Lo scorso settembre Fondazione Giannino Bassetti ha avuto il piacere di ospitare Federica Lucivero, senior researcher al Centro Ethox al Big Data Institute dell’Università di Oxford e coordinatrice del network Digital Health al King’s College di Londra, per una lecture dal titolo “Health apps tra medicina e lifestyle”.
Federica Lucivero si occupa di etica, studi sociali e filosofia della scienza, in particolare nell’ambito dell’e-health, e la sua ricerca integra questioni teoriche e metodologiche con indagini empiriche.
Rendiamo disponibili video, podcast, sintesi, slide e foto dell’incontro.
Protagoniste del seminario tenutosi presso la Fondazione sono state le tecnologie informatiche emergenti applicate al contesto sanitario (app per la salute, sensori indossabili, portali online) e le questioni di responsabilità e di governance che nascono dall’ambiguità normativa dei device che si collocano al confine tra la sfera sanitaria e quella del lifestyle. Siamo di fronte a strumenti tecno-scientifici che appartengono al dominio della medicina, e come tali sono configurabili e regolabili con norme, prassi e certificazioni tipiche di questo ambito? O siamo di fronte a oggetti che si insinuano nelle intercapedini di diversi mondi, che spesso sfruttano questa zona grigia?
Come ha ricordato Angela Simone nell’introduzione al dialogo con Federica Lucivero, il tema è per Fondazione Giannino Bassetti di enorme interesse, per diverse ragioni. Una di queste è l’intersezione di questa discussione con il dibattito sulla precision medicine – a sua volta protagonista del progetto europeo SMART-map, di cui la Fondazione è partner – che chiama in campo nuovi attori, tradizionalmente non ascrivibili al campo della medicina, come i cittadini o i big player dell’ICT.
La domanda per chi si occupa di Responsible Innovation diventa allora: quale può essere l’istituzione che può compiere quello che il sociologo Gieryn chiama il boundary-work, ovvero l’azione di tracciare la linea di demarcazione tra ciò che è scientifico e tecnologico e ciò che non lo è, o è appena aldilà del confine? Il legislatore fatica a stare al passo ai cambiamenti portati dall’innovazione, in questo come in altri ambiti, e spesso sono le aule dei tribunali, sollecitate dalla società, a decidere se e dove tracciare questo confine.
m-Health: esempi e definizioni
Federica Lucivero ci ha guidato in questa riflessione sull’ambiguità normativa e le difficoltà di governance connesse alla cosiddetta mobile health partendo da tre oggetti:
1) il noto Apple Watch, un orologio intelligente dotato di sensori che registrano parametri fisiologici e su cui è possibile scaricare, ad esempio, app che monitorano l’attività fisica o l’idratazione;
2) Sleepio: una app destinata alle persone con disturbi del sonno che può essere consigliata dai medici di base oppure comprata autonomamente online o in farmacia;
3) Ginger.io una app che fornisce assistenza completa h24 alle persone che soffrono di stress, ansia o depressione e che in caso di necessità attiva gli assistenti sanitari chiedendo un intervento.
Si tratta solo di alcuni esempi, che ci aiutano a capire come il mondo mHealth (mobile health) includa dispositivi di automonitoraggio che vengono utilizzati per esigenze legate alla sfera sanitaria tanto quanto a quella del benessere. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Commissione Europea hanno tentato di definire l’mHealth:
“mHealth is a component of eHealth [….] medical and public health practice supported by mobile devices, such as mobile phones, patient monitoring devices, personal digital assistants (PDAs) and other wireless devices“.
WHO (2011), Global Observatory for eHealth
“mHealth also includes applications (hereafter apps) such as lifestyle and wellbeing apps * ”
* “lifestyle and wellbeing apps primarily include apps intended to directly or indirectly maintain or improve healthy behaviors, quality of life and wellbeing of individuals“.
European Commission (2014), GREEN PAPER on mobile Health (“mHealth”), COM (2014) 219, Brussels.
Queste definizioni evidenziano che la sfera dell’mHealth racchiude strumenti e strategie molto diversi tra loro, che possiamo utilizzare come promemoria per farmaci, per monitorare il sonno, o come supporto per gli operatori sanitari. Molte delle applicazioni per il benessere sono progettate come strumenti per consentire agli individui di cambiare stile di vita al fine di migliorare la propria salute: mangiare bene, fare esercizio fisico, dormire meglio, fumare meno, definire il momento più adatto per il concepimento.
