Il 16 maggio 2022, in via Barozzi, in collaborazione con Fondazione Ravasi Garzanti e come primo evento del ciclo “Longevità e Innovazione”, abbiamo ospitato Chiara Saraceno, sul tema Invecchiare, tra immaginario e realtà.
Il fenomeno demografico (longevità, innovazione sociale, welfare) e il fenomeno innovativo (tecnoscienza) si incontrano e si scontrano nella realtà, reclamando:
scelte valoriali per individui e collettività;
scelte etiche per le tecnoscienze;
scelte finalistiche per la società civile e i corpi intermedi;
scelte politiche per le istituzioni e per il public;
scelte economiche, organizzative e di scala per il mercato.
L’azione delle fondazioni – siano esse filantropiche, di ricerca o Civil Society Organization – è quindi sfidata negli obiettivi, nel metodo e nella scala.
Come ha spiegato Francesco Samorè, segretario generale di Fondazione Bassetti, si tratta di favorire processi di innesco: presa consapevolezza delle dinamiche in atto, vogliamo cimentarci sulla realizzabilità e replicabilità, a più larga scala, di fatti. Non gestendo direttamente servizi, ma garantendo collegamenti.
Il metodo consiste nel presentare pubblicamente temi di interesse collettivo che, partendo dall’invecchiamento e dalla longevity, si alimentino delle prassi e degli strumenti della responsible innovation.
Senso, distribuzione delle risorse e delle opportunità, ecco cosa auspichiamo di promuovere attraverso la collaborazione tra Fondazioni. Felice Scalvini, direttore di Fondazione Ravasi Garzanti, ha ricordato che il loro posizionamento, con la missione di servire la popolazione anziana di Milano, coniuga il livello micro – un piccolo laboratorio per venti anziani con grave deterioramento cognitivo -, un livello meso, sostenendo sperimentazioni per fornire alle famiglie servizi evoluti, un livello macro, di analisi e supporto alle politiche.
Nessun progetto è costruito in solitaria: come Curami & Proteggimi, avviato insieme ad altre realtà cooperative e del terzo settore; o come il rapporto con altre città, per esempio Monza, per confrontare le esperienze su scala larga e media; e come l’approfondimento culturale, con il rapporto istituito con Fondazione Bassetti.
La direttrice scientifica di Fondazione Ravasi Garzanti, Elisabetta Donati, ha introdotto Chiara Saraceno, tra le più importanti studiose italiane, capace di coniugare la sociologia al diritto, all’antropologia, alla scienza politica. Saraceno è un’intellettuale che si è mossa in diversi ambiti disciplinari, confrontandosi in modo rigoroso con plurimi approcci teorici, dando linfa alla sociologia italiana e ricoprendo incarichi istituzionali ed accademici in Italia e all’estero.
Vecchiaia come fatto dinamico, afferma subito Saraceno. Vecchiaie definite dalle biografie, costruite nel passare degli anni. Non è vero che la vecchiaia appiattisce, infragilendo tutti alla stessa maniera. Le diseguaglianze sociali, testimoniate dai dati epidemiologici sulla speranza di vita a seconda della professione svolta, in Italia sono notevoli. La cesura del pensionamento, pure, è netta o meno a seconda del tipo di lavoro svolto. E poi i generi: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma con minor speranza di vita in buona salute.
Quindi la prospettiva longitudinale è importante non solo dal punto di vista medico, né solo da quello previdenziale (accumulare contributi in vista della pensione) ma anche da quello relazionale: la possibilità di coltivare le proprie reti sociali nel corso della vita è fondamentale per non trascorrere la vecchiaia in solitudine. Anche qui incide il genere: l’isolamento in età anziana per un maschio è molto più frequente che per le donne, testimoniano le ricerche, in particolare quando è intervenuta una separazione (e ciò proprio per le modalità delle relazioni maschili, che nei decenni precedenti si sono concentrati sulle relazioni professionali, meno su quelle di compresenza più praticate dalle donne).
Pensando ai redditi – prosegue Saraceno – i pensionati non sono tutti assimilabili a una situazione di bisogno. In Italia, gli ultrasessantacinquenni, che fino alla metà degli anni Novanta erano i più esposti alla povertà assoluta, nel 2021 sono i meno esposti. Ciò ha molto a che fare con le politiche, improntate più facilmente al sostegno dei pensionati che non a quello dei minorenni.
