Editoriale.
Alla continua ricerca di nuovi linguaggi per comunicare il suo pensiero sulla responsabilità dell’innovazione, la Fondazione Bassetti propone un nuovo formato di newsletter, pensata per presentare gli eventi e le riflessioni che hanno luogo sia presso la sua sede, sia nel suo spazio internet. La sfida della newsletter è quella di raccontare il processo dinamico della costruzione di significati che avviene all’interno della Fondazione, luogo reale e virtuale di incontri, riflessioni, dibattiti alla ricerca del senso profondo della sua mission: analizzare in tutti i suoi risvolti il concetto di responsabilità nei processi innovativi contemporanei (scarica la Newsletter in formato pdf).
In questo numero della newsletter si dà quindi spazio agli incontri e alle riflessioni di cui la Fondazione è stata negli ultimi mesi animatrice o attiva partecipe. La presentazione del rapporto europeo Taking European Knowledge Society Seriously è stata l’occasione per invitare nella sede milanese il sociologo della scienza Brian Wynne che, insieme a Mariachiara Tallacchini e a numerosi ospiti, ha discusso di “nuovi riti della democrazia”. Il documento è stato altresì presentato durante il convegno “Costruire un ponte tra scienza e società” organizzato dall’Università di Bergamo. Prosegue inoltre il Laboratorio sull’Innovazione Responsabile nella Pubblica Amministrazione organizzato dalla Fondazione con il Dipartimento Studi Sociali e Politici dell’Università di Milano. Il terzo appuntamento ha avuto come ospite, in febbraio, Nicolamaria Sanese, Segretario Generale Regione Lombardia, che ha esposto e discusso il modello di governo regionale lombardo. Sulle pagine del sito della FGB, nelle sue diverse sezioni, sono pubblicate riflessioni di importanti ospiti che da diversi punti di vista, con documenti inediti, interviste, commenti animano il dibattito sui temi cari alla Fondazione. In “Focus” sono pubblicati i saggi di Silvano Tagliagambe sulle nuove frontiere della comunicazione scientifica e di Giuseppe O. Longo sulla società del rischio. Nel suo spazio blog Jeff Ubois conversa con Roberto Verganti su innovazione e design.
Politiche della scienza e ridefinizioni della democrazia
Anche quest’anno la Fondazione Giannino Bassetti ha proposto una lecture pubblica presso un prestigioso ateneo milanese. Sheila Jasanoff, professore di Science and Technology all’Università di Harvard, è stata ospite dell’Università Statale di Milano il 6 maggio 2008. La lecture è stata preceduta lunedi 5 maggio da un seminario a invito presso la sede della Fondazione Bassetti, nel quale la prof.ssa Jasanoff ha approfondito le implicazioni politiche degli immaginari sociali della scienza. Nel prossimo numero della newsletter sarà dato ampio spazio alle riflessioni scaturite dall’incontro con Sheila Jasanoff.
Costruire un ponte tra scienza e società
Giovedì 14 febbraio 2008, nella splendida cornice di Città Alta di Bergamo, presso l’antico complesso monastico di S. Agostino oggi sede universitaria, si sono aperti i lavori del convegno “Costruire un ponte tra scienza e società. Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza”. L’evento, che si è sviluppato in due giornate di studio e di approfondimenti, è stato organizzato dalla Scuola di Dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità dell’Università degli Studi di Bergamo e dalla Scuola internazionale Superiore di Studi avanzati SISSA di Trieste in collaborazione con la Fondazione Giannino Bassetti. Il convegno ha aperto un dibattito estremamente ricco ed articolato sul rapporto e sulle relazioni che intercorrono oggi tra scienza, politica, società.
