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domenica, settembre 18, 2005

 Crichton e il riscaldamento globale

--- posted by Gian Maria Borrello ---

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Ho ripercorso il dibattito apertosi qualche tempo fa a seguito dell'ampio spazio che "Il Corriere della Sera" del 9 gennaio 2005 aveva dato, in prima pagina, all'ultimo romanzo di Crichton, "Stato di paura", nel quale il romanziere sostiene la causa anti-ambientalista: si veda, nel sito della Fondazione Bassetti, il mio commento all'articolo di Luciano Butti "A favore del Principio di precauzione per far fronte ai possibili rischi del Riscaldamento globale".

La reazione del presidente del WWF, Gianfranco Bologna e del prof. Marino Gatto (ordinario di ecologia al Politecnico di Milano e presidente della Societa Italiana di Ecologia --S.It.E.-- che, tra le altre cariche, riveste anche quella di membro del Comitato Scientifico del WWF Italia) non si era fatta attendere.

Dalla pagina del sito del WWF intitolata "Catastrofismo ambientalista o negazionismo? Il caso Crichton" (richiamata anche dal sito ecoblog.it in "State of Fear, gli ambientalisti fanno paura?", dove si può seguire il forum aperto in argomento) è possibile raggiungere i documenti (eccetto l'articolo di Sartori del 17 agosto) dei quali riporto qui sotto alcuni brani.

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Inquinamento da ignoranza
Effetto serra e scelte politiche
di Giovanni Sartori
Corriere della Sera del 16 gennaio 2005


«Il fumo di sigaretta fa male ai polmoni? Certo che fa male. Ma è proprio sicuro che faccia male? Novanta specialisti di malattie polmonari su cento risponderanno di sì (mia stima), ma dieci risponderanno che la scienza deve sempre dubitare e quindi che loro non sono sicuri. D'altronde c'è anche chi sostiene che il fumo fa bene. Prenda e porti a casa, ministro Sirchia. Del pari, è proprio sicuro che le nostre città siano sempre più avvelenate da polveri sottili e quindi da uno smog urbano che ci fa respirare male? I soliti novanta risponderanno di sì; ma i soliti dieci risponderanno che proprio non si sa, visto che le misurazioni sono lacunose e insufficienti.
[...]
Ma è vero che l'inquinamento crescente dell'atmosfera da anidride carbonica e altri svariati gas produce un effetto serra che riscalda la terra e che di conseguenza modifica il clima, le piogge, le siccità e quant'altro? Oppure questo scenario è soltanto uno spauracchio agitato da allarmisti pagati da sinistri interessi? Secondo quasi tutti i competenti è molto verosimile. E questa volta la stima non è mia; è di Donald Kennedy, direttore dell'autorevole rivista Science , che scrive così: "Il 90 per cento della comunità scientifica è convinta della gravità della situazione ambientale"»


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Crichton, Kyoto e i lietopensanti
di Giovanni Sartori
Corriere della Sera del 17 agosto 2005


«Quest'anno fa già furore il romanzo Lo Stato di Paura di Crichton, la cui tesi è che il riscaldamento globale è l'invenzione di scienziati e giornalisti al servizio di interessi politici ed economici il cui proposito è di preservare "i vantaggi politici dell'Occidente e favorire il moderno imperialismo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo"»

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Michael Crichton: esempio di catastrofismo antiambientale (documento in formato PDF)
di Marino Gatto


«Crichton dice che la correlazione tra inquinamento ed effetto serra non è mai stata dimostrata e che nessuno può predire con esattezza quali temperature avremo tra 100 anni. Qui il romanziere dimostra di non capire il concetto di rischio. Quando dico il fumo fa male non vuol dire che chiunque fumi un pacchetto di sigarette al giorno morirà sicuramente di tumore al polmone, ma che la probabilità di morte precoce è grandemente aumentata dal fumo.
[...]
come ha detto Tony Blair, assumendo la presidenza del G8, in una bella intervista all'Economist del 29 dicembre, i due obiettivi di evitare il riscaldamento globale e di avere acqua pulita non sono mutuamente esclusivi.
[...]
La scienza ecologica non soltanto allerta in anticipo l'umanità sui possibili problemi ambientali, ma, in collaborazione con altre discipline, offre concrete soluzioni a tali problemi, anche nel brevissimo periodo. Già adesso si può produrre energia con centrali termoelettriche ad alto rendimento basate su cicli combinati a gas naturale invece che con vecchi impianti; i veicoli ibridi, che permettono di risparmiare fino a metà del carburante, sono una realtà, come dimostrato dalla Toyota Prius, dichiarata automobile dell'anno e disponibile a un prezzo concorrenziale con le vetture tradizionali; i clorofluorocarburi, dannosi per l'ozono stratosferico, sono stati facilmente sostituiti nei frigoriferi da gas molto meno inquinanti. La coscienza ambientale è un formidabile generatore di innovazione e la lista delle scoperte e delle invenzioni legate all'ambiente è lunghissima.»


