Agosto 2004 )
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E' sempre un piacere intellettuale leggere i contributi del Prof. Longo.
Per parte mia vorrei aggiungere alcune considerazioni sulla prima e sull'ultima parte della conferenza. Dapprima cercherò di applicare alla medicina, di cui mi occupo professionalmente, la critica agli ideali epistemologici di ordine, prevedibilità e controllo, mentre nella seconda parte vorrei introdurre alcune criticità rispetto ad un concetto di responsabilità "hard".
1 - C'e' una sfera teorico-pratica della medicina in cui i principi della scienza classica, magistralmente riassunti nella prima parte della conferenza, hanno rilevanti ricadute sociali e culturali: la prevenzione.
Nonostante la messa in discussione della predicibilità dell'evoluzione dei fenomeni fisici, ad opera delle teorie del caos, l'idea di prevenzione in medicina continua ad avere un grande impatto e a generare altrettante aspettative sociali. Per alcuni si tratta di attese eccessive, fors'anche mitiche, soprattutto quando assumono caratteri del determinismo e del controllo monocausale sui processi biologici. La soprastima della medicina preventiva emerge dal confronto con la complessità probabilistica e non-deterministica dell'eziopatogenesi delle malattie e, in particolare, dell'evoluzione delle patologie croniche multifattoriali. La prevenzione medica è il luogo sociale dove ha più successo la concezione tradizionale della scienza, nella quale riecheggia la "fiducia di riuscire un giorno a fare previsioni esatte sul comportamento di porzioni sempre più vaste dell'universo in base a una conoscenza via via più precisa del suo stato in un istante qualsiasi". Se questo desiderio ha da sempre accompagnato il cammino dell'uomo figuriamoci quale risonanza emotiva e cognitiva individuale puo' avere l'offerta di iniziative preventive dal momento che promettono di prevedere ed anticipare le (male)sorti biologiche individuali, con "certezza" matematica e in modo "scientifico".
In effetti sotto il termine prevenzione si celano una galassia di significati e di pratiche che rendono il concetto quanto meno sfaccettato, se non nebuloso, e fuzzy. Ecco alcuni esempi:
A - gli interventi igienici di prevenzione ambientale attuati dal secolo scorso che, secondo alcuni epidemiologici, sono i veri artefici della sconfitta delle malattie infettive, ben più degli antibiotici (impianti fognari, potabilizzazione dell'acqua, standard ambientali abitativi, igiene alimentare etc..);
B - l'identificazione e l'eliminazione delle sostanze nocive ambientali (amianto, cancerogeni professionali, radiazioni ionizzanti, elettromagnetiche etc..) per interventi su gruppi a rischio;
C - la diagnosi precoce e pre-sintomatica, tramite screening di popolazione, di affezioni potenzialmente mortali come il cancro (mammografia, TAC spirale o dosaggio del PSA tutt'ora sub judice);
D - la cosiddetta prevenzione primaria, ovvero l'eliminazione o il controllo in popolazioni sane dei fattori di rischio biologici che sono in rapporto causale probabilistico con l'insorgenza di malattie, specie cardiovascolari (colesterolo, iperglicemia, pressione arteriosa, fumo di sigaretta etc..)
E - la prevenzione secondaria, in particolare nelle affezioni cardiovascolari dopo un primo evento patologico acuto, mediante il controllo "stretto" dei fattori di rischio sopracitati;
F - l'immunizzazione attiva dei gruppi contro agenti infettivi o altre malattie, tramite vaccini vivi, attenuati o sub-unità antigeniche di virus, batteri o componenti proteiche;
G - la medicina predittiva "genetica" che, ad esempio, in donne portatrici delle mutazioni dei geni BRCA 1 e 2, predisponenti allo sviluppo del tumore mammario, si può condurre ad interventi di mastectomia preventiva;
H - la promozione di abitudini alimentari "sane", che si mescolano con mode salutistiche di ogni sorta, a base di integratori, complessi polivitaminici, anti-ossidanti, erbe di vario genere.
