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Tutti gli interventi di Gennaio 2004
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DiaBloghi
Blog di dialoghi sull'innovazione "poiesis intensive"
[25 maggio 2005]
"Rinnovare, cambiare o innovare?" è la nuova domanda apparsa in DiaBloghi!
[17 giugno 2005]
Leggi il "commento" scritto da Aleph V° in relazione al dialogo Cosa vuol dire che una cosa vale, e che vale poco o tanto?
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ARCHIVI mensili
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Gli aggiornamenti nei BLOG - BLOG Updates
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Innovazione in medicina
( 31 Gennaio 2004 )
( scritto da
Giorgio Buzzi
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Sull'argomento dell'innovazione tecnologica in campo medico, ho letto di recente un articolo che offre qualche spunto di riflessione sul penultimo numero di Neurology, la rivista dell'American Academy of Neurology (Neurology del 23/12/2003, pp. 1824-25).
In una sorta di rievocazione onirica dei suoi primi anni nel mondo della ricerca scientifica, un anziano neurologo ormai al termine della carriera rivede se stesso che conversa con un giovane collega di quegli anni, il quale lo rimprovera di essere troppo pessimista nei confronti della vera rivoluzione che ha investito il campo delle neuroscienze.
"Tu sai -gli dice l'amico ottimista- che per la prima volta siamo in grado di comprendere queste malattie, dar loro un nome preciso anzichè dire alle persone che hanno una distrofia o quant'altro e sperare che non facciano troppe domande..."
"mi dispiace, gli risponde l'alter ego giovanile dell'autore, credo che sarei molto più entusiasta se potessimo offrire loro qualche sorta di terapia... sono dieci anni che stiamo dicendo loro che siamo alle soglie di una terapia, ma non è accaduto niente. Ora possiamo dire ai pazienti che possiamo spiegare in dettaglio le loro malattie, ma se ne faranno molto di sapere il nome preciso della malattia se non possiamo offrire loro niente per alterarne il corso... avrebbero anche potuto starsene a casa..."
Questo, aggiungo io, è il caso delle distrofie muscolari, di cui parla l'articolo in questione, ma è ugualmente il caso di tutte le grandi malattie neurologiche: Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, malattie dei motoneuroni... abbiamo a disposizione mezzi tecnologici meravigliosi per fare una diagnosi precisa millimetricamente: tecniche di analisi genetica, risonanza magnetica, risonanza magnetica spettroscopica, tomografia a emissione di positroni, tomografia a emissione di singoli fotoni, ... ma una volta fatta la diagnosi ?
Credo quindi che per evitare la fuga dei pazienti verso le "medicine alternative" (come giustamente segnalato in uno degli interventi precedenti), sarà necessario recuperare il giusto equilibrio tra la "medicina basata sulle evidenze" e la medicina basata sulle esigenze particolari di ogni singolo paziente, che spesso richiede più "arte" e umanità che scienza e tecnologia.
Per concludere, dice ancora l'autore dell'articolo suddetto per bocca del suo giovanile alter ego: "non ti sconcerta il fatto che ora abbiamo una serie di esami che saranno disponibili agli ammalati solo se capiteranno da un medico che conosce a sufficienza l'argomento e che abbia accesso a un laboratorio che possa effettivamente eseguire il test richiesto ? e che dire dei costi ?".
Qui entriamo anche nell'ambito della responsabilità politica, ma su questo argomento lascio volentieri la parola ad altri più ferrati di me.
Giorgio Buzzi, neurologo (convenzionato AUSL Ravenna)
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Innovazione tecnologica in campo sanitario
( 30 Gennaio 2004 )
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La medicina è in crisi da almeno trent'anni e, probabilmente, lo è stata per altrettanti decenni in precedenza e lo sarà più o meno per i prossimi secoli. Voglio dire che si tratta probabilmente di uno stato di crisi endemico e costitutivo che affonda le sue fondamenta in due fenomeni:
- il carattere virtualmente illimitato dei bisogni e delle esigenze medico-sanitario-assistenziale della gente, aggravate da una definzione di salute (quella dell'OMS del 1948 dai contorni mitico-prometeici) praticamente irraggiungibile e "impossibile" (vedasi l'analisi di Callahan ne la "medicina impossibile" ed. Baldini & Castoldi, da poco ristampato);
- la conseguente ipertrofia delle attese nei confronti del sistema sanitario e le altrettanto ipertrofiche offerte dell'apparato tecnoscientifico e medico-mediatico, ispirate alle "magnifiche sorti e progressive" e all'occultamento dei limiti umani, scientifici, organizzativi, tecnologici, economici etc... del sistema (vedi la criminalizzazione dell'errore medico).