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"Cambiamenti climatici: la lobby degli scettici in Gran Bretagna subisce l'influenza delle industrie petrolifere USA".
di Robert May
La lobby che nega il cambiamento climatico, finanziata dall'industria petrolifera statunitense, è giunta nel Regno Unito. Lo scrive su "The Guardian" il 27 gennaio 2005 il Presidente della Royal Society (articolo tradotto in italiano)


[L'articolo cita la "Global Climate Coalition" e mi è venuto in mente che era citata, tempo fa, anche in un Percorso interno al sito della Fondazione Bassetti, quello intitolato "Caso 'Ford', ovvero: perché all'impresa l'essere responsabile dovrebbe convenire?"]

«La situazione è dunque la seguente. Da un lato l'IPCC, le più importanti organizzazioni scientifiche di tutto il mondo e il consulente scientifico principale del governo ribadiscono la necessità di tagliare le emissioni. Dall'altro lato un gruppetto di scettici, inclusi i lobbisti finanziati dall'industria statunitense del petrolio, uno scrittore di fantascienza e il Daily Mail rifiutano di ammettere che gli scienziati hanno ragione. Sembra di essere tornati ai tempi della lobby del tabacco, che cercava di persuaderci che il fumo non provoca il cancro ai polmoni.»

[Anche questa citazione mi ha ricordato un Percorso svolto tempo addietro nel sito della Fondazione Bassetti: "Caso 'Tabacco', ovvero: processo all'industria del tabacco"

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"Oil firms fund climate change 'denial'"
David Adam, science correspondent
Thursday January 27, 2005
The Guardian


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"Cambiamenti climatici, il ruolo insostituibile della comunità scientifica"
di Gianfranco Bologna


Intervento del Direttore Scientifico del WWF Italia sul dibattito in corso sui cambiamenti climatici, in risposta ad un articolo di Emilio Gerelli (Il Sole 24 Ore)

«Il premio Nobel Paul Crutzen, grande studioso di Earth System Science, ha proposto sulle pagine di "Nature" nel 2002, di indicare un nuovo periodo geologico che partirebbe dall'inizio della Rivoluzione Industriale ad oggi, da definire Antropocene, proprio per rimarcare lo straordinario ruolo che una singola specie ha sin qui avuto nello stravolgere equilibri dinamici preesistenti, fatto che sappiamo non essersi mai verificato prima nella storia della vita sulla Terra.
[...]
Ovviamente vi è molto altro da aggiungere sulle conclusioni della comunità scientifica internazionale ma non vi è dubbio che qualsiasi tentativo di negare quanto sopra ricordato assomiglia più a tutti gli sforzi fatti dall'industria del tabacco per tacitare le ricerche sui danni del fumo che all'avvio di un sereno ed obiettivo dibattito.
[...]
Lomborg non può decidere le priorità del pianeta ascoltando il parere di nove pur bravi economisti. Dove sono gli ecologi, i climatologi, i geologi, in pratica gli studiosi dell'Earth System Science, e tutto quello che hanno da dire in merito?»
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martedì, settembre 13, 2005

 Principio di precauzione, ovvero un metodo decisionale che si colloca fra due estremi: demagogia e scientismo

--- posted by Gian Maria Borrello ---

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Nel post di Gavino Zucca del 26 agosto ho trovato molto interessante --e lo ritengo particolarmente significativo sul piano dell'interpretazione-- che il Principio di precauzione derivi, linguisticamente e semanticamente, dal "Vorsorgeprinzip":
«Il Vorsorgeprinzip riconosceva la necessità da parte delle autorità governative di intervenire per la salvaguardia dell'ambiente, in un'ottica di cura e protezione per le generazioni presenti e per quelle future, anche in mancanza di prove scientifiche sufficientemente certe sull'effettiva esistenza di una relazione tra una determinata causa e un effetto ambientale. Può essere utile osservare che il termine tedesco Vorsorge combina la cautela con il prendersi cura del futuro, ed è composto dal prefisso vor, che indica un anticipo temporale, e Sorge, che significa preoccupazione, pensiero, apprensione, ma anche cura, premura, sollecitudine. Corrispondentemente, il verbo vorsorgen significa sostanzialmente preoccuparsi e prendersi cura di qualcosa in anticipo. C'è qualcosa di più e di diverso rispetto alla semplice azione preventiva: una sorta di cura del futuro, nell'idea che si abbia la responsabilità di gestire bene ciò che abbiamo ricevuto dai nostri antenati per consegnarlo alle generazioni future in condizioni possibilmente non peggiori di come l'abbiamo trovato. Non si può non vedere in tutto ciò, a mio parere, un legame con l'idea di Jonas di una responsabilità etica verso le generazioni future.»

