1. La crisi della BSE in Germania
Che cosa hanno in comune la BSE, la catastrofe climatica, il crollo dei mercati finanziari nell’Asia orientale (1998), gli alimenti modificati geneticamente, la richiesta di "flessibilizzazione" del mercato del lavoro, la perorazione per l’uso universale della tecnologia genetica e della genetica umana? Rappresentano tutti un cambiamento fondamentale della società moderna da una società fiduciosa nel progresso, chiusa in Stati-Nazione, disposta attorno al problema fondamentale della distribuzione di ricchezze o beni (goods), ad una società dei rischio transnazionale, dove al centro si sposta la distribuzione di mali (bads). Così "flessibilizzazione" significa anche distribuzione dei rischi sulle spalle degli individui da parte dello Stato e dell’economia. Ma gli stessi politici che oggi, messi di fronte all’accusa pubblica per la BSE, promettono che una cosa del genere non succederà più, aprono con l’altra mano il vaso di Pandora liberalizzando le tecnologia genetica o la nanotecnologia, e lo fanno quasi senza precauzioni, in ogni caso senza alcuna copertura assicurativa privata.
La Germania sotto la crisi della "mucca pazza": felici coloro che non sanno come nascono le leggi e gli insaccati di manzo (per i tedeschi Würste), dice un proverbio "cinese". È difficile afferrare lo "scandalo" degli avvenimenti in Germania con le secche formule veterinarie. L’evento appare nelle sue dimensioni soltanto quando si mettono in relazione da una parte le condizioni di sicurezza altamente sviluppate nella Repubblica Federale, che per esempio nel caso di iniziative da parte di asili privati richiede l’osservazione di prescrizioni tecnico-assicurative altamente dettagliate, e dall’altra il crollo improvviso dell’idillio nazionale costruito attorno al würstel: nell’orizzonte del sapere diffuso dai mass-media riguardo la possibile onnipresenza degli agenti patogeni BSE diviene chiaro che il consumo di alimenti è diventato un nuovo genere di roulette russa, e questo accade addirittura con la collaborazione attiva di ministro e autorità preposti alla salute dei cittadini.
Forse la probabilità di "fare una vincita", cioè di morire per quell’orribile spappolamento del cervello, non è più elevata di quella di fare cinquina al lotto, però questa è una lotteria cui nessuno può sottrarsi. Proprio così: ciascuno deve riconoscere che senza saperlo, fidandosi dell’idillio pubblicamente dichiarato al riparo dalla BSE, ha preso parte già da anni a questa lotteria mortale, attraverso il consumo di carne e würstel.
2. Castelli di carta, costrizioni di fatto
Siamo esposti a questo rischio quotidiano della vita perché i nostri sensi non sono in grado di rivelarcelo. Gli esperti cui dovremmo rivolgerci sono in parte discreditati, perché al momento giusto non hanno suonato l’allarme, e del resto un maggior numero di esperti e più ricerca non significano automaticamente più sapere e più sicuro, quando si tratta di questo genere di rischi altamente complessi, bensì maggiori controversie e ignoranza condannata. Così, nonostante i notevoli sforzi di ricerca, sappiamo soltanto che non sappiamo come si sviluppano le catene di contagio, quali tempi di incubazione ci si possano attendere, e se alla fine solo in Europa ci saranno 500 o 500.000 morti, o ancora di più. Parte dello shock legato alla BSE consiste anche nel riconoscere che le promesse di sicurezza da parte della scienza, della politica e dell’industria si reggono sulle sabbie mobili dell’ignoranza conclamata.
La società del rischio è dunque un’epoca della civiltà in cui decisioni che toccano la vita di milioni di persone vengono prese sulla base di un’ignoranza conclamata. Se gli esperti si decidessero finalmente a rivelare e annunciare pubblicamente questo stato di cose, ne guadagnerebbero sicuramente in credibilità. Trust me, I am a doctor non è più soltanto lo scherzo ricorrente dei film di Hollywood.