La sessione “Comunicare la scienza responsabilmente” ha visto la presentazione in anteprima della pubblicazione in italiano di Taking European Knowledge Society Seriously. Report to the Science, Economy and Society Directorate, commissionato dalla Direzione generale per la Ricerca della Commissione Europea. La prima relazione di Piero Bassetti ha aperto la riflessione con un interrogativo “E’ possibile pensare alla comunicazione della scienza come un nuovo contributo per declinare in modo diverso la relazione tra scienza e società?”. L’innovazione può essere definita come la realizzazione dell’improbabile e va distinta dalla scienza in quanto essa non risiede nella scoperta, non è una questione di solo sapere. Né riguarda poi solo un fatto di potere -con il quale si intende la la presenza di capitale e tecnologia -quanto piuttosto “l’innovazione è realizzazione, implementazione di ciò che prima era improbabile non solo perché non saputo ma anche perché non potuto (tecnica) o non osato (rischio). Dunque l’innovazione non è questione di solo sapere, né di solo potere (capitale e tecnologia) ma anche di volontà. Ed è a questo punto che si manifesta il tema della responsabilità. “La responsabilità attiene infatti all’uso del potere, non a quello del sapere. Non si può chiedere al sapere di responsabilizzarsi. Bisogna invece chiederlo al potere. Ecco perché bisogna avere ben chiaro che i problemi di governo del sapere (ammesso che siano possibili) sono comunque assai diversi da quelli di governo dell’innovazione.” Questa questione critica e problematica è apparsa alla Fondazione ben segnalata nel Rapporto Taking European Knowledge Society Seriously, tradotto e pubblicato in italiano per iniziativa della Fondazione. Cristina Grasseni, direttore scientifico della Fondazione, ha spiegato come il report sia stato commissionato ad un gruppo di esperti come una delle azioni di avanzamento dell’agenda di Lisbona: cioè trasformare l’Unione Europea in una Società della Conoscenza competitiva sui mercati internazionali della tecnoscienza. Il report di fatto ha proposto una critica, della nozione di società della conoscenza sottesa all’Agenda di Lisbona per come essa è stata intesa ed impostata nella prassi politica, legislativa, comunicativa e amministrativa della commissione europea. Mariachiara Tallacchini, traduttore del report e membro dello stesso gruppo di esperti coordinato da Brian Wynne, ha sottolineato come nella Commissione Europea mancasse il punto di vista STS; nessun rapporto aveva mai esplicitamente tematizzato la prospettiva dei Science and Technology Studies. Si deve a Nicole Dewandre, da tempo al lavoro sui temi di Science and Governance, l’avere organizzato, attorno a Brian Wynne, un gruppo di esperti che fosse espressione europea e d’oltreoceano di questo approccio. Chiamando in causa “l’autoriflessività delle istituzioni” si è sostenuto che “i timori del pubblico nei confronti della scienza non siano frutto di un deficit di conoscenza, ma della perplessità che i cittadini nutrono nei confronti delle istituzioni; il problema, quindi, riguarda piuttosto la policy e il modo in cui viene impostato il discorso tra la scienza e la società, tra la scienza e le istituzioni”.
LaBInRes: ospite Nicolamaria Sanese
Martedì 26 febbraio 2008, presso Dipartimento Studi Sociali e Politici dell’Università degli Studi di Milano si è svolto un incontro con Nicolamaria Sanese, Segretario Generale Regione Lombardia. In questo terzo incontro del Laboratorio sull’Innovazione Responsabile nella Pubblica Amministrazione è stato esposto e discusso il modello di governo regionale lombardo, un modello di governance che ha aspetti decisamente innovativi che impongono una riflessione analitica. Dopo una breve presentazione da parte di Gloria Regonini, Piero Bassetti ha introdotto l’ospite che, a detta del presidente della FGB, interpreta e personalizza l’apporto innovativo in fatto di pubblica amministrazione della Regione Lombardia. Bassetti ha inoltre sottolineato come l’assunzione di responsabilità da parte di chi introduce elementi innovativi sia estremamente importante e come nel caso della Regione Lombardia questa assunzione di responsabilità sia stata cosostanziale alla nascita della regione stessa. Nicolamaria Sanese ha poi impostato la sua relazione intorno a quattro parole-chiave della trasformazione: la dicotomia burocrate/manager, il passaggio da ente di gestione a ente di governo, la formazione, il sistema. I temi proposti sono stati illustrati da una serie di esempi che hanno trasformato la macchina burocratica lombarda a partire dal 1995. La relazione ha stimolato un vivace dibattito animato tra gli altri da Giuseppe Adamoli, Daniele Balboni, Nicola Pasini, Alessia Damonte, Remo Arduini.
Nuovi riti di democrazia?