La crisi si coagula ed emerge attorno ad un problema epocale, che costituisce una sorta di perturbazione epistemologica e pratica per il pensiero e le pratiche mediche di stampo positivistico-meccanicistico, nonché una "croce" quotidiana per tutti i diretti interessati: la malattia cronica. E' già stata ricordata la ben nota transizione epidemiologica dalla patologia acuta-infettiva, prevalente fino alla prima metà del secolo scorso, alla cronicità, vera e propria pendemia di fine millennio, propiziata dal miglioramento delle condizioni economiche, sociali, lavorative di vita etc... Ciò che vorrei sottolineare è che la cronicità è diretta e imprevista conseguenza del trionfo della tecnomedicina sulle malattie acute. Una volta guarito dalla polmonite o dal tifo, il paziente tornava alla vita normale, grazie alla cosiddetta restitutio ad integrum.
Oggi non e' più cosi!
L'infartuato, il diabetico insulinodipendente, il malato di AIDS, il bronchitico cronico, l'artritico, superata la crisi grazie alla potenza dell'intervento tecnomedicale deve rassegnarsi a prendere medicine, fare controlli, esami e visite per tutto il resto della sua vita! Insomma la malattia cronica è l'amaro frutto dell'intervento medico nelle situazioni acute: ma è un frutto acerbo ed assai indigesto per il sistema che resta costitutivamente orientato alla dimensione dell'acuzie, che ripropone in modo quasi coattivo proprio nelle situazioni di crisi.
Il problema è emerso anche recentemente nella nostra regione con alcuni casi finiti sulle pagine dei giornali: se una persona non sta più che male un posto letto in ospedale se lo sogna, ed anzi capita che anche quando versa in condizioni critiche deve peregrinare da un'ospedale all'altro, a meno che non evochi una consistente protezione in sfere elevate della politica. Il problema va naturalmente oltre la Lombardia e riguarda soprattutto la politica di riduzione dei posti letto, avviata a suo tempo dal ministro Bindi. Chi ne ha fatto fin'ora le spese sono stati soprattutto i reparti di medicina generale, che sono gli unici a poter accogliere pz. con polipatologie croniche in fase di scompenso o per fare un buon "tagliando".
Tutte le altre divisioni specialistiche dell'ospedale hanno un filtro rigido ed efficace: i malati non chirurgici, non-neurologici, non-cardiologici vengono facilmente respinti dalle rispettive divisioni. Il fatto è che il sistema, proprio nei momenti di crisi, si arrocca nella dimensione specialistica e ripropone la soluzione che è impressa nei suoi geni epistemologico-pratici, vale a dire la differenziazione funzionale tecno-super-specialistica e l'orientamento alla presa in carico delle situazioni acute che possono essere risolte con interventi tecno-riparatori (trapianti, chirurgia sostitutiva, rianimazione etc..,). E' quello che è accaduto in Lombardia, dove parallelamente al ridimensionamento delle medicine sono cresciuti i reparti cardiochirurgici e ortopedici, che operano a livelli di catena di montaggio industrale, con gran efficacia ed efficienza, ma non possono in nessun modo farsi carico della cronicità.
Servirebbe una specie di riorientamento organizzativo, una rivoluzione paradigmatica in stile Kuhniano ma purtroppo la triste scienza continua ad imperversare con i suoi limiti e, per giunta, i servizi e i professionisti che si prendono carico della cronicità e delle persone nella loro interezza bio-pisco-etc. sono poco considerati rispetto alla tecnomedicina, tendenzialmente sottopagati, sottofinanziati e scarsamente "appaganti" dal punto di vista del consenso politico.
Che fare dunque?
Dott. Giuseppe Belleri
medico di Medicina Generale
Flero (BS)
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La Fabbrica della Salute (2)
( 28 Gennaio 2004 )
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Nell'intervento "Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche (2)" del 19 gennaio 2004 Gian Maria Borrello, dopo aver compiuto alcune interessanti riflessioni sul rapporto tra tecnocrazia e politica, m'invitava ad esprimere un'opinione sullo "stato di salute" del sistema sanitario pubblico. In particolare mi chiedeva se tale modello, basato sino ad oggi su scelte di policy condivise, non stia attraversando un periodo di crisi. Cercherò, per quanto mi è possibile, di approfondire tali tematiche ponendo l'accento su alcuni degli aspetti più rilevanti del problema-salute.