Ciò che dunque colpisce nei pericoli della BSE non è la loro superficie tecnico-medica, quanto l’idea che una società sotto lo shock del rischio viene posta in una situazione pressoché rivoluzionaria in cui – nel momento storico dell’attenzione legata ai mass-media – ferree costrizioni di fatto e coalizioni di potere crollano su se stesse come castelli di carta. Si ricordi: pochi giorni dopo che la farina animale è stata etichettata pubblicamente come un probabile mezzo di circolazione degli agenti patogeni, essa era già stata vietata, attraverso l’iter legislativo più veloce nella storia della Germania. La coalizione di potere che univa il ministero dell’agricoltura e l’industria alimentare, e che per anni aveva ostacolato questo divieto generale, in pratica non esisteva più. Ancora: il divieto di nutrire bovini con farina animale sussisteva in tutta Europa già dal 1994. Questa legge frettolosa fu però un mezzo inefficace contro l’epidemia, sebbene si rivelasse un buon strumento per prevenire l’agitazione pubblica e l’ulteriore diffusione dell’epidemia a suini, pesci, ovini, e così via. Ricercatori che si occupano dell’Africa riferiscono sul significato crescente della "stregoneria" modernizzata in tutti gli ambiti della società, cosa che gli europei illuminati sono soliti ritenere ridicola. Ma cos’altro rappresenta, nel quadro dell’ignoranza generale, la cremazione di massa dei bovini sospetti di BSE, se non il rogo sacrificale della civiltà occidentale per placare il dio consumatore e riconquistare la sua fiducia?
Oltre a ciò, la scoperta del pericolo rende tutti dei convertiti. Perfino amanti fondamentalisti della bistecca e dei würstel divengono vegetariani coatti e fittizi, perlomeno per quanto riguarda la loro coscienza privata. Confessano davanti a se stessi i propri peccati di carne passati e sperano in una vendita delle indulgenze post hoc, mentre per il momento, in mancanza d’altro, stendono la mano verso formaggio e insalata.
La probabilità politica di una vincita alla roulette dei bovini è certamente molto più alta per i (ir-)responsabili politici. Se aveva ancora un senso scagliarsi contro l’isteria da rischio dei verdi, dei tedeschi e di alcuni esperti, improvvisamente questo stesso argomentare e comportamento può essere considerato quasi criminale. Il primo ministro bavarese Stoiber non ha quasi mai perso l’occasione di additare come nemici del progresso tutti coloro che indicano i rischi della tecnologia moderna. Corrispondentemente, la sua politica di governo è improntata a un’ignoranza istituzionalizzata nei confronti di qualunque considerazione del rischio. Come moltissimi altri ha infranto la prima legge della politica sul rischio, quella che suona: la negazione dei rischi è una delle cause principali del loro fiorire, crescere, e prosperare.
Se le informazioni della Commissione europea sono esatte, nonostante il divieto, in Baviera si è impiegata farina animale su larga scala, e dato che ci sono dei funzionari responsabili dei controlli sulle numerose fabbriche bavaresi di farina animale, costoro hanno evidentemente svolto il loro dovere con i paraocchi.
Invece, il cancelliere Schröder si è mosso con notevole senso dell’esplosività politica connessa ai conflitti sul rischio, cosa che del resto non dovrebbe riuscire difficile ai politici che tengano conto dei loro interesse primario, basato sulla considerazione che il numero di elettori che mangiano carne e würstel è sensibilmente più elevato rispetto a quello degli allevatorí e industriali che li producono. Dunque il cancelliere critica l’industria agraria e sollecita un ripensamento della politica economica, e il ministro della sanità Fischer rincara la dose: invita i tedeschi a un cambiamento radicale dello stile di vita e delle abitudini alimentari.
3. Nessun test, nessuna malattia
Si deve senza dubbio trarre una conseguenza: il cancelliere Schröder non potrà sostenere il suo ministro dell’agricoltura. La politica di Funke è assurda. La sua prima e unica misura per la prevenzione della BSE è consistita proprio nel non prendere nemmeno in considerazione le misure per comprendere la portata del fenomeno e per combatterlo, con il risultato che gli anni della prevenzione attiva sono diventati gli anni del pericolo attivo. La sua è una (non-)politica dell’ignoranza, che segue la logica del guarire con le preghiere: nessun test, nessuna BSE. Il suo malinteso spirito di lobby ora minaccia l’agricoltura tedesca alle radici, e i consumatori di insaccati tedeschi in tutto il mondo.
