I cinque scritti di Veca, raccolti a ricordo di Guido Venosta e a commento di un suo breve saggio, Dal profit al non profit, affrontano con dovizia di richiami e conferme di autori antichi, moderni e contemporanei un dilemma destinato a rimanere tale, ovvero destinato ad essere riproposto indefinitamente senza mai poter essere accantonato – come invece è accaduto e accade a tanti dilemmi meno vitali.
Il dilemma è espresso dal titolo, e in particolare da quella congiunzione “e” tra i due termini etica e verità. Qual è il rapporto tra i due, sono deducibili l’uno dall’altro, c’è un prima e un poi, è il dover essere che governa la scienza dell’essere, o è questa che alla fine determina quello?
Il primo dei due saggi composti per l’occasione propone la lezione di Socrate, che cerca una via di uscita dal contrasto tra i filosofi della natura – gli antichi scienziati greci – e i sofisti, che pretendono di insegnare come si debba vivere. La risposta di Socrate, ripresa dai Puzzle socratici di Nozick, è che “una vita senza esame non è degna di essere vissuta”, dove l’esame – che… non finisce mai – si appunta proprio sul rapporto tra scienza e responsabilità morale.
Il secondo saggio riprende i due famosi testi di Weber su scienza e politica come vocazione, in cui si distingue tra l’etica della responsabilità, che considera le conseguenze, e l’etica della convinzione, che ne prescinde. Le due coesistono, e bisogna prenderne atto. Veca considera poi il Principio Responsabilità di Hans Jonas, che propone un’etica per l’età della tecnologia, e poi il Principio Speranza di Bloch, e poi l’uomo antiquato di Anders, ricavandone ancora una conferma della irriducibilità del dilemma tra fatti e valori. Veca fa comunque suo l’invito di Jonas a salvaguardare questo mondo abitabile, con tutta la ricchezza delle opportunità mantenute aperte grazie all’opzione pluralista.
Il terzo saggio riprende la presentazione di un libro in cui due autori francesi, un filosofo e un biologo (un nipote di Socrate e un nipote di Darwin, come li chiama Veca) dialogano intorno alle rispettive discipline non proprio scambiandosi i ruoli, ma cercando di intendere fino in fondo le ragioni dell’altro, pur rivendicando la propria totale autonomia e indipendenza. Non tutto è riducibile a biologia… e non tutto e riducibile a filosofia. Siamo di nuovo alla opposizione irrisolta e alla convivenza forzata – non necessariamente infelice – tra scienza e filosofia, essere e dover essere.
Il quarto saggio deriva dalla postfazione all’edizione italiana di due conferenze di Mumford intitolate ai personaggi della Tempesta, il selvaggio Calibano, che ha dominato la prima metà del secolo XX (le conferenze sono del 1954) asservendo la scienza e la tecnologia al dominio dell’odio e della violenza, e il saggio Prospero, di cui è necessario rafforzare i poteri per contrastare l’assolutismo e la tirannide della scienza.
Anche nelle tesi di Mumford Veca vede sotteso un richiamo alla pluralità dei valori, che non possono essere tutti riassorbiti in un riduzionismo scientifico ignaro dei fini e dei ricordi. Quei ricordi che è mestiere del filosofo “mettere insieme per un determinato scopo”: qui Veca cita Wittgenstein, che considera “il più grande ed elusivo filosofo del XX secolo”. Il saggio si conclude riproponendo l’invito di Mumford a partecipare alla costruzione di una civiltà propriamente umana, pur consapevoli dei limiti dell’impresa.
Il quinto è il più lungo dei cinque saggi, solo ingannevolmente brevi, tanto sono densi di richiami e citazioni appena accennate. Riprende il contributo a un numero monografico della “Rivista di filosofia” intitolato Cultura scientifica e politiche della ricerca. Si tratta di una apologia della scienza contro chi ne denuncia la cecità rispetto ai fini e vorrebbe quindi metterla sotto la tutela della politica, o addirittura condannarla senza appello per la sua malizia intrinseca, evidente soprattutto nelle manipolazioni genetiche avversate dalla bioetica.
Per Veca queste posizioni critiche più o meno radicali nei confronti della scienza assolvono spesso la funzione consolatoria di ideologie o di “beni di identificazione collettiva”, non di rado associati al revival religioso che si oppone alla cultura secolarizzata. Ci sono naturalmente diverse sfumature e gradi di condanna, con gli inevitabili riconoscimenti del valore della scienza e dei suoi progressi, quando debitamente ordinati da una “metafisica correttiva, apprestata alla luce della migliore informazione” che la scienza può mettere a disposizione.
E’ questo l’orientamento di fondo che guida la riflessione di Veca, declinata in diverse possibili “compagnie” ricercate tra i pensatori antichi e recenti – soprattutto gli analitici – che tengono fermo il legame più o meno manifesto e più o meno ritardato nel tempo tra scienza e valori.
Le sue simpatie vanno in particolare alla posizione di Nozick, di cui propone due volte, nel secondo e nel quinto saggio, una lunga citazione dall’ultimo capitolo delle Spiegazioni filosofiche. Vi si dice che l’attuale dominio delle scienze, che non lascia spazio al valore o al significato e minaccia la legittimità delle discipline umanistiche, porta al risultato paradossale di una immagine rimpicciolita dell’uomo, “trastullo patetico e meschino di forze sottratte al suo controllo” che “… non lascia spazio nemmeno ai creatori della scienza stessa”.
In realtà, se è vero che l’impresa scientifica è “una delle poche cose di cui possiamo gloriarci”, è necessario accettare la necessità di una continua tensione tra gli ultimi esiti della scienza e i valori ereditati da credenze e scienze precedenti, indaffarati a riparare sempre navigando una barca che non ne vuol sapere di porti sicuri.
Il libro si chiude con un richiamo a Guido Venosta, che distingueva tra la vocazione “orizzontale” dell’Associazione da lui creata (l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), che doveva essere capace di parlare e farsi intendere da due milioni di persone, e la vocazione “verticale” della Fondazione complementare, come “ente di pensiero e di proposta di pensiero”: ancora una volta etica e verità, distinte e non separate.
Volume pubblicato da Giampiero Casagrande editore, Milano-Lugano, pp. 112 – Euro 10