di Cristina Grasseni
Il 15 febbraio 2008, presso la sede della Fondazione Bassetti a Milano, il sociologo della scienza Brian Wynne ha aperto il seminario moderato da Piero Bassetti e Mariachiara Tallacchini sul rapporto della Commissione europea, Taking European Society Seriously (2007), tradotto in italiano per iniziativa della Fondazione Bassetti (Scienza e Governance. La società europea della conoscenza presa sul serio, Rubbettino, 2008). Gli interventi introduttivo e conclusivo del prof. Wynne, così come il dibattito ricco e coinvolgente che ne è seguito, si sono incentrati, lungo sentieri lucidi ed originali, sugli effetti sociali e politici dell’attuale mancanza di procedure tecniche, strumenti dialogici e strategie di pianificazione atte a ricomporre entro una comune visione i diversi e contrastanti punti di vista sul governo della conoscenza e della tecno-scienza. Numerosi gli ospiti convenuti presso la sede della Fondazione: Massimiano Bucchi, sociologo della scienza; Maria Antonietta Foddai, filosofa del diritto; Raffaele Cattaneo, Assessore alle Infrastrutture e Mobilità della Regione Lombardia; Bruno Montanari professore di Filosofia del diritto; Giuseppe Adamoli, Presidente della Commissione Statuto della Regione Lombardia; AlessandroColombo, direttore della ricerca dell’I.R.E.R. (Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia); Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica delle cellule staminali dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano; Alessandro Cavalli, professore di Sociologia; Scira Menoni, docente di Pianificazione urbanistica; Alberto Trevissoi, caporedattore de Il Sole 24 Ore; Fiorella Operto della Scuola di Robotica di Genova.
In apertura, Brian Wynne ha spiegato le ragioni per cui, in una società razionale, il desiderio dei cittadini di fare domande sulla tecno-scienza e sugli effetti che essa sortisce sulle loro vite non deve essere visto in maniera problematica. Tali domande sono spesso imparziali, ovvero non esprimono un’attitudine di tipo anti-tecnologico o avversa alla scienza. Le domande poste, piuttosto, sono in grado di suggerire l’esistenza di relazioni importanti tra aree della tecnologia e della scienza tra loro distanti, ad esempio la sperimentazione su larga scala dei medicinali (come avvenne per il talidomide), le colture e gli alimenti geneticamente modificati, gli effetti di lungo periodo delle scorie radioattive. Tali relazioni non sono di tipo cognitivo, bensì ricavate dalla pratica, e indicano che ambiti tecno-scientifici talvolta disparati presentano lo stesso tipo di problemi, in termini non solo di gestione del rischio (ex post), ma anche di valutazione del rischio (ex ante). In altre parole, fondamentalmente non si tratta di domande dettate dall’ignoranza di aspetti tecnici di casi specifici, ai quali si possono dare risposte tecniche su casi specifici Âquali ad esempio il talidomide, gli OGM, le centrali nucleari. Le risposte basate sui soli contenuti rispondono solo parzialmente a queste domande, dal momento che, in forma indiretta, queste ultime chiedono non dati ed informazioni, bensì assunzione di responsabilità e costruzione della fiducia. Le vere domande sono: "Chi si occuperà della questione e delle sue conseguenze?". E quindi: "Possiamo fidarci?", "Quali benefici dovrebbero derivarne e per chi?". Sono domande compiutamente razionali, non intrinsecamente ostili o retrive o ancora reazionarie. I cittadini vogliono sapere chi si assumerà la responsabilità circa l’impatto dell’innovazione sulla società; e si interrogano sui fini sociali dell’innovazione. Ci sono poi altre domande sulle conseguenze non volute e sulla presa in carico delle responsabilità che ne discendono: una questione di accountability.
Il dibattito che si è sviluppato ha quindi approfondito numerosi aspetti di questo tema:
Esiste una pluralità di significati entro il dominio semantico del lemma inglese "responsibility" (liability, accountability, answerability, etc.). Le sanzioni o le punizioni non sono funzionali al tema degli "effetti indesiderati", poiché la natura e l’impatto delle azioni dell’uomo non sono più di tipo individuale ma collettivo. Nondimeno, si continua a legare la fiducia ed i convincimenti etici all’ambigua virtù della "responsabilità", ovvero conservare un equilibrio normalizzatore tra valori e fatti. Pertanto, è necessario partire da un’evoluzione del concetto stesso di cosa significa "essere responsabile": dall’idea di essere "ligi al dovere" a quella dell’essere "capaci di anticipare le conseguenze di un’azione, confrontarsi con altri punti di vista, essere flessibili rispetto ai programmi, essere disponibili a rendere conto in modo trasparente e veritiero delle proprie azioni" (Foddai). La fiducia e la competenza non necessariamente vanno di pari passo (Cavalli). Esiste una differenza fondamentale tra un sistema democratico basato sulla politica (politics) ed uno basato sulle politiche (policy): è la differenza che c’è tra un sistema che sceglie coloro i quali sono legittimati politicamente a prendere decisioni, ed un sistema che invece sceglie i decisori sulla base della competenza (Montanari). Le decisioni politiche sono spesso assunte, come prassi consolidata, senza un livello adeguato di informazione e conoscenza tecnica dell’argomento in esame, in nome della fiducia che i decisori pubblici ripongono nella "appropriata capacità di giudizio" dei loro consulenti tecnici (Cattaneo). Bisogna chiedersi come è possibile alimentare la fiducia nei decisori pubblici quando la fede circa la neutralità sociale e politica della scienza viene meno (il che è una cosa diversa dalla fine della visione epistemologica della scienza come certezza assoluta) (Bassetti, Wynne, Cattaneo).