La domanda chiave è sempre la stessa, come possiamo decidere in condizioni di conclamata ignoranza? La conversione politica dovuta alla crisi della "mucca pazza" si può ricondurre a due principi: finora, incantati dalla fede nel progresso industriale, si è risposto secondo il motto in dubio contra dubium. Nel dubbio contro il dubbio. Questo significa che l’onere della prova ricade su coloro che indicano i rischi; se non riescono a "dimostrarli", vuol dire che i rischi non esistono, e produzione e consumo di massa hanno via libera. Il principio opposto, che diviene sempre più evidente in una società del rischio capace di senso critico, suona invece in dubio pro dubio, nel dubbio per il dubbio – dunque per il consumatore.
In altre parole, in una società che comprende e critica se stessa come una società del rischio, il gigante che dorme dei consumatori comincia a dispiegare il suo potere. La politica e lo Stato si vedono costretti a tenere conto di questa nuova consapevolezza dei consumatori critici. Dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl è stato istituito il ministero dell’ambiente. Allora perché non istituire – dopo che la crisi della BSE è stata negata, in modo ancora non chiarito, crisi della quale siamo soltanto agli inizi – un "ministero del consumo o dei consumatori" che sostituisca il ministero dell’agricoltura nelle competenze da subordinare alla difesa del consumatore? Potrebbe contribuire meglio del rogo dei bovini a far riguadagnare la fiducia a lungo termine dei consumatori agli agricoltori messi alla gogna e alla discreditata industria alimentare. Allo stesso tempo, la politica potrebbe in questo modo riaffermare e sviluppare la propria autonomia nei confronti dell’economia che agisce su scala transnazionale.
Infatti c’è uno sconfitto nella crisi della BSE, ed è la politica neoliberista. Su questo caso esemplare – l’industria degli alimenti – naufraga il dogma secondo cui la massimizzazione degli interessi capitalistici è connessa indissolubilmente con quella del bene comune dei consumatori. La crisi insegna proprio il contrario: se la politica non si decide a prendersi cura degli interessi vitali dei consumatori e a difenderli e proteggerli dalla cosiddetta razionalità economica delle industrie della carne, la roulette dei bovini si generalizza. Ciò che a prima vista sembra una disfatta della politica potrebbe essere convertito in una fonte della sua rivitalizzazione.
Negli anni passati sono state liberalizzate industrie sottoposte a stretta regolamentazione; le telecomunicazioni sono l’esempio principale, altri sono l’energia, gli alimenti, le finanze. La concorrenza liberatasi ha messo in conflitto, le une con le altre, le istanze nazionali di regolamentazione giuridica, ma nel frattempo con la libera circolazione delle merci il problema si è trasposto su scala globale. Grazie all’ignoranza del ministro dell’agricoltura, la BSE adesso minaccia anche paesi extraeuropei, e già oggi si intravedono ulteriori fonti di crisi e conflitti: alimenti modificati geneticamente, forse le regolamentazioni globali dell’ambiente e del lavoro. E qui si mostra l’altra faccia della politica neoliberista: la prima marea delle deregolamentazioni nazionali impone una seconda ondata di riregolamentazioni transnazionali. Si richiede cioè proprio ciò che negli anni Novanta veniva svalutato: una politica consapevole, fantasiosa, e Stati forti, di modo che in futuro si possa evitare di non accorgersi di altre crisi della "mucca pazza".
4. Società del Rischio globale?
È stata fatta spesso l’obiezione che simili discorsi sulla società del rischio globale incoraggino una sorta di neo-spenglerismo e blocchino l’azione politica, ma in effetti si tratta del contrario. Una società del rischio globale che si auto-comprenda è riflessiva in tre sensi. Innanzitutto, la società diviene tema e problema per se stessa: pericoli globali stabiliscono reciprocità globali, e cominciano a prendere forma proprio i contorni di una (potenziale) sfera pubblica mondiale. In secondo luogo, la percezione di un’auto-minaccia globale della civiltà scatena un impulso che la politica può plasmare verso lo sviluppo di istituzioni che cooperino su scala internazionale. Terzo, i confini del politico si avviano a essere messi da parte: appaiono costellazioni di una sottopolitica al tempo stesso globale e diretta, e che relativizza o circoscrive le coordinate e le coalizioni della politica degli Stati-Nazione; questa sottopolitica può condurre ad "alleanze mondiali sulla base di credenze che si escludono reciprocamente". In altre parole, "la società cosmopolita" (Kant) può assumere la forma che è richiesta dalla consapevolezza di un’inevitabile società del rischio globale.