Insomma un'ampia gamma di interventi con presupposti teorici ed efficacia assai diversificati, il cui comune denominatore è l'idea, tanto ovvia quanto vincente a livello sociale, che "prevenire è meglio che curare". Le proposte preventive hanno in genere un connotato deterministico o monocausale, la cui efficacia è generalmente enfatizzata, se non sopravvalutata, dai mass media e dalla gente. Quanti pazienti sono convinti che il colesterolo (o la pressione alta) sia la causa necessaria e sufficiente dell'infarto e che quindi abbassando i tassi ematici (o i livelli pressori) si prevengono tutti gli eventi cardiovascolari?
A fronte di questa interpretazione corrente della prevenzione stanno le eziologie multifattoriali e probabilistiche delle malattie, specie quelle croniche. Ad esempio l'epidemiologo Vineis osservava nel lontano 1988 che "dallo studio delle malattie cronico-degenerative è emerso che alcune esposizioni (o tratti patologici) sono in grado di aumentare la frequenza di malattia senza esserne cause necessarie e/o sufficienti". Un eminente storico del pensiero medico, Mirko Grmek, gli fa eco quando sottolinea che "secondo diversi autori la nozione di causa della malattia non ha valore scientifico" in quanto un evento patologico "si manifesta quando si realizza una costellazione di condizioni che appartengono sia all'ambiente esterno sia all'organismo stesso". Infine secondo lo storico e filosofo della medicina Gilberto Corbellini "gli approcci biosperimentali hanno più volte reiterato il perseguimento del miraggio della causa unica, necessaria e sufficiente per determinare una particolare condizione patologica, per scoprire regolarmente che il modello monocausale non si applica alle spiegazioni causali della malattia".
Ecco un'esempio di qui-pro-quo riguardo al significato della prevenzione:
in una recente inchiesta tra un gruppo di donne che si sottoponevano ad uno screening mammografico è emerso che una consistente percentuale di esse erano convinte che l'esecuzione dell'esame radiografico avesse di per sè un'azione preventiva nei confronti del tumore; le donne in pratica interpretavano la mammografia, non gia' come un accertamento clinico per diagnosi anticipate di tumori in fase asintomatica, ma come una sorta di mezzo preventivo attivo, analogo alla somministrazione di una pillola per abbassare la pressione nei confronti degli eventi cardiovascolari. Cioè esattamente il contrario dell'effetto delle radiazioni ionizzanti che possono, seppur teoricamente e in grosse dosi (scintigrafie, coronarografie ed angioplastiche con STENT, TAC etc.) indurre modificazioni biologiche cellulari potenzialmente patogene.
La reazione della professione di fronte a questa ambigua polisemia e alla variegata gamma di pratiche empiriche, credenze e aspettative sociali verso la prevenzione, più o meno realistiche, è duplice ed antitetica. Da un lato si tenta di arginare la proliferazione di iniziative preventive e di screening, di dubbia affidabilità ed efficacia, tentando la strada delle prove scientifiche, ovvero sottoponendo anche la prevenzione al pari delle terapie farmacologiche al vaglio delle evidenze. Nasce così il nuovo acronimo EBP, ovvero la proposta di una Evidences Based Prevention.
All'opposto vi è chi tra gli epidemiologi propone l'abolizione di ogni distinzione concettuale, ad esempio quella tra prevenzione primaria e secondarie, ma anche quella tra prevenzione e cura, vanificando il significato simbolico del noto aforisma sopra ricordato ed attualizzando il motto dell'anarchismo metodologico: "tutto fa brodo"!
2 - Mi desta qualche disagio l'enfasi con cui Jonas e altri bioeticisti evocano il principio e l'imperativo etico della responsabilità. Il termine ha, sua volta, assonanze giuridiche nel senso della colpa e dell'individuazione di un nesso monocausale, certo e possibilmente necessario, tra azione e sue conseguenze delittuose. Con la differenza, non da poco, che in tribunale il nesso viene stabilito a posteriori mentre invece in fatto di tecnologia dovrebbe essere ex-ante! Mi sembra un concetto troppo "forte", e fors'anche ambiguo, per poter essere applicato agli esiti incerti, aleatori e probabilistici delle decisioni che ricadono su sistemi a complessità organizzata, caotici, lontani dall'equilibrio e sensibili alle condizioni iniziali.