La questione presenta rilievi di tipo antropologico, in quanto è imperniata sull’esistenza di diverse culture e sistemi di valori, spesso divergenti. Molti dei temi tecno-scientifici in agenda sono quindi inerentemente controversi (Testa, Cattaneo). Le decisioni sono spesso discusse ed assunte in ambito locale, laddove i contesti, le storie, le comunità di pratica sono di capitale importanza ai fini della comprensione e della ricomposizione di queste fratture. E’ sul campo, a livello locale, che è più facile individuare le possibili soluzioni procedurali finalizzate a raggiungere un compromesso (Menoni, Grasseni). Vi è una mancanza di procedure a livello istituzionale per valutare collettivamente i benefici della tecno-scienza secondo una metodologia partecipativa e basata sull’evidenza (Adamoli, Colombo, Cattaneo, Bassetti).
La minaccia che il vuoto lasciato dall’assenza di simili procedure sia colmato da strategie di sospensione delle decisioni, di non scelta, è una minaccia reale. Tali strategie distolgono l’attenzione e l’interesse pubblici dalla ricerca della verità. Alcuni esempi: la tecnocrazia (la tirannide delle commissioni di esperti, degli indicatori, e così via); l’overload di informazioni (si inondano i cittadini di informazioni, nell’illusione che le scelte relative alla tecno-scienza possano maturare a livello individuale); la demagogia come dittatura dell’opinione della maggioranza (Colombo). Simili procedure non solo devono prendere in esame "che cosa fare", ma anche "perché", ovvero devono includere nella discussione i fini ed i mezzi (Testa, Colombo). Nel momento in cui vi è apertura ed onestà rispetto al fatto che le decisioni non sono mai l’esito di pareri esperti neutrali, bensì il risultato di assunti politici, diviene utile e necessario ricercare modi sostanziali per supportare la partecipazione dei cittadini ai processi di decisione pubblica (Adamoli). Nondimeno, aprire una discussione franca ed aperta sui fini sociali dell’innovazione significa confrontarsi con uno scontro tra visioni antropologiche inconciliabili circa il bene comune, il valore della vita, il significato della scienza, e così via. In altre parole, la prospettiva che si apre include visioni del mondo non confrontabili tra loro ed interpretazioni divergenti di che cosa è "vantaggioso" e per chi (Cattaneo, Testa, Trevissoi). I sistemi giuridico e legale vengono chiamati a dare un quadro chiaro di analisi e criteri-guida per decisioni, che gli stessi scienziati ammettono di non poter fornire (Tallacchini). Il passaggio dalla gestione politica (politics) di complessi problemi socio-economici alla gestione orientata alle politiche (policy) richiede che la società condivida una visione sufficientemente omogenea del bene comune. Altrimenti, il dibattito politico smarrisce il più ampio orizzonte temporale complessivo rispetto al quale investire per il bene comune, e ciascun rappresentante politico si preoccuperà dei soli effetti di breve periodo generati dalle proprie decisioni (Montanari). Limitare la discussione al ruolo dei pareri esperti e alla loro incertezza epistemologica significa ignorare l’impatto economico e le relazioni di potere che sussistono tra gli attori degli scenari tecno-scientifici e coloro che determinano tali scenari. Occorre occuparsi concretamente di tali scenari (Trevissoi, Bassetti, Operto). La retorica dell’economia della conoscenza alimenta il rischio di considerare il pubblico come una controparte del tutto all’oscuro dei fondamenti della scienza. Fortunatamente, la sensibilità dell’Unione europea a tale proposito si è evoluta, abbandonando il modello deficitario e sviluppando la strategia della propria unità "scienza nella società", non più finalizzata semplicemente a "promuovere la consapevolezza del pubblico rispetto alla scienza" (Bucchi). Tuttavia, va considerato anche il fatto che, come reso evidente dalle rilevazioni demoscopiche, in Italia il livello medio di competenza circa i temi della scienza è alquanto basso (Cavalli).