Naturalmente, il semplice fatto di percepire il mondo sotto la minaccia ecologica implica che si debba pensare quest’ultima in termini scientifici. La coscienza ecologica quotidiana è perciò l’esatto opposto di una qualche coscienza "naturale": è una visione del mondo completamente scientifica, in cui formule chimiche determinano il comportamento quotidiano.
Malgrado ciò, nessun esperto potrà mai rispondere alla domanda: come vogliamo vivere? Ciò che le persone sono o non sono disposte a continuare ad accettare non segue da una diagnosi tecnica o ecologica dei pericoli, ma deve piuttosto divenire l’oggetto di un dialogo globale fra le culture. Ed è questo, precisamente, ciò che si rivela lo scopo di un’ulteriore prospettiva, associata alla scienza della cultura. Qui la dimensione e l’impellenza della crisi ecologica dipendono da percezioni e valutazioni interculturali.
Che genere di verità è quella – potremmo chiederci con Montaigne che finisce sul confine francese e viene dunque considerata come una pura illusione? I pericoli, sembrerebbe, non esistono "in se stessi", indipendentemente dalle nostre percezioni. Divengono una questione politica soltanto quando le persone in generale li avvertono; sono costruzioni sociali definite strategicamente, occultati o drammatizzati nella sfera pubblica con l’aiuto di materiale scientifico fornito allo scopo.
Ancora: nella discussione sulla società del rischio globale si può giungere ad ammettere che le minacce generate dallo sviluppo tecnologico-industriale – in quanto misurate con i parametri istituzionali esistenti – non sono né calcolabili né controllabili. Ciò costringe le persone a riflettere sulle basi del modello democratico, nazionale, economico della prima modernità, e a esaminare le istituzioni prevalenti (l’esteriorizzazione degli effetti dell’economia, del diritto, della scienza, e così via) e la loro svalutazione storica delle basi della razionalità. È qui che si fa avanti la vera sfida globale, in cui possono essere "forgiati" nuovi focolai mondiali e perfino guerre – ma anche istituzioni sovranazionali per la cooperazione, la regolamentazione dei conflitti e la costruzione del consenso.
Anche la situazione economica va incontro a un cambiamento radicale. Una volta, nel paradiso imprenditoriale del primo capitalismo, l’industria poteva lanciarsi in progetti senza sottoporsi ad alcun controllo o provvedimento speciale. Poi venne il periodo della regolamentazione statale, quando l’attività economica era possibile soltanto nel quadro della legislazione sul lavoro, delle norme sulla sicurezza, degli accordi tariffari, ecc. Ma nella società dei rischio globale – e questo è un mutamento decisivo – tutti questi soggetti e regolamenti possono giocare il loro ruolo, gli accordi presi essere rispettati, senza che ne derivi alcuna sicurezza. Anche se rispetta le norme, un gruppo di dirigenti può trovarsi improvvisamente messo sotto processo dall’opinione pubblica mondiale, e i suoi membri possono venire trattati come "porci ambientali".
Tutto ciò conferma la diagnosi di una società del rischio globale: le cosiddette minacce globali hanno condotto a un mondo dove si sono ridotte le basi della consueta logica del rischio, e dove pericoli che è difficile gestire prevalgono sui rischi quantificabili. I nuovi pericoli stanno spostando i pilastri convenzionali del calcolo della sicurezza, il danno perde i suoi limiti spazio-temporali e diviene globale e permanente. Non è davvero più possibile accusare individui determinati di un tale danno: il principio della parte colpevole è andato perdendo la sua capacità distintiva. Spesso, poi, la compensazione economica perde ogni relazione con il danno; non ha senso assicurarsi contro i peggiori effetti della spirale delle minacce globali. Non ci sono piani per la ricostruzione e la rieducazione se dovesse accadere il peggio.
(Traduzione di Adriano Bugliani)