Sulla Gazzetta di Parma del 2 maggio, Maria Mataluno nell’articolo “Cloni senza frontiere” intervista Alberto Oliverio in occasione dell’uscita del saggio “Dove ci porta la scienza” (Laterza, 156 pagine, 12,00 euro), dove lo psicobiologo della Sapienza tenta di definire il confine tra le incredibili opportunità aperte dalle ultime scoperte scientifiche e i rischi che esse portano con sé.
‘Il progresso è per sua natura ambivalente, perché per portare benessere e prosperità chiede immancabilmente qualcosa in cambio. L’uomo ha sempre cercato di controllare la natura, compresa la natura umana. Anche in epoche in cui si pensa esistesse un’armonia tra uomo e natura, come l’età del bronzo, gli uomini incendiavano i boschi per lasciare spazio a case e campi coltivati, andavano a caccia e sfruttavano insensatamente le risorse naturali.’
Se l’armonia fra un uomo e natura appartiene al mito dell’età oro, il progresso tecnico scientifico del giorno d’oggi riveste di nuove luci e nuove ombre il rapporto dell’uomo con la natura:
‘Con l’avvento delle tecnologie legate alla riproduzione, la nostra concezione dell’essere umano è diventata più aderente alla sua realtà biologica. […] E’ anche vero, però, che questo indubbio passo avanti, rendendo sempre più labile il confine tra mondo naturale e mondo artificiale, rischia di promuovere una concezione meccanicistica dell’uomo, visto come un essere fatto di parti che si possono togliere e sostituire a piacimento’.
Se la scienza ha un ruolo decisamente importante, occorre, però, non considerare la conoscenza scientifica come l’unica chiave di lettura del mondo:
‘Il compito della scienza è di dare una delle spiegazioni possibili della realtà. Una spiegazione che, per quanto importante, non escluda altre forme di interpretazione’.