In questo contesto, l’attuale distinzione normativa tra ciò che è medico e ciò che non lo è richiede di essere ripensata. Siamo infatti di fronte a un fenomeno tutt’altro che di nicchia e in continua crescita, basti pensare che nel 2017 le applicazioni per la salute e il benessere disponibili nell’app store erano circa 259 mila. Enti pubblici e privati stanno investendo moltissimo in questi strumenti, anche in virtù delle promesse dell’mHealth, tra cui:
1) il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria, grazie soprattutto al monitoraggio continuo di pazienti cronici o ad alto rischio o al raggiungimento di pazienti che vivono in aree remote;
2) la riduzione delle spese sanitarie, per esempio limitando il numero delle visite ospedaliere;
3) la democratizzazione del settore sanitario attraverso una forma di autogestione della malattia, attraverso l’empowerment, la partecipazione, l’attivazione e la responsabilizzazione dei pazienti nelle scelte operative legate al proprio percorso terapeutico.
Le app per la salute e il benessere stanno modellando gli immaginari tecnosociali e sono moltissimi gli stakeholders che stanno investendo in questo settore, da piccole-medie imprese a multinazionali come Google, Apple o IBM. Anche il sistema sanitario inglese (NHS) si sta interessando allo sviluppo e all’acquisto di strumenti per l’mHealth e alcune compagnie assicurative possono monitorare lo stile di vita dei propri clienti e offrire premi e incentivi a chi vive in maniera più salutare, ad esempio connettendo il profilo assicurativo a quello delle fidelity card dei supermercati.
Difficoltà di governance
Nel corso del seminario, Federica Lucivero ha evidenziato tre principali difficoltà di governance.
1) Sicurezza e certificazione.
I dati devono essere validi e affidabili. Alcuni enti, come FDA e CE, stanno cercando di capire come certificarne la qualità. Stiamo parlando di strumenti che stanno entrando a pieno diritto nel quotidiano dei sistemi sanitari, che richiedono quindi una certificazione più affidabile di quella che avviene ad opera degli utenti sugli appstore.
2) Protezione dei dati.
Questi device raccolgono moltissimi dati in tempo reale e pongono importanti questioni di privacy anche perché il confine tra dati sensibili e dati non sensibili è sempre più sfumato, dal momento che le abitudini e lo stile di vita posso essere identificati come fattori di rischio per la salute. In un report del 2015 l’Autorità Olandese per la Privacy ha denunciato delle violazioni a seguito della raccolta di dati di Nike attraverso l’app Nike+ Running, ma l’azienda ha contestato il rapporto dichiarando che i sensori non raccolgono dati sensibili sulla salute dell’utente, perché l’analisi viene effettuata a livello aggregato.
3) Responsabilità civile.
Dalla produzione del device, alla raccolta di dati, le applicazioni mHealth coinvolgono diversi attori, ad esempio il produttore, l’utente, l’operatore sanitario. In caso di malfunzionamento, di chi è la responsabilità? Siamo di fronte a prodotti e possiamo identificare una responsabilità diretta del produttore? O siamo di fronte a servizi e a responsabilità distribuite?
Le tre difficoltà di governance menzionate sono alcuni esempi che ci aiutano a capire le sfide che il legislatore si trova oggi ad affrontare per regolamentare le app per la salute e il benessere. E la causa di questa difficoltà risiede nel carattere ibrido di questa applicazioni. Le categorie utilizzate fino ad oggi (health e wellbeing) sono inadeguate perché sono messe in discussione dagli oggetti stessi che vogliamo regolamentare.
Come sostiene l’antropologa Mary Douglas nel suo libro “Purity and danger” (1966), c’è una stretta relazione tra sistemi simbolici e ordine sociale, quest’ultimo fondato su concetti dicotomici come vita/morte, malato/sano, uomo/donna, che hanno un valore epistemico e morale. I fenomeni che sfuggono al sistema simbolico che regola l’ordine sociale – o perché rientrano in due categorie considerate mutualmente esclusive, o perché fuori luogo – vengono trattati come tabù. Pensiamo ai divieti alimentari e al loro legame con l’ambiguità normativa: l’anguilla, serpente marino, tra acqua e terra, genera incertezza. La natura ibrida è spesso considerata “sporca” e porta spesso a divieti e al rafforzamento delle categorie esistenti.
