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Nella sala conferenze di Palazzo Marini, presso la Camera dei Deputati, l'8 febbraio 2002 si è svolta la presentazione del Global Compact, il documento delle Nazioni Unite che traccia le linee guida per la "responsabilità sociale delle imprese". Benché siano già centinaia le aziende che, a partire dal luglio 2000, hanno aderito al Global Compact in tutto il mondo, alcune delle quali anche italiane, il documento e il progetto a esso collegato non erano mai stati formalmente presentati nel nostro Paese. L'obiettivo dell'evento romano, che è stato preceduto da altre venti presentazioni realizzate negli scorsi mesi nel mondo, era di far conoscere il documento delle Nazioni Unite alle imprese italiane, di favorirne l'adesione e di promuovere la nascita di un "Global Compact Learning Forum" che, in futuro, diffonda la conoscenza e la riflessione sulle tematiche del Global Compact anche in Italia.
Il ruolo di Cittadinanzattiva![]() |
L'incontro di Roma è stato organizzato da Cittadinanzattiva, un'organizzazione civica nata nel 1978 che lavora sui temi legati alla responsabilità sociale delle imprese da circa tre anni. E che ha contribuito alla realizzazione di un progetto europeo che ha portato alla produzione di "linee guida sulla cittadinanza d'impresa", presentato lo scorso anno all'ufficio del Global Compact di New York.
Proprio in quella occasione è nata l'idea che Cittadinanzattiva promuovesse insieme alle Nazioni Unite la presentazione del Global Compact in Italia. La presentazione di Roma è stata organizzata con la collaborazione del Forum per la Finanza Sostenibile, soggetto nato per promuovere e diffondere la conoscenza e l'utilizzo degli strumenti di finanza socialmente responsabile. Giovanni Moro, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha voluto ricordare nel suo intervento di apertura il World Economic Forum di New York e il World Social Forum di Porto Alegre, che si sono tenuti rispettivamente domenica 3 febbraio il primo, martedì 5 il secondo. "Due incontri apparentemente contrapposti, che si sono svolti, significativamente, al nord e al sud del pianeta", ha detto Moro, "ma che ci devono spingere a riflettere sui rapporti tra mondo delle imprese e società". Global Compact è proprio questo, un "hyperlink", come ama definirlo Frederick Dubee, senior officer del progetto delle Nazioni Unite, tra le aziende e la società, intesa nel senso più ampio del termine.
Un nuovo concetto di diritti umani
Dopo Giovanni Moro hanno preso la parola il senatore Enrico Pianetta, presidente della Commissione sui diritti umani del Senato della Repubblica, e Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare. Pianetta ha spiegato che la Commissione da lui presieduta è una naturale evoluzione del Comitato contro la pena di morte creato nella passata legislatura, ed è stata fortemente voluta da tutti i gruppi parlamentari. Oggi infatti il concetto di "diritti umani" si è allargato fino a comprendere anche quelli economici. sociali, sanitari, ha spiegato Pianetta. E per garantire che in tutte le società, compresa naturalmente quella italiana, questi diritti vengano garantiti, è indispensabile che le imprese abbiano, un ruolo "attivo". Che non si limitino cioè "a creare e distribuire ricchezza" ma che diffondano e aiutino a salvaguardare anche altri valori sociali. Secondo Pianetta, che ha ribadito l'impegno dell'attuale maggioranza su questi temi, per troppo tempo si è pensato all'impresa solo come a una "istituzione economica". In realtà il mondo delle aziende ha un ruolo sociale molto più complesso e per questo deve esistere, come suggerisce il Global Compact, una sorta di codice di deontologia imprenditoriale".
L'impegno del governo
Maurizio Sacconi ha ricordato che il governo Berlusconi ha già dato due concreti segnali di voler seguire la via della cooperazione tra imprese e società. Il primo fatto importante risale al G8 di Genova. Il presidente del Consiglio decise infatti di inserire nel programma dei lavori del vertice una giornata (il 19 luglio, il giorno prima dell'apertura ufficiale) in cui rappresentanti delle "parti sociali" dei Paesi presenti al G8 riuscirono, in via informale ma comunque fruttuosa, a scambiarsi opinioni su come collaborare. Il secondo fatto concreto è il Libro Bianco sul lavoro presentato dal ministro del Welfare Roberto Maroni lo scorso anno, in cui si ribadivano con grande forza i diritti del lavoro, specificando che essi dovevano essere "attivamente garantiti" non solo dallo Stato e dal governo, ma anche dalle imprese.