Il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione occidentale legato ad una diminuzione del tasso di natalità e all'aumento delle prospettive di vita media ha provocato una vera e propria rivoluzione anagrafica.
. Alle trasformazioni demografiche si è aggiunto un mutamento del trend epidemiologico: l'incidenza delle malattie infettive acute si è ridotta a favore di patologie croniche non trasmissibili.
. La diffusione di riviste, pubblicazioni, trasmissioni televisive e rubriche telematiche ha agevolato la diffusione di informazioni e conoscenze mediche tra la popolazione in una misura mai avvenuta in passato. La ricerca del benessere fisico e una sempre maggiore attenzione ai comportamenti e agli stili di vita ha contribuito ad accrescere la richiesta di servizi di qualità e di assistenza da erogare in tempi ragionevoli.
. A fronte dei progressi delle scienze mediche (prevenzione, profilassi e diagnosi) e della crescita della domanda di assistenza sanitaria (con conseguente aumento dei costi legati al personale e alle tecnologie applicate) si è registrata una contrazione delle risorse economiche disponibili.
. L'attenzione nei confronti degli aspetti economici (razionalizzazione dei servizi, riduzione delle spese e abbattimento dei costi) non deve però far dimenticare che il diritto alla "salute" è un bene prezioso che va garantito a tutti i cittadini con equità indipendentemente dallo status economico e sociale di appartenenza.
. Attraversiamo, purtroppo, un periodo in cui le disponibilità economiche da destinare al Servizio sanitario nazionale diminuiscono sempre di più (con gravi ripercussioni sulla qualità delle prestazioni erogate): occorre, a mio giudizio, nel più breve tempo possibile, effettuare scelte di politica sanitaria consapevoli (lotta agli sprechi e spese oculate ma anche attenzione ai bisogni del paziente) che riaffermino con chiarezza il ruolo basilare della sanità pubblica nei servizi di cura, assistenza e prevenzione. Tali scelte, in stretto collegamento con le necessità e i bisogni dei cittadini e del territorio, devono riportare al centro dell'attenzione generale la condizione individuale del malato impedendone così la frammentazione bio-psichica tipica di certa medicina iper-tecnologica.
. Il coinvolgimento attivo dei cittadini e degli "addetti ai lavori" nelle scelte di programmazione sanitaria deve essere percepita realmente come il risultato di un'intesa tra diversi soggetti, istituzionali e non, nell'ambito di una promozione generalizzata della salute che vada al di là degli egoismi sociali e geografici.
Lo stato di crisi in cui versa, attualmente, il sistema della sanità pubblica è evidenziato in modo esemplare dai deficit di bilancio e dalle difficoltà delle Regioni a far quadrare i conti. La recente suddivisione dei finanziamenti del Fondo sanitario nazionale è servita solo a tamponare l'emergenza. Il rischio concreto è che, di questo passo, nonostante i molti centri d'eccellenza accreditati e la presenza di personale qualificato, l'assistenza sanitaria pubblica vada incontro ad un declino inarrestabile favorendo così la privatizzazione delle strutture ospedaliere.
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Il feedback negativo dell'innovazione tecnica in medicina
( 28 Gennaio 2004 )
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Il saggio di De Filippis è indubbiamente un ottimo excursus sulla storia della medicina degli ultimi due secoli. Improntato, a mio parere, a un eccessivo ottimismo sulle “magnifiche sorti e progressive”. E’ fuor di dubbio che il progresso tecnico-scientifico abbia contribuito in modo determinante a modificare gli indici con cui abitualmente si misurano gli standard della salute di una popolazione, primo fra tutti la speranza di vita. La professione medica è sia un’arte che una tecnica; e l’innovazione tecnico scientifica ha spostato decisamente l’attenzione verso l’aspetto tecnico. Questo ha comportato un risultato positivo talmente evidente che non ha bisogno certamente di essere illustrato da parte mia e che nel saggio di De Filippis viene ampiamente evidenziato.
