L’eugenetica e il mercato: la preoccupazione di Habermas
«Solo se la nascita dell’uomo avviene secondo natura, e non è a nostra disposizione, gli uomini possono considerarsi liberi e uguali tra loro». Così Thomas Assheuer riassume la posizione di Jürgen Habermas relativamente alle prospettive dell’ingegneria genetica, in una intervista apparsa su La Repubblica del 22 gennaio.
La cautela del filosofo tedesco è da correlare ai timori per le conseguenze dell’"eugenetica liberale"; infatti, se è vero che i progressi della biogenetica e della tecnologia genetica promettono molte opportunità, come il trattamento di malattie finora incurabili, resta il fatto che «nell’ambito delle società liberali simili procedimenti di mutamento delle caratteristiche genetiche verrebbero lasciati attraverso il mercato alla scelta individuale dei genitori».
La preoccupazione di Habermas è conseguenza della sua filosofia politica che non vede nel mercato sufficienti capacità redistributive, d’altra parte già Einaudi aveva scritto che il mercato alloca le risorse in funzione della domanda e non dei bisogni, a livello di opinione pubblica; passando perciò dall’ambito dei bisogni socio-economici alle speranze della biogenetica, Habermas si chiede chi «può giustificare decisioni che influiscono senza appello sulla futura vita sociale di un’altra persona… anche in caso di "beni genetici fondamentali" come una buona memoria o l’intelligenza».
E se per uno scienziato della politica la domanda che sorge, «quando determinate pratiche rese possibili dai progressi della tecnologia genetica vanno a minare il concetto che abbiamo di noi come individui», è come integrare «i concetti universali di diritto e di morale con la scienza la tecnica e l’economia», la preoccupazione di Habermas si trasforma a livello di opinione pubblica in un atteggiamento ambiguo verso la scienza e gli scienziati.
La percezione del pubblico riguardo la scienza e la tecnologia in Europa: il sondaggio Eurobarometer
Su Il Sole 24 Ore di domenica 27 gennaio, Gilberto Corbellini nell’articolo "Cresce la sfiducia negli esperti" riporta una sintesi dell’ultimo sondaggio Eurobarometer "Europeans, science and technology", incentrato sulla percezione della scienza e della tecnologia in Europa.
Nel sondaggio Eurobarometer, che presenta aree di contiguità con quello promosso dalla Fondazione Bassetti (v. il Percorso "La società del rischio"; poiché i risultati del sondaggio saranno fruibili fra circa un mese, sarà interessante confrontare concordanze e discordanze) emerge chiaramente quella che possiamo considerare come l’ambiguità di fondo che governa l’atteggiamento del cittadino-consumatore nei confronti della tecnologia e della scienza. Di fronte ad un interesse mediamente alto (43,5%), si osserva che però più del 60% ha come principale fonte di informazione i programmi televisivi; ne consegue un circolo autoreferenziale con un trade off negativo fra interesse-informazione e conoscenza. Infatti, data la particolare forma del linguaggio televisivo e le necessità dell’audience, rispetto all’approfondimento viene privilegiato l’evento, e quindi non è casuale che l’attenzione maggiore (più del 70%) sia dedicata a tematiche come quella della "mucca pazza" o dell’"effetto serra", che presentano un forte impatto emotivo. Sull’influenza della televisione a trasformare «in maniera profonda ogni tipo di discorso pubblico, cambiando il nostro modo di percepire la realtà», cfr. Roberto Bertinetti "C’era una volta il cittadino, ora è un telespettatore" (Il Messaggero, 2 febbraio).
Se però dall’interesse e dalla conoscenza passiamo a considerare la valutazione del pubblico europeo in relazione al miglioramento della vita quotidiana, lo sviluppo tecnico e scientifico viene visto come un fattore decisamente positivo, anche se per la maggioranza non risolutivo di problemi quali la fame nel mondo (52%) o l’esauribilità delle risorse della terra (61,3%).
