Desidero intervenire sulle tante ed interessanti riflessioni proposte nell’articolo intitolato "Dal Golem all’intelligenza artificiale: la scienza in teatro per una riflessione esistenziale" presentato nella sezione Argomenti. In particolare, sul tema della "rimozione del corpo" ripreso dal saggio di Silvana Barbacci e sviluppato attraverso l’analisi di alcune opere teatrali sul tema dei robot e della nascita dell’Intelligenza Artificiale.
Vorrei qui riprendere il tema da un punto di vista speciale, vale a dire quello dell’approccio robotico all’Intelligenza Artificiale. Questo "osservatorio" mi è offerto dal fatto che da tempo collaboro con un Laboratorio italiano di Robotica e in questi anni ho portato avanti, con i colleghi ingegneri, approfondite discussioni sui temi presentati nel saggio. E’ un approccio, quello della Robotica che costruisce macchine per ambienti non conosciuti, o poco conosciuti, macchine che si muovono nel mondo reale e vi devono compiere azioni, macchine intelligenti che devono sostituire o assistere l’uomo in compiti ripetitivi, difficili, pericolosi o impossibili, assai prossimo ai temi che vengono dibattuti in generale sul sito della FGB in tema di innovazione e società. Infatti la Robotica, una scienza giovane che è nata dalla sinergia di tante discipline scientifiche ed umanistiche (Meccanica, Automazione, Elettronica, Informatica, Cibernetica, Intelligenza Artificiale, attingendo contributi da Fisica/Matematica, Logica/Linguistica, Neuroscienze/Psicologia, Biologia/Fisiologia, Antropologia/Filosofia, Arte/Design Industriale), ancor più dell’Automazione, analizza il mondo della tecnologia chiedendosi come potervi inserire sempre più "intelligenza".
Recentemente, inoltre, proprio dall’associazione di cui faccio parte, la Scuola di Robotica, è nata l’iniziativa di sollecitare tra gli scienziati robotici una profonda riflessione ed un chiaro dibattito sui principi etici che devono presiedere alla progettazione ed all’impiego delle macchine intelligenti, i robot. Stiamo parlando quindi della necessità di un’innovazione il cui sviluppo sia influenzato da un approccio etico.
Ci rendiamo tutti conto della difficoltà, ed anche della complessità della proposta, ma siamo stati confortati dall’interesse – questa volta sì! – di tanti robotici, e non solo, come era stato auspicato, di studiosi di scienze morali, di filosofia, sociologia, antropologia.
Ecco da quali presupposti è partita la mia riflessione sul saggio in oggetto.
—–
Scrive Italo Calvino nel Signor Palomar: " Dunque: c’è una finestra che s’affaccia sul mondo. Di là c’è il mondo; e di qua? Sempre il mondo: cos’altro volete che ci sia? E dato che c’è mondo di qua e mondo di là della finestra, forse l’io non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo".
L’io come una "strozzatura" del mondo, una singolarità del mondo, un ripiegamento del mondo su se stesso?
Uno schema, espresso in forme diverse, si ripete nei diversi dualismi che incontriamo nella vita (cuore/ragione; mente/corpo sensi/intelletto, io/mondo, e così via). Possiamo considerarlo come un apriori dovuto ai limiti della "finestra", modificabile forse con il nostro stesso sviluppo, sviluppo come "finestra-io" e come "finestra-specie"? La nostra semplificazione è così barocca da non temere quasi rimproveri.
Da questo punto di vista, è molto interessante il concetto che Giuseppe O. Longo offre nel "Seminario in forma di Forum" su questo sito. Il "corpo" sarebbe una interfaccia con la quale "siamo" collegati con noi stessi e con il mondo. Le nostre stesse parole ci costringono però a spostare solo in là il problema: "chi" è che "è" collegato con il corpo e con noi stessi?
Le origini dell’antica storia della Mente e del Corpo "separati in casa" è senza dubbio misteriosa, e ha le sue radici nel mito (Psiche e Amore). Una delle sfide delle moderne scienze cognitive è quella di tentare di correggere l’imprecisione di Platone e l’errore – o meglio, il machiavellismo – di Cartesio.
Una breve storia ci chiarirà forse perché tra il "Golem" e "Intelligenza Artificiale" non corra buon sangue.