Il risvolto della tecnicizzazione della pratica medica ha innestato, però, un processo di retroazione negativa su cui vale la pena soffermarsi. Il medico più che a rapportarsi con il paziente, tende a rapportarsi ai dati strumentali. Il dibattito in corso su possibilità e limiti della evidence based medicine è un indice del disagio che il ricorso acritico alla tecnicizzazione suscita negli operatori sanitari più avvertiti ma anche nel grande pubblico. Non è casuale il ricorso, non più sporadico, a forme di medicina alternativa che, bene o male, danno l’impressione che al centro dell’attenzione dell’operatore sanitario ci sia la persona del paziente.
Un’ulteriore conseguenza della tecnicizzazione della medicina la troviamo nella ospedalizzazione della malattia. L’ospedale non è più il luogo della degenza e della cura ed ha sempre più accentuato la funzione di struttura di un centro di servizi tecnologici. Le stesse modificazioni intervenute nei modelli architettonici, in cui i diversi plessi di cliniche specializzate si sono via accorpati in unica struttura monoblocco è dovuto alla necessità di rendere più efficace l’utilizzo dei laboratori diagnostici. A ciò dobbiamo aggiungere che l’offerta crescente delle tecnicalità sanitarie si è rivelata insostenibile per ogni sistema sanitario, sia quello europeo basato sulla contribuzione pubblica che quello americano centrato sulla mutualità privata. Con la conseguenza della burocratizzazione e della standardizzazione delle procedure. L’aziendalizzazione dell’ospedale comporta che la responsabilità del medico prima di essere rivolta al paziente è rivolta al bilancio aziendale.
Nel saggio di De Filippis si parla del consenso informato come di una conquista della nuova medicina. E questo è senz’altro vero. Attraverso il consenso informato si supera quel rapporto asimmetrico fra medico e paziente che nel corso dei secoli ha sempre visto il paziente come “irresponsabile” di fronte alla propria cura. Ma nella medicina tecnicizzata il consenso informato, da atto in cui la responsabilità del medico si integra con quella del paziente, si trasforma in una procedura di routine.
In questo quadro emerge poi il ruolo del politico, che attraverso la burocratizzazione e l’aziendalizzazione ha trovato la via più facile per sfuggire alla responsabilità di conciliare i vari interessi, molte volte confliggenti, in un disegno unitario di compatibilità etiche ed economiche.
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Billy Klüver, ingegnere dell'arte
( 21 Gennaio 2004 )
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Billy Klüver
Il giorno 14 gennaio 2004 è morto Billy Klüver, ingegnere dell'arte.
John Cage e Merce Cunningham
Ci sono personaggi che vivono rendendo possibili le svolte, i cambiamenti, le innovazioni, ma che poi rimangono un po' in ombra, alle spalle delle personalità di coloro a cui hanno reso possibile agire. Jean Tinguely, Andy Warhol, Robert Rauschenberg, John Cage, Merce Cunningham, sono solo alcuni degli artisti che hanno realizzato opere con la collaborazione di Billy Klüver.
Self-destroying-machine, opera di Tinguely
Pur seguendo una formazione ingegneristica di alto livello, Klüver, ha sviluppato in contemporanea la sensibilità per la realizzazione artistica.
Andy Warhol
Così, durante i suoi dieci anni di lavoro presso la Bell Labs - Bell Telephone Laboratories, sviluppa conoscenze ed esperienze artistiche sempre più importanti.
Potsd, opera di Rauschenberg, 1960
Nel 1966, con un suo collega ingegnere alla Bell, Fred Waldhauer e con gli artisti Robert Rauschenberg e Robert Whitman, fonda Experiments in Art and Technology (E.A.T.), con l'intenzione di creare una struttura "di servizio" che metta in contatto artisti con tecnici esperti.
Soundings, dalla collaborazione tra Rauschenberg e l'EAT
Le realizzazioni della E.A.T. sono state inizio e punto di riferimento per l'arte multimediale fino ad oggi.
Un articolo sul giornale on line "Punto Informatico" [G. M. Borrello, 8 febbraio 2004]
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Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche (2)
( 19 Gennaio 2004 )
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Nell'Introduzione che Maurizio De Filippis ha scritto al suo interessantissimo articolo "La Fabbrica della Salute" ho subito cercato delle risposte agli interrogativi che emergevano nel precedente intervento in questa sezione, intitolato "Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche".