La nuova frontiera è l'etica
Antonio Colombo, direttore Area Impresa di Confindustria, ha spiegato che le imprese italiane sono oramai consapevoli di avere un ruolo non solo economico ma sociale, addirittura etico. E che linee guida come il Global Compact non vengono vissute dal mondo imprenditoriale come un'ingerenza o, peggio, una difficoltà, al contrario. Per illustrare il cambiamento in atto da qualche anno, Colombo ha citato l'esempio del settore biotecnologico, dove le imprese operano su una sorta di nuova "frontiera etica" e ad esse viene chiesto di avere un atteggiamento responsabile nei confronti della ricerca e della bioetica.
La globalizzazone è sostenibile?
L'intervento più significativo è stato quello di Frederick Dubee, senior officer di Global Compact. Egli ha spiegato che il progetto nasce da una domanda che il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, e molti con lui, si sono posti e si pongono: la globalizzazione è sostenibile? Non c'è dubbio, ha detto Dubee, che la globalizzazione ha prodotto ricchezza e opportunità, ma è altrettanto vero che non è stata in grado di distribuirla equamente. Stando così le cose, e se gli esempi del passato possono insegnarci qualcosa, la risposta alla domanda iniziale è no, il processo di globalizzazione come si è attuato fin ora non è sostenibile, perché crea troppe disuguaglianza.
Un nuovo concetto di "stakeholder"
Da questa constatazione nasce il Global Compact, che vuole rendere le imprese "responsabili" nei confronti di molti soggetti, i cosiddetti "stakeholder", coloro cioè che hanno, a svariato titolo, un interesse nell'impresa. Dubee ha spiegato che mentre una volta le aziende si rivolgevano prevalentemente a consumatori/clienti e azionisti, ora gli stakeholder sono molti di più, e verso ciascuna categoria esistono delle responsabilità da cui dipende il successo dell'azienda.
Essi sono:
1) I dipendenti. "Come amava ripetere un top manager della At&t, il colosso Usa delle telecomunicazioni", ha detto Dubee, "se offriremo lavori di seconda categoria, scarsamente soddisfacenti o scarsamente remunerati, avremo dipendenti di seconda categoria, e saremo un'azienda di seconda categoria".
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2) I clienti. Il caso più eclatante per spiegare l'importanza di questa categoria è quello di Nike. Quando si è saputo che l'azienda americana usava lavoro minorile sottopagato per produrre le sue famose scarpe nel Terzo mondo e poi venderle in Occidente, le vendite sono crollate. E Nike ha dovuto rivedere le sue scelte sulle sfruttamento del lavoro minorile.
3) Investitori. Anche questa categoria sempre più spesso vuole poter valutare le aziende anche dal punto di vista etico. Tanto che la borsa di Londra nel 2001 ha creato un indice apposito, l'FTSE4Good, che serve a chi vuole investire per avere informazioni sui comportamenti e gli standard etici di un'azienda. La stessa cosa aveva fatto la borsa di New York qualche anno fa, ricorda Dubee, introducendo il DJSI (Dow Jones Sustainability Index).
4) Fornitori. Qualsiasi azienda, per quanto piccola, dipende, per la qualità e gli standard dei suoi prodotti e servizi, anche dai fornitori. Solo se l'intero ciclo produttivo aderisce a linee guida di responsabilità, il prodotto finale potrà dirsi effettivamente "responsabile".
5) Comunità. Le aziende possono fare molto per la comunità in cui si trovano ad operare. Dubee ha citato il caso di una catena di supermercati brasiliani che ha stampato su tutti i sacchetti di plastica distribuiti alle casse i rimedi d'emergenza da adottare quando i bambini si disidratano. Una cosa che in molte parti del Brasile, per il clima e per le cattive abitudini alimentari, succede spesso e causa in molti casi la morte dei bambini. In questo modo la catena di supermercati ha reso molto più forte il rapporto di fiducia con la comunità. E ovviamente le vendite nei negozi sono aumentate.
6) Media. Le aziende devono sentire una responsabilità anche nei confronti dei media, che a loro volta devono essere attenti e consapevoli del loro ruolo. La parola chiave del nuovo millennio in fondo, dice Dubee, è "trasparenza". I giornalisti devono svolgere una funzione di "watch dog" nei confronti del mondo delle imprese.
7) Lo Stato. Come ricordato dal senatore Pianetta, lo Stato e il governo dei singoli Paesi non devono più considerare le imprese solo "soggetti economici" a cui far pagare tasse e su cui contare per la creazione di posti di lavoro; devono considerarle soggetti sociali a tutto tondo, con diritti e doveri non solo appunto, economici.
Fred Dubee riassume lo spirito del Global Compact dicendo che le aziende che operano nel mondo sviluppato, le donne e gli uomini che le guidano e quelli che vi lavorano, non possono più permettersi di pensare di vivere in un "mondo popolato da un miliardo di persone", quel miliardo di occidentali che possiede e sfrutta il 75% delle risorse del pianeta. Devono pensare di far parte di un "mondo popolato da sei miliardi di persone". Solo così la globalizzazione sopravviverà, cambiando, a se stessa.