Inoltre, dello stesso post credo che sia particolamente opportuna la puntuale ed efficace spiegazione della collocazione storica del Principio.

Un altro passaggio che ho trovato particolarmente illuminante è il seguente, perché avvicina a quella che è la funzione del Principio, che secondo una certa impostazione (in merito, v. il mio post del 13 agosto) sarebbe di compromesso, mentre a parer mio è semplicemente di mediazione politica e, in particolare, di governance:
«La comunicazione assegna un ruolo importante alla valutazione scientifica, ma soprattutto in relazione alla decisione circa quali misure intraprendere, poiché è nella natura di questi rischi potenziali che le conoscenze scientifiche in merito siano insufficienti o inconcludenti al fine di poterne stabilire la plausibilità. [...] Il problema in realtà non è quello di un uso della conoscenza scientifica, ma di integrare nelle decisioni politiche tutti i possibili tipi di conoscenza che possono essere utili per prendere una decisione che sia buona da un punto di vista adattativo. [...] Tuttavia un ricorso ad analisi scientifiche è inevitabile anche da un puro punto di vista politico, non fosse altro che per far fronte alle possibili accuse di protezionismo o di violazione delle regole del WTO»
Per lo stesso motivo mi pare particolarmente efficace l'uso delle espressioni "fatti morbidi" e "valori duri", visto che esprime in estrema sintesi i termini delle questioni a cui si applicherebbe il Principio di precauzione; o, per essere più preciso, delle questioni in relazione alle quali il politico si troverebbe investito di onere decisionale e --proprio come il giudice che non può decidere... di non decidere-- dovrebbe poter disporre di un criterio tale da legittimare le sue decisioni. Il politico "di turno" ha bisogno di un paradigma che sia il più possibile condiviso (e quindi legittimante: da qui l'importanza della Comunicazione della Commissione U.E., che del Principio fornisce --diciamo così-- l'interpretazione autentica) e che gli consenta di fare delle scelte perfettibili sì, ma che si possano pur sempre chiamare "decisioni prese" e non "decisioni rinviate" (e, anche in questo, mi pare palese il divario con l'opinione che critica il Principio proprio perché esso sarebbe in grado di favorire delle "non scelte" spacciandole per decisioni, cioè solo scelte morbide e malleabili a seconda dei rapporti di forza).

Infine, proprio allo scopo di individuare una messa a fuoco del Principio che sia conforme alle intenzioni espresse nei documenti ufficiali che lo hanno formalizzato credo che sia particolarmente importante quanto Zucca sottolinea
riguardo allo scopo del Principio di precauzione, che è di pervenire a decisioni che siano "buone" in senso adattivo, il che significa
«in grado di garantire il successo, o quanto meno di evitare l'insuccesso, del gruppo che la prende.»
In questo senso, direi, è più che evidente che l'essenza ultima del Principio è eminentemente politica: dire "decisioni 'buone' in senso adattivo" corrisponderebbe a dire "decisioni che godano del consenso democratico".

Non attribuiamo al Principio di precauzione compiti che non ha: esso è soltanto un metodo, un'impostazione per ottenere un quadro decisionale.

E' chiaro che tutto si gioca poi sul fronte dei fatti: è piuttosto difficile che il consenso possa esistere e perdurare se le decisioni non sono confortate da un fondamento scientifico; in altri termini: devono reggere alla prova dei fatti (oltre che alla prova... degli interessi di parte).

Ed è evidente, quindi, che al Principio possono essere giustificatamente mosse critiche di demagogia, o --sul fronte opposto e per tutt'altri motivi-- di servilismo ad interessi economici di stampo lobbistico, ma --direi-- queste dovrebbero attenere più che al Principio in sè, alla sua messa in atto (che appartiene ad altro ordine di riflessioni).
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lunedì, settembre 12, 2005

 Principio di precauzione: intervento di Luciano Butti

--- posted by Gian Maria Borrello ---

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Nel sito della Fondazione Bassetti, Luciano Butti è intervenuto ieri con riferimento ai tre post precedenti a questo. I tre post precedenti:
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