La tematica più generale è quella dei rischi della tecnocrazia: una posizione --se vogliamo anche ideologica-- che si esprime nel ritenere che ci sono materie che sono di competenza esclusiva della Politica.
L'articolo di Marina Corradi e il modo in cui allora inquadrammo l'argomento: " Ciò che è possibile accadrà" Il tutto poi ripreso in una postilla alla recente segnalazione del libro di Maurizio De Filippis "L'Ospedale Luigi Sacco nella Milano del Novecento"
L'articolazione che di questa tematica si può riscontrare nel campo della Sanità non è stata finora, in questo sito, adeguatamente sviluppata e le questioni toccate tempo addietro in un articolo di Marina Corradi, al quale facemmo riferimento e che riportava un dialogo a più voci coordinato dalla stessa giornalista, restavano sospese.
Ecco, allora, che avendo la possibilità di un'interazione con Maurizio De Filippis, dottore in storia e ricercatore presso l'Azienda Ospedaliera-Polo Universitario "Luigi Sacco" di Milano, ho subito cercato di recuperare questa tematica.
De Filippis, dunque, nella sua Introduzione affronta la questione già sottolineata da Ivan Cavicchi (direttore generale di Farmindustria) nell'articolo citato. Gli chiederei quindi se quando parla di "sistema democratico di regole condivise" non avverta la tentazione di dare un giudizio di merito sull'efficienza e sull'efficacia di questo "sistema". Più specificamente, vorrei chiedergli se, con riferimento al campo sanitario, pensa che questo sistema sia in crisi o che si prefiguri una sua crisi.
Per la verità non sono riuscito a capire chiaramente quale sia la sua opinione riguardo al rapporto fra Politica e Tecnoscienza (in campo sanitario). Io penso che --c'è poco da fare-- non possiamo confondere le due cose: da una parte c'è la Politica, dall'altra la Tecnoscienza. Se posso azzardare, direi che De Filippis preferisce vedere le due in rapporto organico. Sì --risponderei-- questo è quanto dovrebbe (forse) essere. Ma (domanda retorica) siamo sicuri che sia anche ciò che avviene?
Cavicchi, infatti, aveva posto un problema: come potrà la sanità pubblica garantire a tutti terapie sempre più efficaci ma anche sempre più costose?
E' forse questo un falso problema perché quello fra tecnocrati e politici è un sodalizio che va a gonfie vele?
Può darsi benissimo che questa unione funzioni alla grande, ma io mi chiedo (e anche questa è una domana retorica) se la sinergia che ne scaturisce travisi, negli effetti, una domanda della società, se eluda una sempre crescente esigenza di assistenza.
E, rivolgendomi a De Filippis, è appunto in riferimento a questa domanda di genere sociale (che trovo si ricolleghi bene al punto in cui egli pone in luce che l'intervento pubblico in campo sanitario affonda le proprie radici non nell'assistenzialismo, ma nella caritas cristiana e nella filantropia laica) è --dicevo-- proprio in riferimento a questa domanda che mi interesserebbe conoscere la sua opinione.
Grazie.
P.S.
Su La Repubblica di ieri (p. 27) trovo notizia del rapporto di Cittadinanzattiva sulle malattie croniche in Italia, presentato sabato scorso: «"E' un trend inesorabilmente in crescita", spiega Stefano Inglese del Tribunale per i diritti del malato - Cittadinanzattiva. "L'invecchiamento della popolazione produce sempre più malati cronici. Il problema è che lo Stato non risponde alle loro esigenze (...). Si bada al risparmio e non alla riqualificazione della sanità. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il sistema non collassa solo grazie alla rete di supporto delle famiglie"».
Ora, io resterei sorpreso se scoprissi che Inglese ripone fiducia nell'attuale sistema democratico di regole condivise...
