Il 2 febbraio 2023, per il terzo appuntamento del ciclo Longevità e Innovazione in collaborazione con Fondazione Ravasi Garzanti, abbiamo ospitato la presentazione del libro edito da Arel-Il Mulino (co-promotrice dell’incontro, insieme all’associazione INnovare X INcludere) Vite disuguali. Salute, longevità, accesso ai diritti: la misura delle grandi fratture sociali.
Al Dialogo, moderato da Francesco Samorè, segretario generale di Fondazione Bassetti, hanno partecipato Marianna Madia, curatrice del volume, Lia Quartapelle, Cristina Tajani, Elisabetta Donati, e il presidente Piero Bassetti.
In questa pagina trovate una sintesi, il video completo degli interventi, il podcast e alcune fotografie dell’incontro.
«Guardare all’oggi, alle tematiche che attraversano il nostro presente, per intravedere i grandi temi del futuro, capaci di segnare i cambiamenti di un’epoca». Nelle parole di Piero Bassetti in apertura della serata, le ragioni dell’attenzione di Fondazione sul tema della longevità. E dell’interesse in questo volume curato da Marianna Madia che raccoglie i contributi, oltre che delle relatrici presenti, di Alessandro Rosina, Alessia Mosca, Antonio Nicita, Ida Pavese e altri ancora. Un libro a più voci che analizza da diverse angolature (salute, lavoro, nuove tecnologie, ambiente, territori) il fenomeno longevità come spia dello stato di salute dell’uguaglianza e in definitiva della nostra democrazia.
È del 12 gennaio 2023 l’ultimo studio del Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, il Bilancio Sociale Mondiale 2023 Leaving No One Behind in an Aging World, che conferma, in 161 pagine, l’urgenza di sostenere con misure concrete l’invecchiamento della popolazione dell’intero pianeta. Una vera “bomba a orologeria demografica”, come la definiscono alcuni, con il numero di persone di età pari o superiore a 65 anni destinato a più che raddoppiare entro il 2050. «Una sfida» dice Francesco Samorè, che ha partecipato al volume edito da AREL-Il Mulino con il capitolo Longevità e Innovazione: la responsabilità di disporre nuovi saperi, «che il libro curato da Madia ha raccolto con la grande intuizione di porre in relazione longevità, cambiamento e disuguaglianze, seguita poi da una proposta politica. Perché il fatto demografico è senza dubbio uno dei grandi temi dell’oggi, ma anche, per chi come Fondazioni Bassetti guarda alle traiettorie dell’innovazione in modo responsabile, una lente attraverso cui analizzare le componenti innovative evocate dalle principali transizioni in corso: ecologica, digitale, biologica».
Longevità. Un parametro per misurare il benessere di una società
Quello che sta avvenendo è una transizione a rallentatore. I cambiamenti demografici non sono immediatamente percepiti, eppure, dice Marianna Madia: «La longevità è un parametro concreto ed efficace per osservare come si strutturano e crescono le disuguaglianze nella nostra società. Lo è anche perché, in fondo, da sempre l’umanità si interroga su durata e qualità di vita. Nel libro ci sono proposte concrete, ma anche alcune considerazioni comuni a tutti capitoli: il lento ma progressivo impoverimento di larghi strati della popolazione; la correlazione tra basse condizioni economiche sociali e accesso a scuola, formazione, lavoro e sanità; l’impossibilità di invertire il destino dato, se queste penalizzazioni esistono dall’infanzia. Per noi la qualità di vita include condizioni e valori come l’uguaglianza dei diritti e un ambiente sociale che offra uguali opportunità indipendentemente dalle condizioni di partenza: la presenza di diseguaglianze strutturali non significa solo un ascensore bloccato, ma anche un piano inclinato». Madia conosce del resto, gli studi che riconoscono ai ceti sociali più alti fino a nove anni di vita in più in buona salute (come quello del Department of epidemiology and public health dell’University College London o del francese Institut national de la statistique et des études économiques): dati che attestano una volta di più come sulla crisi demografica incombano nuove e maggiori disuguaglianze, senza che, per altro, si sia trovata la strada per affrontarle.