Il primo dei "padri" dell’Intelligenza Artificiale, Alan Mathison Turing, ideò la sua macchina computazionale come risposta ad una delle sfide lanciate dal grande matematico David Hilbert nel 1928: esiste sempre una maniera rigorosa di "decidere" (entscheiden) se un dato enunciato matematico sia falso o vero? Il giovane Turing (e contemporaneamente, ma in modo meno elegante, il già affermato professor Alonzo Church) avanzò una soluzione, al problema posto: una "macchina", una macchina computazione che potesse eseguire tutte le operazioni logiche. Ma non era una macchina fisica, quanto un meccanismo "universale", capace di venire modificato, "programmato" a seguire regole opportune a seconda delle operazioni da eseguire.
L’Intelligenza Artificiale (che nasce ufficialmente negli anni Cinquanta del Novecento) seguirà diverse strade e varie scuole, con grandi successi e anche grandi empasse. L’approccio di quella che sarà chiamata l’IA forte è quello di tentare di simulare le funzioni più evolute della mente umana mediante programmi software svincolati dalla realtà. Qual è dunque qui l’intelligenza che viene presa in considerazione? Quella dell’uomo. E volendo studiare e simulare l’intelligenza umana, da quale si comincia? Cominciamo da Kasparov, un genio! Per risolvere quale problema? Battere Kasparov a scacchi!
Il dibattito si fece aspro, e uno degli argomenti era ovviamente incentrato intorno a che cosa si intenda per "intelligenza": se un qualsiasi ragionamento può sempre essere ridotto a calcolo, allora una calcolatrice tascabile sembra essere assai più intelligente di un essere umano normale. Vennero costruiti calcolatori sempre più grandi e potenti e quando Deep Blue batté Kasparov a scacchi si gridò al "sorpasso". Ma in realtà l’IA non aveva dato grandi risultati, e non era stata inserita in alcuna macchina, con un certo grado di successo. Era stato l’investimento di alcuni ambienti culturali ed industriali statunitensi legati alle grandi macchine, ai calcolatori sempre più potenti: il mito del supercalcolatore dell’IBM. Ma ciò che è stato effettivamente realizzato tramite l’IA, al di là di alcuni giocattolini prototipo dell’MTI, sono stati sistemi di gestione finanziaria e banche dati. In realtà, macchine intelligenti che funzionino con pezzi di IA realizzata ce ne sono ben poche. Nessun "Golem" è stato fino ad ora costruito con l’IA.
Una corrente di ricercatori robotici intraprese la strada opposta a quella della IA forte, detta top-down, cioè, come accennato, il tentativo di simulare artificialmente l’intelligenza umana. Erano ingegneri robotici che si rifacevano ad una filosofia detta del bottom-up, partire dal basso, progettare e costruire tanti mattoncini intelligenti per farne pezzi di macchine intelligenti per farne macchine intelligenti. Citiamo James Albus, un noto ingegnere robotico che ha lavorato anche per la Nasa. Questi ingegneri ricordavano come nessun animale intelligente funzioni sulla base della logica formale della IA, con un corpo amorfo controllato centralmente da un potente calcolatore. E che, come gli esseri viventi si sono evoluti, con i loro comportamenti intelligenti, in relazione all’ambiente, anche le macchine intelligenti dovevano essere progettate e costruite in una relazione strettissima con l’ambiente in cui avrebbero dovuto operare.
Una delle strade intrapresa da molti scienziati e ricercatori di intelligenza artificiale è stata dunque quella dell’imitazione della Natura. Non esiste, essi hanno affermato, un’intelligenza astratta separata da un corpo, ma l’intelligenza si è evoluta sul nostro pianeta IN un corpo che vive IN un ambiente e si confronta con esso, per sopravvivere e riprodursi. Ad un organismo nato da e in un ambiente, allo scopo di sopravvivere e riprodursi, non è sufficiente la potente intelligenza che batte Kasparov a scacchi. Esso necessita di un gran numero di funzioni, o meccanismi, del "controllo" dislocati in tutto l’organismo, e coordinati in modo tale che non si verifichino azioni conflittuali tra due o più sistemi.