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La Fabbrica della Salute - Introduzione
( 19 Gennaio 2004 )
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Se il Novecento ha rappresentato, sotto molti aspetti, il trionfo della Scienza e della Tecnica, il Terzo millennio si apre forse con l'esigenza di ripensare a fondo il rapporto tra la dimensione tecnico-scientifica del sapere e le forme della sua applicazione nella società civile. Il ruolo dominante assunto dalle discipline scientifiche nel corso del XX secolo ha indotto il mondo politico e istituzionale ad affrontare la questione della loro regolamentazione avvalendosi di consulenti tecnici in grado di supportarne le decisioni. L'interpretazione normativa del linguaggio tecnico-scientifico e la sua traduzione in scelte di policy hanno reso indispensabile la presenza di un sistema democratico di garanzie e regole condivise allo scopo di agevolare un attivo coinvolgimento della società civile alle decisioni science-based. La competitività di un paese in campo scientifico, infatti, si misura soprattutto dalla volontà e dalla capacità di rinnovare integrando tra loro le diverse "anime" che concorrono a produrre innovazione. In campo medico e sanitario, ad esempio, gli stretti rapporti tra le Università, sede elettiva dei percorsi di formazione e ricerca, le Aziende Ospedaliere e le case farmaceutiche, costituiscono la condizione essenziale per tramutare idee e conoscenze in soluzioni terapeutiche al servizio del paziente. La Lombardia rappresenta, da questo punto di vista, la regione italiana dove esiste la maggiore concentrazione di Atenei universitari, centri di ricerca pubblici e privati, risorse economiche e imprenditoriali. La risoluzione dei problemi inerenti alle dinamiche organizzative, il raggiungimento di un elevato standard di qualità nell'erogazione dei servizi, l'autonomia professionale, presuppongono, pertanto, l'adozione di logiche di carattere sinergico e multiprofessionale che prevedono la partecipazione di tutti gli "addetti ai lavori". La complessità di questi fenomeni coinvolge anche il rapporto medico-paziente: l'approccio sempre più specialistico della pratica medica ha determinato il prevalere della tecnica sugli aspetti antropologici della cura provocando, nel contempo, un progressivo aumento degli obblighi burocratici legati ai processi di ospedalizzazione e medicalizzazione della cosiddetta "società del benessere".
Le croniche difficoltà del sistema sanitario italiano non hanno impedito in questi anni l'avvio di un imponente processo di rinnovamento che, attraverso l'aziendalizzazione delle strutture sanitarie e la riqualificazione del personale, si è proposto di valorizzare tutti quei servizi volti ad ottenere un miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Tale trasformazione ha permesso, sino ad ora, la diffusione di efficaci modelli organizzativi e gestionali capaci di coinvolgere tutti i livelli strutturali e operativi, modificando sensibilmente la mentalità dei professionisti impegnati nella realtà del Servizio Sanitario Nazionale. Conciliare l'odierno processo di aziendalizzazione ospedaliera con la rilevazione delle situazioni di criticità di un "sistema sanitario" pubblico, ricco di contraddizioni ma anche di energie inespresse, implica l'adozione di politiche di tutela della salute che mettano in rilievo, accanto alle irrinunciabili logiche economiche, un'equa distribuzione delle possibilità di cura. Per restituire vitalità all'intero sistema occorre però reagire con grande impegno al crescente disagio e al moltiplicarsi delle situazioni di dipendenza socio-sanitaria di larghe fasce della cittadinanza infondendo nuova fiducia nelle qualità del servizio pubblico attraverso il raggiungimento di obiettivi condivisi, investendo risorse sul capitale umano, sulla ricerca scientifica e sulla formazione del personale addetto all'assistenza. Il problema, naturalmente, riguarda non solo gli "operatori del settore", ma tutta la popolazione: la diffusione di una "cultura della salute" che tenga conto sia dei confini della scienza e della tecnica che della comprensione dei limiti del corpo umano, deve preludere al rilancio di un sistema sanitario orientato non in senso assistenziale ma sociale (1). Va ricordato, infatti, che in Italia, l'intervento pubblico in campo sanitario a tutela della salute dei cittadini, affonda le proprie radici non nell'assistenzialismo ma nella caritas cristiana e nella filantropia laica, retaggio culturale che oggi troppo spesso, chi si occupa di salute e sanità, tende a sottovalutare (2). ... Continua... (cliccare) Note
(1) L'intervento pubblico in campo sanitario a tutela della salute dei cittadini, si può far risalire ai secoli XVIII-XIX, ma per cogliere l'inizio di questo lento processo, occorre tornare alla fine del Medioevo. Le città italiane furono tra le prime ad adottare iniziative concrete per difendersi dai rischi delle malattie contagiose quali, ad esempio, la peste: regolamenti e leggi emanati da Uffici di sanità provvisori, disposizioni per l'isolamento degli appestati, contenimento delle possibili fonti d'infezione, costituivano solo alcune delle misure precauzionali emanate dalle autorità cittadine. Nel 1374 Bernabò Visconti "dispone che tutti i malati di peste escano dalle mura e vivano in boschi e capanne, lontani dalla città, sino alla morte o alla completa guarigione. Gli accompagnatori dei malati devono rimanere isolati per dieci giorni, prima di poter rientrare in Milano". A. M. Calvi, Le malattie infettive nella storia, in L'Ospedale Agostino Bassi di Milano, Monticello, Grafica Briantea, 1993, p. 8. Sempre nello stesso anno Venezia, città "a rischio" per le intense relazioni commerciali con l'Oriente, impedì alle navi provenienti da località sospette di accedere al porto. Nel 1377 "Ragusa, l'odierna Dubrovnik, in Dalmazia, seguita poi da Venezia costruì addirittura un porto speciale nel quale le navi con contagiosi a bordo dovevano trascorrere un periodo di isolamento prima di trenta, poi di quaranta giorni. Da qui il termine quarantena". Ibidem, p. 9.