Anche perché la conoscenza di questi sistemi e del loro stato passa quasi inevitabilemente per l'intervento e la manipolazione sperimentale, come recita il famoso aforisma di Maturana "ogni azione è cognizione, ogni cognizione è azione" (e come sottolinea anche il prof. Longo quando osserva che "la conoscenza è sempre un'azione dagli esiti incalcolabili e l'azione è sempre una conoscenza dagli esiti irrealizzabili"). Senza il metodico spezzettamento e la sperimentazione sul DNA probabilmente ne sapremmo molto meno di quanto oggi possiamo vantare sul "codice della vita". Ho l'impressione che per poter immaginare ed essere interamente responsabili delle conseguenze, immediate e soprattutto a lungo termine, delle decisioni bisognerebbe anche essere onniscienti o dotati di poteri di calcolo/previsione non lontani da quelli del demone laplaciano.
D'altra parte le scienze sociali si fondano paradigmaticamente proprio sulle conseguenze inintenzionali dell'azione umana intenzionale (per non parlare dei macroeffetti perversi, imprevisti, controintuitivi e collaterali dell'azione sociale) mentre la ricerca empirica sulle decisioni organizzative ha rivelato, con non poca sorpresa, che ogni decisore è affetto da una irriducibile quota di limitazione della razionalità. Anche sul fronte del mitico homo oeconomicus, freddo massimizzatore dell'utilità attesa, le cose non vanno meglio da qualche tempo a questa parte: grazie all'economia cognitiva si è scoperto che anche le sue decisioni sono ben poco razionali, a causa del sistematico ricorso ad euristiche e scorciatoie di giudizio che semplificano il processo decisionale, rendendolo quanto mai approssimato rispetto alla complessità del compito.
A questo proposito Edgar Morin parla di un'ecologia dell'azione, ovvero del rischio che le azioni politiche, aleatorie per natura, entrino "rapidamente in un gioco di inter-retroazioni ecologiche che le dirige verso una direzione imprevista, che smorza lo sforzo più grandioso e lo riduce ad un accidente trascurabile". In altri termini la decisione viene ad essere integrata, amplificata, inibita o distorta dalle inter-retroazioni sistemiche fino a generare quelle conseguenze non previste, e forse imprevedibili, che caratterizzano la storia della società e l'evoluzione della vita. Se quindi valgono i due principi dell'ecologia dell'azione ("La massima efficacia dell'azione si situa all'inizio del suo sviluppo" e " Le conseguenze ultime di un atto particolare non sono prevedibili") quale concreta fattibilità ha l'idea "forte" di responsabilità in un mondo dominato dall'incertezza?
Grazie per l'attenzione
[11/8/04] Bibliografia in forma essenziale (v. sotto)
Giuseppe Belleri
(medico di Medicina Generale)
Flero (Brescia)
Bibliografia in forma essenziale
- Antiseri D, Trattato di metodologia delle scienza sociali, UTET, Torino, 1997
- Corbellini G., Filosofia della medicina, in Filosofie delle scienze, A.C. di N.
Vassallo, Einaudi, Torino, 2003
- Fronte M., Greco P., Figli del genoma Interrogativi sulla bioetica, Avverbi,
Roma, 2003
- Giesen B., Dal conflitto al legame: un abbozzo sistematico del dibattito
micro-macro, Sociologia e ricerca sociale, N. 43/1994
- Gigerenzer G., Quando i numeri ingannano, Cortina, Milano, 2003
- Grmek M., Concettualizzazione e realtà della morbilità del XX secolo, Nuova
Civiltà delle Macchine, N-3-4/1955, ERI, Roma
- Morin E., Il pensiero ecologico, Hopeful Monster, 1994, Firenze
- Motterlini M e Guala F. introduzione a Economia cognitiva e sperimentale, Egea,
Milano, 2004
- Rumiati R., Bonini N. Psicologia della decisione, Il Mulino, 2001, Bologna
- Tombesi M., La prevenzione in medicina generale, UTET
periodici, Milano, 1997
- Tombesi M., Gli interventi inutili in medicina generale,
UTET periodici, Milano, 1999
- Von Foerster H., Attraverso gli occhi degli altri, Guerini &
Associati, Milano, 1996
- Vineis P., Modelli di rischio, Epidemiologia e causalità,
Einaudi, Torino, 1990
- Vineis P., Dal sintomo al rischio, Epidemiologia &
Prevenzione, N. 34/1988
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