Il 23 novembre 2022 la Fondazione ha ospitato un Dialogo con Enrico De Corso, direttore di Confcooperative Lombardia, in occasione della presentazione del suo libro Davide e Golia (Guerini Next), dedicato all’evoluzione delle micro e piccole imprese grazie agli strumenti digitali.
All’incontro hanno partecipato Alessandra Ingrao, esperta di diritto del lavoro e ricercatrice dell’Università degli Studi di Milano, Daniel Trabucchi della Graduate School of Managment del Politecnico di Milano, Gabriele Giacomini dell’Università degli Studi di Trieste da poco in libreria con Il governo delle piattaforme (Meltemi), e Paolo Manfredi, responsabile delle strategie digitali di Confartigianato Imprese e autore di Provincia, non periferia. Innovare le diversità italiane (Egea).
In questa pagina rendiamo disponibili la registrazione video e i podcast dell’incontro, una sintesi e alcune fotografie.
Sintesi dell’incontro
• Una piattaforma di cooperazione può aiutare le micro e piccole imprese ad affrontare la sfida della trasformazione digitale e ripensare, con un nuovo mindset, i propri modelli di business.
• La via cooperativa e mutualistica, restituendo a utenti e aziende le opportunità tecnologiche create, offre un modello alternativo e più sostenibile rispetto a piattaforme digitali come oggi le concepiamo.
• Il cooperativismo di piattaforma può rispondere al crescente bisogno di partecipazione della cittadinanza.
Secondo l’Istat sono il 94,8 per cento le imprese italiane con meno di dieci addetti e il 99,4 quelle che ne contano meno di 50. Sono dati che Enrico De Corso sottolinea per dare misura a quella che lui stesso definisce la spina dorsale del nostro Paese. Micro e piccole imprese che però riescono ad accedere alla trasformazione tecnologica e digitale con difficoltà. Le cause sono diverse: dalla dimensione degli investimenti necessari, alla mancanza di competenze (il 42 per cento difetta di competenze digitali complesse), fino alla capacità di evolvere o meno il proprio modello di business. Ed è qui che arriva la proposta di De Corso, che, associando il tema dell’innovazione digitale con la storia della cooperazione, fa intravedere a questo tessuto produttivo una via cooperativa e mutualistica per affrontare le sfide del digitale: «Una vera trasformazione digitale si attua evolvendo il proprio modello di business, introducendo innovazioni che hanno un impatto non solo sui singoli strumenti, ma su organizzazione, processi, e cultura dell’azienda. E il cooperativismo di piattaforma, che invita a “mettere insieme” la propria materia prima digitale per trovare soluzioni tecnologiche avanzate comuni, a preferire la cooperazione alla competizione, è oggi la strada più sostenibile».
Ed è una strada che parte da lontano. Dalla storia dello stesso movimento cooperativo in Italia, dalla visione etica e solidaristica di Giovanni Pestalozzi e Giuseppe Filippini, fondatore della prima cooperativa di solidarietà, fino al più recente movimento del cooperativismo di piattaforma che nasce per porre un argine alla deriva capitalistica dell’economia digitale delle grandi piattaforme come oggi le conosciamo, e per restituire a lavoratori, utenti, aziende, le opportunità tecnologiche create. Una storia che avrebbe dovuto suggerirci, come ha sintetizzato il presidente Piero Bassetti presente al Dialogo, a misurare le trasformazioni, anche digitali, in termini valoriali invece che numerici, e a considerare il rapporto tra sapere e potere – e «Il digitale è sicuramente un supplemento di potere», rileva Bassetti – come rapporto tra due valori e non tra due dati. «Il libro stesso ci dice che l’esercizio responsabile del potere è l’essenza valoriale della parola cooperare, parola che in fondo significa lavorare con una disposizione a convergere anziché a divergere». Si tratta di un intervento in chiusura, e che pure, nel rimettere al centro la responsabilità nell’innovazione, la cura nella gestione del rapporto tra il sapere e il potere, inquadra puntualmente il valore generato dall’istituzione cooperativa e la sua funzione di connettore e risolutore di frizioni all’interno della società.
E parla di “valore” anche Daniel Trabucchi, quando confuta il senso che comunemente si attribuisce al concetto di piattaforma: «Le piattaforme non sono altro che un modo di creare valore diverso dall’ordinario, un mindset più che un’infrastruttura tecnologica». Lo stesso “pensare a piattaforma”, il platform thinking, è un modo di gestire i flussi di valore. Il modo attraverso il quale le piattaforme possono diventare uno strumento per fare innovazione e farla in modo da non cadere in quelle distorsioni patologiche ampiamente illustrate da Ingrao e Giacomini: la prima, a illustrare come nella pratica siano gli algoritmi a dominare le piattaforme concentrate nelle mani di pochi ed esercitando un vero potere direttivo sull’essere umano; il secondo, a ricordare che spesso l’innovazione «Trascende le istituzioni che dovrebbero governarla», e che la caratteristica di queste piattaforme digitali non cooperative non è tanto quella di saltare le organizzazioni intermedie, quanto di proporre nuovi intermediari digitali algoritmici che non si pongono questioni sociali o etiche.
La via cooperativa proposta da De Corso, partendo da valori tradizionali come la libera adesione, il controllo democratico dei soci, la partecipazione, l’autonomia, la comunità, per includere tutte le possibilità offerte dal digitale, può essere quindi una soluzione? Secondo Giacomini, in una realtà in cui ormai confluiscono il digitale e l’analogico, l’online e l’offline – richiamando il concetto di onlife ideato dal filosofo Luciano Floridi – il cooperativismo di piattaforma può, in effetti: «Rigenerare il ponte fra mondo digitale e mondo fisico in un modo più sostenibile rispetto al modello delle grandi piattaforme digitali di cui facciamo esperienza ogni giorno». Giacomini la definisce “un’innovazione umanistica”; Manfredi, nel suo intervento, un “approccio di economia paziente che naviga controvento rispetto alla forza che hanno le grandi piattaforme”, ma è ancora Piero Bassetti a ricordare che: «Il nostro lavoro è proprio quello di avere sempre presente che, se l’innovazione è la realizzazione dell’improbabile, in quell’improbabile c’è un giacimento di poteri potenziali enorme che dovrebbe essere esercitato responsabilmente». Verso il movimento cooperativo nazionale (che secondo i report del MISE ha un’incidenza sul Pil e sul totale degli occupati pari al 7 per cento); verso chi, pur non essendo cooperatore, ha necessità di trasformarsi digitalmente; e verso i cittadini che, in un numero crescente, esprimono un sentimento sempre più critico nei confronti delle grandi piattaforme, suggerendo un estremo bisogno di innovazione cooperativa e di una partecipazione il più possibile diffusa.
Alcune immagini dell’evento:
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