L’Italia è il paese più anziano d’Europa: quello in cui l’incidenza degli ultraottantenni è la più alta. Nonostante Covid-19, in vent’anni è aumentata di nove anni la speranza di vita in buona salute (anche qui: non distribuita omogeneamente tra i ceti sociali).
C’è un aspetto della vecchiaia come costruzione nel tempo che forse non è stato abbastanza messo a fuoco. La sociologia statunitense parla di linked lifes – vite intrecciate – perché la biografia è un fenomeno relazionale, che agisce in molteplici direzioni. Avviene anche (come Saraceno “scoprì” a Trento, durante una ricerca di vari anni fa) che si decida la genitorialità in base ai desideri di altri membri della famiglia: il caso del nonno che, in fin di vita, esprime il desiderio di avere nipoti, ottenendo così che i figli anticipino l’arrivo dei figli. La vita come fascio di traiettorie, sì, ma anche come incrocio mutualmente condizionante tra le nostre traiettorie e quelle altrui.
La dimensione della mutata demografia è condizionata anche dal dopo di noi: la vecchiaia di un genitore di figlio disabile può essere condizionata sia in termini economici, sia in termini psicologici (la consapevolezza di non poter essere accuditi come genitori anziani). E non tutto è prevedibile, non sempre si è attrezzati.
Insomma, la vecchiaia è un’età dinamica, esposta a imprevisti. E perciò le politiche dovrebbero essere non solo più attente alle diseguaglianze, ma anche più sensibili alla variabilità delle vecchiaie. Bello il sistema tedesco di assicurazione obbligatoria per la non autosufficienza in età anziana; chi non può permettersela viene assicurato con risorse pubbliche. In Germania, a differenza del nostro assegno di accompagnamento, (la cui valutazione è discrezionale e territoriale, con rischi di appropriatezza), hanno quattro o cinque livelli standardizzati, accedendo ai quali si può scegliere se fruire di denaro o servizi. Ma è un sistema – afferma Saraceno che lo ha studiato a fondo – molto rigido: passare da un livello all’altro è molto complicato.
In conclusione, non possiamo essere generici nella definizione della condizione anziana. L’età a rischio andrebbe “spostata” almeno ai settantacinque anni, ma ciò detto, le fasi dell’invecchiamento chiedono strumenti adattivi e flessibili.
Elisabetta Donati, reagendo all’intervento di Saraceno, ragiona sul fatto che l’età anziana è quella di cui conosciamo meno; allora abbiamo collettivamente categorizzato. Popolazione e società – domanda Donati all’assessore al welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertolé – sono un vincolo ai processi di innovazione?
Lamberto Bertolé, per rispondere, comincia da una nota biografica: da presidente del consiglio comunale, qualche anno fa, lanciò un laboratorio sul futuro della città, cui parteciparono sia Saraceno sia, per esempio, Enrico Giovannini. Il problema delle classi dirigenti è essere schiacciati sul presente, in logica emergenziale, perennemente “sorpresa” dagli accadimenti. Già prima della pandemia (amplificatore e acceleratore di processi) si sarebbe potuto, osservando le tendenze demografiche, formulare delle previsioni: come quella sulla cronicità, che aumenta con l’allungamento dell’età della vita, così come la solitudine (le reti di protezione informale vengono gradualmente meno). Allora l’agenda delle politiche può tentare di anticipare?
Nel 2017 ci si chiedeva, per esempio, se l’offerta delle RSA può essere affiancata da strumenti articolati come il senior housing. Milano è effervescente nella produzione di risposte; lenta nella connessione tra le sperimentazioni esistenti.
Il territorio, poi, dovrebbe sollecitarci a una visione meno prestazionale e individuale – la filiera di assistenza domiciliare, sociale e sanitaria muove su binari paralleli – che attinga alle reti, alzando lo sguardo. Una dimensione di medio periodo – i prossimi vent’anni – che superi alcuni tabù: pensando alle tariffe, l’abbonamento ai mezzi pubblici di Milano ha una tariffa bassissima per uomini over 65 e donne over 60, ma non tiene conto delle differenze di reddito. Situazione difficile da ritoccare in una logica di consenso. Saremo presto costretti dai numeri a confrontarci con l’esplosione della domanda di welfare: occorre, conclude l’assessore Bertolé, un’attenzione alle priorità in direzione dell’equità. Un discorso pubblico avanzato può aiutare.
Rendiamo disponibili qui di seguito i video completi degli interventi, il podcast e alcune fotografie del seminario.
——————–