Tecnologie indossabili, autopercezione e identità alle soglie di una nuova esistenza totalmente quantificabile.
(prosegue dal precedente post – parti dalla prima parte)
"Who is responsible? Here we have many examples of brilliant innovation but the issue of responsibility is key and must be addressed. Who is going to be responsible for the future?" chiedeva Piero Bassetti alla fine dell’evento Design Will Own The Future organizzato da Fondazione Bassetti alla Singularity University, in Silicon Valley.
La stessa domanda rimane assolutamente calzante per l’esempio che qui stiamo trattando.
In questo panorama di innovazione sfrenata dove uno user group sparso in tutto il mondo come il Quantified Self è capace in pochi anni di scatenare un nuovo cambio di paradigma tecnologico, chi sarà responsabile e chi si troverà nelle mani il problema di scegliere una via di sviluppo consona alla natura umana? Capace di “espandere le potenzialità dell’uomo”, come veniva menzionato nell’evento stesso.
La missione di Fondazione Giannino Bassetti ha cercato di generare riflessioni facendo incontrare l’artigianato e il design con l’epicentro dell’avanguardia tecnologica mondiale, la California appunto.
Questo inevitabilmente suggerisce anche la risposta alla domanda sopra posta: chi meglio del design può iniziare ad indirizzare l’innovazione, verso orizzonti più vicini alla nostra natura? Progettando, non solo oggetti in sé, ma “l’impatto dell’innovazione stessa” (come ricorda lo stesso dott. Bassetti).
In quest’ottica si inserisce infatti anche la natura di Estensione, progetto universitario tenuto da Francesco Samorè e da chi scrive, all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale in Design degli Interni al Politecnico di Milano, ideato e coordinato dal prof. Giulio Ceppi.
Attraverso lezioni ed un ciclo di open lectures, si è partiti dall’infinitamente piccolo dentro all’uomo con temi quali il DNA e la stampa di tessuti biologici, passando poi per l’innovazione nel campo delle protesi, per arrivare ad ambiti esterni ed ingranditi come le tecnologie indossabili e gli spazi smart. In un clima di novità rispetto al canonico approccio low tech al progetto in ambito accademico, gli studenti sono stati messi di fronte a questioni tecnologiche di assoluta avanguardia.
Questo intervento accademico e questo articolo vogliono essere in un certo senso anche degli appelli alle nuove generazioni di progettisti e più in generale al design italiano per tornare ad occuparsi più direttamente dell’innovazione tecnologica.
La cultura del progetto italiana, riconosciuta in tutto il mondo per primato di gusto, ma non di meno per profondità intellettuale ed ereditarietà umanistica, possiede di fatto tutte le carte in regola per prendere il mano le redini del discorso tecnologico.
Questo periodo storico vede una crisi che è si economica, ma ancor prima è crisi di valori e d’identità dell’uomo stesso; un uomo nuovo libero da dogmi religiosi e sociali, ma altresì confuso sul suo essere, che più che mai necessita di un’innovazione umana, sensibile e responsabile.
In un domani molto prossimo, comodi devices renderanno possibile l’esternalizzazione della coscienza e dell’Io; un Io digitalizzato e quantificato su uno schermo al polso, costantemente perseguitato dal rischio di venire smarrito nella cloud dell’internet of everything.
In questo scenario odierno, dove tecnologia, biologia e psicologia si confondono inesorabilmente, produrre l’artificiale non implica solo influenzare l’uomo in qualche modo. Progettare l’artificialità, oggi più che mai, significa riprogettare l’uomo stesso.
(torna alla prima parte – seconda parte)
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