La responsabilità può, e di fatto viene declinata in molti modi. In ogni caso i punti di riferimento sono sempre dati dalla dicotomia weberiana fra etica della responsabilità ed etica dei principi.
In un mondo che, per dirla alla Baumann, diventa sempre più liquido e dove i confini fra le diverse impostazioni ideali più che demarcare con linee precise le diversità, diventano sempre più ampie linee grigie dominate dall’incertezza, non può essere che così.
Nel concreto: appellarsi al principio di precauzione vuol dire rifarsi all’etica della responsabilità (riflettiamo sulle conseguenze), ma nella sua applicazione più esasperata (tutto è vietato) ci fa ricadere nell’etica dei principi.
Nell’articolo di Vaclav Havel “I Don Chisciotte del XXI secolo” apparso su La repubblica del 13 novembre 2007 la responsabilità verso il mondo viene ripensata non in riferimento ad una razionalità data ed esterna all’individuo, ma come elemento della biografia di ciascuna persona.
‘E’ fatalmente legata a ciò che è “oltre’ ogni “oltre”: all’assoluto, all’intera memoria dell’esistenza, all’ultimo e supremo giudizio, al senso di tutto ciò che esiste. La sola cosa importante per la nostra responsabilità è quale traccia lasceremo. Tutto il resto è superfluo’.
Significativo è il riferimento alla propria esperienza di dissidente politico:
‘Quando ero in carcere e molti mi chiedevano perché mi ci trovavo, quando bastava così poco per non esserci, ho riflettuto molto sulla responsabilità e le ho dedicato molta attenzione nelle mie lettere a casa.
Finalmente di ritorno, ho scritto un saggio intitolato Responsabilità come destino.
Si tratta di una rifessione sul Dizionario dei sogni di Vaculik, che a quei tempi era un bestseller ufficioso e che mi sembrava in primo luogo un libro su un uomo infastidito, annoiato e enormemente frenato dalla propria responsabilità (da dissidente) dalla quale non riusciva a liberarsi, probabilmente proprio perché lo vincolava, come un suo destino, nelle sfere più profonde del mondo profano che ci diverte, che ci incomoda, che ci sorprende, che ci irrita, che ci frena o che ci disturba’.
Se interpreto correttamente il pensiero di Havel, la responsabilità viene intesa come istanza morale verso i destini del mondo, una specie di religione del dovere che siamo tenuti a testimoniare. Ma se la testimonianza può esse considerata come la parte passiva della responsabilità, vi è anche la parte attiva che si esplica nel tentativo di realizzare il destino del mondo.
A questo punto Havel coglie il labile confine fra testimonianza e impegno:
‘Esiste un confine molto labile tra forzata responsabilità per il mondo e ossessione. E talvolta, molte volte troppo tardi, l’ammirazione per l’immensa volontà altruistica di aiutare il mondo si trasforma nell’orrore di uno strano bagliore che sprizza dagli occhi dell’ammirato’.
Per evitare che la responsabilità per i destini del mondo si muti in ossessione maniacale per modellarlo ex novo per Havel:
‘C’è un solo modo: la leggerezza. Quanto più gli obiettivi che persegue l’uomo sono impegnativi, tanto più dovrebbero essere visti da una prospettiva più alta. L’uomo dovrebbe essere in grado di percepire le dimensioni grottesche delle proprie azioni, saperci riflettere e valutarle con distacco, ironia, scetticismo’.
In un certo senso prima che gli altri ci deridano per le nostre ossessioni, impariamo a sorridere di noi stessi.
‘Credo semplicemente che gli altruisti, avvertendo la responsabilità per tutto il mondo e gettandosi ripetutamente, accompagnati dalle beffe, nelle proprie avventure donchisciottesche, nell’interesse proprio e in quello generale, dovrebbero saper ridere di se stessi.’
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