Come nasce il Global Compact
Domenica 3 febbraio 2002, a conclusione del World Economic Forum di New York, Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite e premio Nobel per la pace 2001, ha lanciato un segnale molto importante. Egli ha invitato i delegati del vertice economico di Davos (in trasferta solo per quest'anno a New York) a dialogare con quelli del vertice "rivale", il World Social Forum di Porto Alegre, che si è chiuso due giorni dopo, martedì 5 febbraio. Annan ha richiesto di abbandonare lo scontro e cominciare ad ascoltarsi, a discutere insieme, a tenere conto delle ragioni degli altri.
Dietro l'invito un progetto concreto: il Global Compact
Il "progetto concreto" dietro l'invito di Kofi Annan è proprio il Global Compact. Il segretario generale delle Nazioni Unite presentò questo piano nel gennaio del 1999, in occasione del World Economic Forum di quell'anno, a Davos. Il piano venne poi ufficialmente presentato al quartier generale dell'Onu nel luglio 2000. Il Global Compact invita le imprese ad aderire a "nove principi universali" nelle aree dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell'ambiente.
I punti del Global Compact
Scopo del Global Compact è aiutare le organizzazioni a ridefinire le proprie strategie e il proprio comportamento in modo che tutti, e non solo pochi fortunati, possano godere dei benefici della globalizzazione. Occorre precisare però che il Global Compact non è uno strumento normativo, un codice di condotta obbligatorio o un forum per politiche e pratiche di management. Non è una sorta di "porto sicuro" che permetta alle aziende di sottoscrivere un impegno senza poi esser tenute a dimostrare un effettivo coinvolgimento e il raggiungimento di risultati concreti. Il Compact è, invece, una iniziativa volontaria che cerca di fornire un quadro globale per promuovere una crescita sostenibile e un senso di cittadinanza attraverso una leadership aziendale impegnata e "creativa". Ai manager infatti è affidato il compito di trovare il modo migliore per aderire ai nove principi sottoscritti, senza che questo vada a scapito del profitto aziendale. Il Global Compact richiede alle aziende di condividere, sostenere e applicare nella propria sfera di influenza un insieme di principi fondamentali, relativi a standard lavorativi, diritti umani e tutela dell'ambiente. Ciò significa che le aziende devono produrre cambiamenti positivi non solo nelle aree strettamente rilevanti per il proprio business.
Alle aziende è richiesto:
Nel campo dei diritti umani
l. di sostenere e rispettare i diritti umani nell'ambito delle rispettive sfere di influenza
2. di assicurarsi di non essere, seppur indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani
A tutela del lavoro
3. di garantire libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva
4. di assicurarsi di non impiegare lavoro forzato e obbligatorio
5. di astenersi dall'impiegare lavoro minorile
6. di eliminare ogni forma di discriminazione nelle loro politiche di assunzione e licenziamento
A favore dell'ambiente
7. di avere un approccio preventivo rispetto alle sfide ambientali
8. di promuovere iniziative per una maggiore responsabilità ambientale
9. di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che non danneggino l'ambiente
Gli "obblighi" di chi aderisce
Il Global Compact non è un club esclusivo; al contrario, è concepito come un forum aperto alla partecipazione di differenti gruppi di imprese e di varie organizzazioni.
Per aderire al Global Compact, un'azienda accetta però di:
- Produrre una esplicita e pubblica dichiarazione di sostegno al Global Compact e ai suoi nove principi. Ciò può avvenire in vari modi. Informando dipendenti, azionisti, clienti e fornitori; integrando il Global Compact e i nove principi nei programmi di sviluppo e di formazione; inserendo i principi del Global Compact nella propria "mission"; incorporando gli impegni del Global Compact nei propri Rapporti Annuali e in altri documenti pubblici; rendendo noto il proprio impegno attraverso comunicati stampa.
- Fornire, almeno una volta l'anno, un esempio concreto di ciò che è stato realizzato o appreso, la cui conoscenza sarà veicolata attraverso il sito delle Nazioni Unite.
Una sfida per tutti
Il futuro del Global Compact è una sfida per le aziende ma anche per la società civile: chiedere a banche, multinazionali, società petrolifere o di qualsiasi altro tipo di rispettare un codice "etico" anche in assenza di leggi e sanzioni, è un modo per impegnarsi a migliorare il mondo senza necessariamente diventare dei "contestatori". Questo sembra essere il messaggio di Kofi Annan., che nel luglio 2000 disse: "Scegliamo di unire il potere dei mercati all'autorevolezza degli ideali universalmente riconosciuti. Scegliamo di riconciliare la forza creativa dell'iniziativa privata con i bisogni dei più svantaggiati e le esigenze delle generazioni future."