Lo stesso tentativo di “addomesticare” ciò cui ci troviamo di fronte e di ricondurlo a categorie preesistenti avviene anche con la tecnologia. I dispositivi indossabili sfuggono alle nostre categorie e in qualche modo anche al nostro ordine simbolico, che prevede un dominio medico, altamente regolamentato, differenziato dal dominio del lifestyle, del tempo libero e del gioco. Le app per la salute sono a cavallo tra due categorie normativamente, e moralmente, diverse, che richiedono controlli di sicurezza diversi e certificazioni diverse. Ma fino a che punto possiamo avere successo se tentiamo di addomesticarli? Lucivero propone un’altra via: quella del ripensamento di queste stesse categorie. Tra difficoltà di governance e carattere ibrido delle tecnologie in ambito mHealth c’è infatti un legame molto forte, che richiede di riflettere sulle categorie esistenti.
1) Sicurezza e certificazione.
La distinzione tra dominio medico-sanitario e dominio delle preferenze individuali (lifestyle) apre questioni importanti in termini di gestione del rischio. Alcune app sono oggi considerate come veri e propri dispositivi medici, altre no. L’area grigia che si è creata è vasta e ci impone di ripensare i criteri normativi utilizzati fino ad ora. Un nuovo approccio adottato in Francia e Catalogna prevede di fare valutazioni sul rischio di queste nuove tecnologie anche in base al contesto d’uso del device. Anche la distinzione tra criteri oggettivi e soggettivi perde senso e va rivista.
2) Responsabilità civile: competenze mediche (expertise) vs esperienza (experience).
Fino ad oggi siamo stati abituati ad operare una distinzione netta tra gli esperti che gestiscono un corpo di conoscenze, prendendo decisioni, e i pazienti, che mancano di tali competenze. I medici sono tradizionalmente stati guardiani della conoscenza e della pratica clinica, ma le app per la salute e il benessere attribuiscono ai pazienti un nuovo ruolo, più centrale e proattivo. Capita sempre più spesso che il paziente arrivi al consulto medico con più informazioni rispetto al personal clinico e i medici assumono in alcuni casi un ruolo diverso da quello per cui sono stati formati. Spesso si assiste una ridistribuzione di ruoli e responsabilità e questo è fondamentale quando si parla di liability connessa al malfunzionamento delle app.
3) Protezione dei dati.
Con la medicina preventiva, la quotidianità entra sempre più a far parte della sfera della salute e la differenza tra dati sensibili e dati non sensibili diventa sempre più sfocata. Una mela non è più dolce o aspra, ma è piena di vitamine; così come una corsa diventa una certa quantità di calorie bruciate. Le app di monitoraggio del nostro stile di vita favoriscono l’ingresso della quotidianità nel dominio medico. Dati fisiologici, informazioni su hobby, routine o indirizzo di residenza possono essere utilizzati per fare inferenze sulla salute di una persona e la categoria del dato sanitario si espande fino quasi a perdere senso. Dati che in passato non erano considerati sensibili diventano indicatori di uno stile di vita sano o poco sano e nell’era della produzione incessante di dati tramite cellulari o sensori in un’era in cui anche lista della spesa può essere un fattore di rischio, la protezione dei dati personali non sarà garantita finché non ripenseremo queste classificazioni.
Una riflessione sull’mHealth e sulle difficoltà di governance derivante dall’ambiguità normativa di tecnologie ibride come le app per la salute e il benessere è senza dubbio urgente e rappresenta un’occasione per ripensare le categorie che abbiamo utilizzato fino ad oggi. Siamo di fronte a questioni importanti, che richiedono riflessioni concettuali ed etico-filosofiche, perché riguardano la nostra idea di bene, di giusto, di diritto, di dovere e di responsabilità. Per concludere: è importante che riconosciamo che il nostro ordine simbolico deve essere rivisto e che cogliamo l’opportunità sollevata da queste sfide legislative come una possibilità per interrogarci su queste categorie e sul loro significato in un mondo che cambia.
A seguito della lecture la web tv Triwu ha intervistato Federica Lucivero sui temi della lecture: “Health Apps: la medicina del futuro alla Fondazione Bassetti. Presso la Fondazione Bassetti ha avuto luogo un incontro sul tema della medicina del futuro: tra applicazioni, big data e “democratizzazione” della salute”. 21 settembre 2017.
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Le slide dell’incontro si trovano qui.
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Alcune fotografie dell’evento:
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