Nelle sue conclusioni, Brian Wynne ha sottolineato il vero argomento di discussione: come possiamo generare processi di creazione della fiducia, seguendo percorsi inediti ed includendo tutti questi elementi di complessità? Ciò significa che bisogna mettere a punto forme tecniche, quindi rituali, di armonizzazione degli interessi intellettuali, economici e politici e delle controparti. La mancanza di fiducia del pubblico può essere affrontata e risolta al meglio con il ricorso a processi partecipativi.
Perché simili tecniche funzionino, nondimeno, la buona fede – anche quella istituzionale – è un prerequisito che non può mancare. In altre parole, la prima decisione da prendere riguarda il tema con il quale confrontarsi come società europea: la nostra priorità è generare un’innovazione competitiva a livello globale? Oppure si tratta di un’altra, diversa questione? Le procedure rituali come quelle dei sistemi giuridici (le audizioni delle parti contendenti presso le corti) sono modelli funzionanti che costituiscono un buon punto di partenza per il disegno delle procedure di consultazione pubblica. Tali forme altamente ritualizzate di "audizione pubblica" rispondono a finalità e funzioni pubbliche quali utili alternative alla presa d’atto dell’incommensurabilità antropologica di weltanschauung radicalmente diverse, o alla via della guerre tra bande. In tal senso, l’esperienza britannica della Windscale Public Inquiry degli anni Settanta sul piano di riprocessamento dell’impianto di Sellafield costituisce un precedente istruttivo. L’insegnamento che ne proviene è che, indipendentemente dai contenuti specifici del dibattito e dai risultati ottenuti, la forma della discussione deve contemplare sia una parte razionale, sia una parte rituale (cf. Brian Wynne, Rationality and Ritual: The Windscale Inquiry and Nuclear Decisions in Britain, 1982).
La prima conclusione da trarre è che le scelte non devono essere semplicemente "convenzionali", anche quando prese in condizioni di incertezza epistemologica e sotto la pressione esercitata dagli interessi corporativi. E’ proprio quando lo statuto cognitivo ed epistemologico dell’informazione disponibile offre spazi al dibattito, e gli interessi in gioco sono alti, che c’è un grande bisogno di ritualizzazione della decisione pubblica al fine di conferire ad essa l’autorevolezza necessaria. La funzione espletata dal rito pubblico deve essere considerata in senso letterale, antropologico, e non soltanto evocativo. Bisogna costruire scenari e ruoli teatrali che possano dare vita a situazioni codificate, stabilite e riconoscibili dall’immaginazione collettiva secondo schemi "tradizionali", ovvero autorevoli ed efficaci, sui quali i partecipanti possono essere d’accordo ed aderire intimamente.
Le nuove frontiere e strategie della comunicazione scientifica
Nella sezione “Focus” del sito della FGB è pubblicato un testo inedito a firma di Silvano Tagliagambe, ad approfondimento dei temi discussi dalla Fondazione al convegno "Costruire un ponte tra scienza e società" (Bergamo, 14-15 febbraio 2008). Questi i punti toccati: il ruolo della comunicazione scientifica nella società della conoscenza; i rischi dell’innovazione e i problemi economici da essa generati; la comunicazione scientifica e il "modello Celera"; la ricchezza della rete e le sue conseguenze; il rimescolamento delle carte provocato dalla globalizzazione.
Design-Push Innovation: Jeff Ubois incontra Roberto Verganti
Jeff Ubois ha incontrato Roberto Verganti alla Harvard Business School, dove il professore di Gestione dell’Innovazione del Politecnico di Milano sta ultimando le sue ricerche in vista della pubblicazione del suo prossimo volume su design e gestione dell’innovazione. Nella lunga intervista vengono discussi i diversi tipi di design innovation e introdotto il tema della responsabilità anche in questo ambito dell’innovazione.
La socità del rischio: riflessioni di Giuseppe O. Longo
Certi settori della tecnologia sono tanto complessi che la scienza non sa dare quelle risposte forti e chiare che la gente si aspetta. Tutti gli interessati, cioè tutti, debbono dare il loro contributo alla valutazione e alla gestione del rischio. E’ evidente che ciò rallenta il cammino, ma forse consente di chiedersi dove porti questo cammino. Queste sono alcune delle riflessioni contenute nel saggio “La società del rischio” pubblicato nella sezione “Focus” del sito della Fondazione Bassetti. A firmarlo è Giuseppe O. Longo, docente di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Il tema del rischio, fortemente correlato a quello della responsabilità, è letto attraverso una serie di esempi concreti, iniziando da quello di Seveso.