I ricercatori robotici si rifecero agli studi di neuroscienze, ricerche che erano iniziate a fiorire in diversi laboratori negli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, secondo cui il nostro complessissimo Sistema Nervoso Centrale sarebbe costituito da diversi singoli circuiti neurali o gruppi di neuroni (G. Edelman) mentre vari meccanismi di inibizione permetterebbero di far emergere il comportamento selezionato. Un organismo evolutosi lungo la selezione naturale deve aver selezionato "comportamenti intelligenti" tradottisi in pattern di comportamenti capaci di farlo sopravvivere e riprodursi risolvendo molti nuovi problemi. Meccanismi anche "dislocati", proprio per ragioni di velocità di interpretazione/decisione/azione. Recenti studi propongono che, per esempio, in molte specie il sistema della visione sia dotato di sistemi intelligenti propri, e che molte delle funzioni di image recognition avvengano già a livello della retina.
Studi condotti nelle università del Canada, in Arizona e all’Institute of Hearthmath della California (la cui missione, interessante per i nostri scopi, è "to facilitate people in finding the balance between mind and heart in life’s decisions") hanno mostrato che il cuore umano possiede una capacità di processing assai speciale. Se il cuore non "pensa" come il cervello, tuttavia esperimenta ed "elabora" informazioni di carattere emozionale che diffonde al resto del corpo attraverso percorsi ben precisi. Inoltre, un team di cardiologi dell’Università di Dalhousie in Nova Scotia ha identificato un sofisticato sistema nervoso proprio del cuore che chiamano "il piccolo cervello dentro al cuore". Questo "cervello" ha capacità computazionali molto particolari che influenzano in modo decisivo – attraverso la produzione di ormoni – sia il cuore stesso che il cervello.
In parallelo agli studi di Pierre Lévy sull’intelligenza distribuita, o connettiva, negli organismi e nei sistemi sociali, si parla dunque di "intelligenza distribuita" nei singoli organismi. In Robotica, il concetto di intelligenza distribuita è alla base delle ricerche sull’architettura di un robot.
Le implicazioni sociali ed economiche del concetto di intelligenza distribuita sono moltissime, in questo periodo di innovazioni in Robotica, di ICT e Reti.
Immaginiamo ora che si possano stabilire ampie connessioni di robot alle reti: un’espansione alla società della tele-robotica, o, come si dice oggi, e-robotics. La connessione di un robot alla rete costituirà un’espansione dei limiti fisici dei robot che possiamo costruire. Il concetto di robot cambierà, non più come una macchina fisica tradizionale, autonoma oppure controllata da un operatore, ma come un insieme di parti non necessariamente interconnesse fisicamente, ma collegate dal punto di vista dell’informazione.
Per cui, possiamo pensare ad un sistema robotico intelligente che opera in un cantiere pericoloso in cui gli occhi sono piccoli elicotteri e le braccia ruspe, governato da un centro di comando che può anche essere dall’altra parte del pianeta o addirittura su un altro pianeta. A loro volta, saranno più d’uno i calcolatori che implementeranno l’intelligenza di questo super robot: per esempio uno potrebbe essere quello che conosce perfettamente il modo di operare del robot ed un altro quello che conosce lo scenario in cui il robot sta operando ed un terzo quello che contiene il database storico di tutte le operazioni simili compiute da robot analoghi o da operatori umani nel passato. Tutti questi robot, collegati tra di loro, costituiranno di fatto i vari livelli dell’intelligenza di questo super-robot distribuito.
Non è lontano un futuro in cui una fabbrica automatizzata, popolata di robot cooperanti, potrà essere vista come un unico grande organismo artificiale, una macchina che digerisce materie prime e produce cose utili all’uomo. Questo insieme di macchine, che potrà ricordare il modo di funzionare di un formicaio, è infatti un sistema, nel senso cibernetico del termine, dove lo scambio continuo di informazioni tra i vari robot rende possibile un livello di coordinazione, e quindi di cooperazione, che compensa la minore intelligenza dei singoli robot, raggiungendo livelli di efficienza competitivi con quelli di un’analoga squadra di uomini ben addestrati.
In questo senso vediamo quindi come lo sviluppo delle comunicazioni genera un’espansione del concetto di Robotica in cui la rete non è più solo un supporto per comprare robot o per teleoperare robot, ma anche uno strumento per realizzare robot più complessi. E quando la rete non sarà più soltanto una rete di calcolatori ma una rete di robot, e avrà quindi occhi, orecchie e mani, sarà diventata anch’essa un robot: sarà forse il robot finale che a volte appare nelle previsioni dei futurologi.
Addendum (Redazione FGB):
– "Can Robots Extend Hubble?" e "People Are Robots, Too. Almost" (due articoli recenti),
nonché:
– "Robotic Explorers", tutti nel sito della NASA.