L’opinione del pubblico sulla responsabilità degli scienziati
Questo atteggiamento "laico", importante sì ma non esaustivo si riflette nella valutazione della responsabilità. Alla domanda se gli scienziati sono responsabili degli usi negativi che si fanno delle loro scoperte, le risposte positive sono del 42,8% a fronte di un 42,3% di risposte negative. Mentre nettamente maggioritari (80,3%) sono coloro che ritengono che gli scienziati devono essere formalmente obbligati dalle autorità a rispettare le norme etiche.
L’opinione del pubblico sulla responsabilità di un evento specifico come l’epidemia di BSE
Di fronte a un fatto specifico come quello della mucca pazza, la maggioranza (74,3%) ritiene che la responsabilità sia dell’industria agroalimentare, seguono i politici con il 68,6%, gli agricoltori con il 59,1% e infine gli scienziati con il 50,6%. Da notare che ben il 44,6% affermano di mancare di informazioni per definire delle responsabilità.
Dai casi generali a quelli specifici: la fiducia nei professionisti
In un certo senso, si può dire che più dai casi generali si passa a casi specifici, dove l’informazione è più immediata, o meno mediata, aumenta il grado di fiducia nelle professioni che possiedono una dimensione tecnico-scientifica. I medici godono della stima del 71,1%, seguono gli scienziati e gli ingegneri. Da notare che tra le professioni meno stimate, appena al di sopra dei politici, vi sono i giudici, gli avvocati, i giornalisti e gli uomini di affari. E’ facile intuire che la posizione di preminenza del medico sia dovuto ad un rapporto più diretto che normalmente si ha con il medico pittosto che con un ingegnere o un uomo di scienza in generale. Questa ipotesi è corroborata dalle risposte che vengono date per il caso di "catastrofe nel vostro quartiere o vicinato" gli uomini di scienza contano sulla fiducia del 62,7% mentre i medici per il 55,3%, inoltre più dei politici contano le organizzazioni di protezione dell’ambiente e dei consumatori.
Fiducia "sub condicione"
Tutto sommato, ne emerge un quadro più che di sfiducia, come vorrebbe il titolo dell’articolo di Corbellini, di fiducia "sub condicione" verso la scienza e gli scienziati; per esempio più dell’80% degli intervistati ritengono che gli scienziati debbano comunicare meglio le loro conoscenze ed informare con più precisione sugli eventuali rischi dei progressi scientifici e tecnologici.
Anche il paragrafo che tratta della disaffezione dei giovani verso la scienza conferma questa sensazione di fiducia "sub condicione", mentre, infatti, solo il 29,9% ritiene che la disaffezione dipenda dalla cattiva immagine della scienza, la maggior parte denuncia la "mancanza di attrattiva degli studi scientifici" (59,5%), la "difficoltà della materia" (55%), lo "scarso interesse per i soggetti scientifici" (49,6%) e le insufficienti prospettive di carriera (42,4%).
La divaricazione tra società civile e scienza
Tutto ciò conferma l’impressione che esista un gap fra società civile e scienza, come scrive Corbellini «considerando quale percezione gli scienziati hanno invece di se stessi, del pubblico e delle modalità di comunicazione della scienza, la divaricazione sta assumendo contorni preoccupanti».
Divaricazione confermata dai dati della sezione sugli obiettivi della ricerca. Nel complesso la maggioranza si esprime a favore di una migliore organizzazione della ricerca e di una migliore cooperazione fra le diverse istituzioni e fra ricerca pubblica e industria. Significativo è che la maggior parte degli intervistati con un livello più elevato di conoscenze, nel cui range è perciò presumibile la presenza di persone in qualche modo collegate al mondo della scienza, non ritengono prioritari gli interessi dei ricercatori e pensano che debbano essere tenute nella doverosa considerazione le questioni etiche.
Vittorio Bertolini, 2002
(fotografia: Juergen Habermas – di Wolfram Huke da Wikimedia Commons)