Processi di invecchiamento e biografie per una nuova longevità
Manca, in prima battuta, la capacità di guardare al fenomeno demografico in modo innovativo. «L’innovazione diventa difficile se guardiamo alla “vecchiaia” ignorandone i processi, le biografie», dice Elisabetta Donati, responsabile della segreteria scientifica di Fondazione Ravasi-Garzanti. «Mettere l’accento su disuguaglianze, formazione o povertà educativa, aiuta invece a spostare il baricentro. Oggi troppo spesso curiamo il visibile ignorando il quotidiano invisibile. Curiamo la patologia che pensiamo connaturata all’invecchiamento, ma continuiamo a trascurare l’impatto che avrebbe avuto una diversa uscita dal mercato del lavoro, un ambiente diverso o una città capace di favorire relazioni, continuando così a generare un loop infinito, per cui non si smette mai di associare la popolazione anziana alla fragilità, e quindi alla necessità di sempre maggiori servizi. È un approccio che va ripensato alla radice. Utile sarebbe, per esempio, rifarsi al capability approach dell’economista e filosofo indiano Amartya K. Sen. In questa prospettiva, non ci si limiterebbe solo a fissare regole previdenziali o fornire sussidi o incentivi in modo indiscriminato, ma si lavorerebbe per un benessere inteso come possibilità di dispiegare le proprie capacità. L’età arricchisce le biografie, modifica le strategie di adattamento, e soprattutto la capacità decisionale resta, come quella di agire in modo libero e responsabile nel contesto in cui si vive. Se si assumesse la centralità dell’individuo rispetto alle norme, si taglierebbero non solo gli automatismi tra età e ruoli, ma anche i confini e i conflitti tra generazioni, cominciando a progettare un futuro che consideri le risorse e le capacità di tutte le età». Detto con le parole di Lia Quartapelle, autrice del capitolo Disuguaglianza e sanità: uno sguardo globale: «Non si tratta quindi solo di come lo Stato pensa al sistema di welfare, ma come lo Stato pensa alla cittadinanza».
Cittadinanza, comunità, territori. Una nuova alleanza
La cittadinanza è centrale nel dibattito (anche) sulla longevità. Lo è quando Madia dice che non si può prescindere da una conoscenza che non può che essere collettiva; quando Quartapelle ricorda che: «Non si può pensare alla sostenibilità dello stesso sistema di welfare se non si allarga lo sguardo a questioni come l’immigrazione o se non si fa un investimento sulla salute anche lontano da noi, spiegando tutto questo ai cittadini affinché essi stessi partecipino dei cambiamenti»; ed è centrale quando Cristina Tajani, che nel libro firma il capitolo Lunga vita alla città. Le aree urbane alla sfida di pandemia e disuguaglianze, aggiunge alla riflessione su disuguaglianze e longevità, la variabile territoriale: «Quanto incide, nella qualità della vita di una comunità, intesa come individui nella loro dimensione collettiva, risiedere in un territorio o in un altro? In città o in campagna? In una condizione estrema come quella della pandemia, per esempio, i dati ci dicono che abitare in città non ha influito sfavorevolmente. Molto di più hanno inciso variabili come lo status socioeconomico, il tipo di lavoro, mentre una maggiore diffusione e distribuzione di servizi anche sanitari, condizione che normalmente si verifica nelle zone urbane, ha agito positivamente. In un’ottica di riduzione delle disuguaglianze, trovare il giusto mix di politiche people based, destinate cioè all’individuo, con politiche place based, che prendono in considerazioni territori e comunità, è di fatto una delle strade da percorre anche per affrontare un tema così complesso come quello della longevità. Comunità disuguali, del resto, performano peggio anche dal punto di vista economico, e ormai nel nostro Paese tutti gli indicatori ci dicono che il divario tra Nord e Sud ha ripreso ad allargarsi ripercuotendosi sull’aspettativa di vita».
Quali uguaglianze per il futuro
Nonostante questo quadro poco confortante, sono pochissimi i Paesi che stanno affrontando in modo strutturale questioni come la gestione dell’immigrazione, la natalità, l’assistenza alle famiglie e i tempi di lavoro per rispondere alla crisi demografica. Samorè cita il Giappone, chiuso tra scarsità di forza lavoro e dipendenza/opportunità tecnologica, con un primo ministro, Fumio Kishida, che, nel suo primo importante discorso politico del 2023, lancia l’allarme sul funzionamento dello stesso Paese, proponendo misure senza precedenti a sostegno della natalità… Il libro curato da Madia contiene, come lei stessa afferma: «Proposte ispirate da valori progressisti, con un modello di sviluppo che torni a offrire destini individuali e collettivi più giusti». Resta l’interrogativo latente che si chiede, se, in queste diverse risposte strumentali non si nasconda comunque quella che Francesco Samorè, citando Paul Ricoeur, chiama «Una bulimia dei mezzi a cui corrisponde l’atrofia dei fini». Perché non tutti possiamo beneficiare delle tecnologie allo stesso modo, e perché spesso lo strumento non basta ad assicurare etica e giustizia. Colmare il vuoto di sapere, come ci ricorda il presidente Bassetti, potrebbe significare colmare il gap generato dalle nuove disuguaglianze indotte dalle nuove strumentazioni, compreso il modo in cui le nuove tecnologie «Tagliano completamente fuori tutto il rapporto sapienziale tra generazioni, tra genitori e figli, cambiando la concezione e i termini stessi dei fenomeni che proviamo ad analizzare».
——————–
——————–