(2) Il progressivo estendersi della sfera d'influenza dello Stato nei confronti della società civile, dovuto alla graduale dissoluzione dei vincoli comunitari caratteristici della società d'ancien régime, portò con sé come conseguenza diretta l'esigenza di un sempre più accentuato impegno pubblico in materia assistenziale: a partire dai secoli XV-XVI, il declino dell'idea di povertà medievale capace di accostare il povero alla figura di Cristo coincise con l'affermarsi di una concezione che tendeva a trasformare il mendicante e il vagabondo in soggetti da segregare e da bandire in quanto potenziali perturbatori dell'ordine sociale. Cfr. B. Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1991. Per ciò che concerne la tradizione assistenziale milanese, occorre dire che sin dal Trecento essa era caratterizzata da un precario equilibrio che vedeva gerarchia ecclesiastica, patriziato e autorità statale in concorrenza per la gestione del sistema caritativo. L'assistenza cittadina si basava su numerosi istituti ospedalieri retti autonomamente da sodalizi religiosi, che però a differenza dell'Ospedale Maggiore, sorto alla metà del XV secolo, non si potevano considerare ancora veri e propri luoghi di cura. In tale contesto, la comparsa di un associazionismo laico con finalità di beneficenza elemosiniera rappresentò, nel panorama caritativo medioevale, una novità di assoluto rilievo. Tra le decine di luoghi pii presenti a Milano attorno alla metà del Settecento, poco prima che l'intervento di Giuseppe II (1741-1790) ne decretasse un drastico ridimensionamento, i più importanti per l'entità dei patrimoni e per la plurisecolare attività, erano cinque: le "Quattro Marie", la "Misericordia", la "Carità", la "Divinità" e il "Loreto". Cfr. I. Riboli, I Luoghi Pii elemosinieri di Milano e i loro benefattori, in La generosità e la memoria. I Luoghi pii elemosinieri di Milano e i loro benefattori attraverso i secoli, Milano, Amministrazione delle II. PP. A.B, ex E.C.A.,1998. ... Continua... (cliccare)
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Bruno Latour in Milan and the connected Call for Comments in this site [02/28/2004]
( 19 Gennaio 2004 )
( scritto da
Redazione FGB
)
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Bruno Latour at the conference in Milan, at his left Piero Bassetti On 27 October 2003 we opened the Call for Comments entitled "No Innovation without Representation (A Parliament of things for the new Technical Democracies)". Conducted by the sociologist Massimiano Bucchi [ * ], it was connected with the invitation extended by the Bassetti Foundation and the Politecnico to the sociologist Bruno Latour to give a Lecture in Milan.
[28 February 2004] The interview by Margherita Fronte
Margherita Fronte with Bruno Latour
(Hotel De la Ville, Milan, 17 November 2003) The School of Doctoral Programs of Politecnico di Milano The video of the Lecture
This CfC, closed on 20 December, served to introduce, accompany and support the arguments covered by Latour in his essay "What rules of method for the new socio-scientific experiments?" and discussed in his lecture on 17 November.
In his essay, Latour touches on many of the key themes of his thinking: the increased participation of non-experts in the practice of science, the blurring of the borderlines between science and politics, the new forms of representation of technical and scientific innovation, and the emergence of "hybrid forums" (situations of governance where the representatives of "natural things", such as meteorological events or the discoveries of genetic engineering, and the representatives of human society both need to be taken into equal consideration), which should lead to new political arrangements being put in place.
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