Un caso italiano
Nel maggio del 2001 il gruppo Unicredito Italiano ha presentato alla comunità degli analisti, alla stampa e ai principali "stakeholder" il primo "Bilancio Sociale ed Ambientale". E si è trattato anche del primo esempio nel panorama delle aziende italiane.
Il documento (scaricabile dal sito di Unicredit) contiene dati e informazioni che definiscono il quadro delle attività svolte dal gruppo e dei loro riflessi sul piano della politica sociale, ambientale e della sicurezza. L'obiettivo dichiarato è quello di offrire un contributo a uno "sviluppo sostenibile". Per questa prima edizione, il Bilancio era riferito alla Capogruppo e al Credito Italiano, ma in futuro, forse già da quest'anno, potrebbe essere adottato anche dalle altre banche federate del gruppo.
Due mesi dopo Unicredito, nel luglio del 2001, un altro gruppo bancario, Monte dei Paschi di Siena, ha presentato a sua volta un bilancio sociale. L'attenzione del gruppo toscano alle tematiche sociali e ambientali è dimostrata del resto anche dall'adesione alla dichiarazione Unep, il programma dell'Onu per l'ambiente. .
Il Monte è stata infatti la prima banca italiana a firmare la dichiarazione degli istituti finanziari sull'ambiente e lo sviluppo sostenibile, seguita da Unicredit.
Il caso più interessante resta comunque quello del gruppo guidato da Alessandro Profumo, perché il Bilancio è stato compilato seguendo, in sostanza, anche le indicazioni del Global Compact, il documento messo a punto dalle Nazioni Unite per promuovere la "responsabilità sociale delle aziende".
Il Bilancio Sociale ed Ambientale di Unicredit è suddiviso al suo interno in tre capitoli. Nel primo è illustrata l'identità e la "vision" del gruppo, come prescrive il documento delle Nazioni Unite: principi guida e missione, che includono l'impegno verso la società e lo sviluppo sostenibile. Nella seconda parte è presentata la capogruppo, UniCredito Italiano: ruolo, funzioni e sistema di "gestione integrato". La terza parte è dedicata al Credito Italiano e all'applicazione del sistema di gestione integrato, un sistema messo a punto per dare concretezza agli scopi che si prefigge il gruppo.
L'obiettivo che caratterizza il Bilancio Sociale e Ambientale di UniCredito Italiano è infatti promuovere un modello di sviluppo sostenibile, un obiettivo che si concretizza con un progetto: il "Sistema di Gestione Integrato Ambiente e Sicurezza". L'idea è di contribuire al miglioramento delle performance ambientali agendo direttamente sugli impatti derivanti dalle attività aziendali (ridurre i consumi di carta, energia elettrica, differenziare i rifiuti), ma soprattutto cercando di orientare verso una maggiore sostenibilità i clienti (offrendo servizi di credito mirato, adottando politiche di investimento che premino chi si impegna nel campo dell'ambiente e del sociale, inserendo criteri di valutazione ambientale nelle politiche creditizie) e fornitori (privilegiando prodotti e servizi più ambientalmente compatibili) e collaborando strettamente con le istituzioni, le organizzazioni della cittadinanza attiva e il mondo della ricerca. Il documento vuole essere però anche un adeguato strumento di comunicazione degli obiettivi e degli impegni assunti nel campo della responsabilità sociale d'impresa.
Indice di sostenibilità
UniCredito Italiano del resto è entrato per il secondo anno consecutivo tra le imprese quotate nel Dow Jones Sustainability Group Index, l'indice mondiale promosso dell'americana Dow Jones e della svizzera Sam (Sustainability Asset Management) che misura il grado di responsabilità sociale delle imprese. UniCredito Italiano resta quindi l'unica società italiana sulle 312 aziende di 25 paesi giudicate socialmente e ambientalmente responsabili.
L'europeo FTSE4Good, l'indice che ammette solo imprese "environmentally and socially correct", lanciato nel luglio 2001 dal quotidiano Financial Times e dalla borsa di Londra, il London Stock Exchange, ha inoltre giudicato corretta UniCredito Italiano e l'ha inserita sia nell'indice europeo (Europe 50 Index) sia in quello mondiale (Global Index).
Siti utili
Il sito del Global Compact: http://www.unglobalcompact.org/
Il sito di Cittadinanzattiva: http://www.cittadinanzattiva.it/
Il testo del messaggio di Kofi Annan alle Nazioni Unite: http://www.unglobalcompact.org/un/gc/unweb.nsf/content/wef_sg.htm
Il sito di Unicredit: http://www.unicredit.it